Paralimpiadi, yes we can

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Nell’estate italiana 2016 succede che ormai ogni appuntamento sportivo è legato alla telenovela olimpica sulla candidatura di Roma per i Giochi 2024. Oggi è stata presentata una parte della delegazione degli atleti italiani in partenza per le Paralimpiadi, in programma sempre a Rio dal 7 settembre? Sembrava che l’incontro fosse solo l’occasione per il sindaco Raggi per respingere la controffensiva del comitato Roma 2024 ricominciata dopo Rio. Come andrà a finire, non lo sappiamo. Di sicuro quel che si vede, in Italia e in Brasile, dove le Paralimpiadi sono cominciate addirittura nell’ultima settimana delle Olimpiadi, ovvero quando si è cominciato a parlare pleatealmente di problemi organizzativi, tali da determinare se non una cancellazione un drastico ridimensionamento, è che stiamo riducendo un evento di valore sociale a figlio di un dio maledettamente minore dei Giochi.

Quando la lezione di Londra, l’ennesima, era stata innovativa proprio nel considerare i due appuntamenti alla pari, organizzati dallo stesso comitato, venduti dallo stesso comitato che ha messo alla porta chi chiedeva le Olimpiadi senza prendere anche le Paralimpiadi. Altro che gli sponsor fanno quel che vogliono.

PARALIMPIADI, YES I CAN

E ancora, parlando di lezione di Londra 2012, e nel caso specifico della benedetta legacy, ovvero dell’eredità che Olimpiadi e Paralimpiadi hanno lasciato, uno dei video più visti dell’estate è il primo di Channel4 per le Paralimpiadi. Titolo, significativo: Yes, I can, ce la posso fare, ce la faccio, dunque ho gli stessi diritti degli altri (e, beninteso, anche gli stessi doveri). Londra aveva promesso per le Paralimpiadi 2012 Sport like never before, un livello tecnico agonistico senza precedenti, e aveva mantenuto la promessa anche in modo spettacolare.

Non siamo disabili per quello che non sappiamo fare, piuttosto siamo abili, tutti, per quello che sappiamo fare

Il poster boy era Oscar Pistorius, prima impegnato con le sue blade runner a essere il primo amputato in gara ai Giochi nell’atletica leggera, e poi re del suo stesso regno, le Paralimpiadi, costruito con una frase manifesto: Non siamo disabili per quello che non sappiamo fare, piuttosto siamo abili, tutti, per quello che sappiamo fare. Risultato: stadi pieni e una rivoluzione che non si è esaurita nello sport, anzi è diventata sociale, la realizzazione dell’urlo di Sebastian Coe che alla cerimonia di chiusura profetizzò “Londra non sarà più la stessa”, auspicio realizzato in una città con molte meno barriere architettoniche di prima, molto più inclusiva, rispettosa e attenta a tutti.

Channel4 di quelle Paralimpiadi era stata la tv ufficiale, preferita persino alla Bbc perché si era impegnata in una trascinante campagna di avvicinamento: raccontando gli atleti, le loro storie, intuendo il valore assoluto di certi messaggi. La dimostrazione migliore: la caduta dal trono dello stesso Pistorius, che poi ha pure fatto altro per non essere più il re del mondo che aveva fatto conoscere a tutti, arrivato quarto nella finale dei 100 metri. Medaglia d’oro vinta da un ragazzo, Jonnie Peacock, che quattro anni era ancora tenuto in casa da genitori che pensavano di essere protettivi e che si scoprirono smarriti quando il figlio alzandosi dal suo divano rifugio disse che voleva essere come quello lì, il Pistorius che aveva visto in pista a Pechino.

UN FUTURO MIGLIORE

Questo sono le Paralimpiadi, non l’ennesima tappa di una querelle romana. Sono un evento sportivo e sociale che ci fanno vedere un futuro migliore, più inclusivo e meno retorico. Basterebbe pensare a un dato: ci sono, in Italia, 10 mila nuovi disabili all’anno, e contando per ognuno di loro anche le famiglie che involontariamente e inevitabilmente entrano in gioco, in 10 anni abbiamo una città di 300 mila abitanti. Possiamo far finta di niente o è meglio, di sicuro più giusto, metterli nelle condizioni di mostrarsi abili per quello che sanno fare? Oltre tutto nella nostra delegazione paralimpica c’è una collezione di eroi moderni che da soli potrebbero portare a Roma il sogno del 2024.

Non è davvero retorica dire che la Paralimpiadi sono qualcosa di speciale, sono anzi un racconto della società migliore delle stesse Olimpiadi

Alex Zanardi e Giusy Versace, come fu per Stephen Hawking, alla cerimonia d’apertura delle Paralimpiadi, conduttori oggi in tv, sono perfetti: c’è ancora qualcuno che li reputa disabili, ovvero privi di qualche abilità? E Bebe Vio che a neanche 18 anni arringa il Parlamento Europeo chiedendo pari dignità, dicendo che lo sport colora la vita di tutti? Non è davvero retorica dire che la Paralimpiadi sono qualcosa di speciale, sono anzi un racconto della società migliore delle stesse Olimpiadi. Lo dimostra Francesca Porcellato, l’atleta italiana più vincente, che torna a gareggiare d’estate, cambiando disciplina, dopo aver vinto ori nella sua prima carriera nell’atletica leggera, un oro nella sua seconda carriera nello sci, e a Rio impegnata nel ciclismo come Zanardi. Alla vigilia delle sue prime Paralimpiadi, era davanti a un banco Alitalia, nel gruppo azzurro. C’erano tante carrozzine, tante stampelle. Lei era orgogliosa di essere in partenza per la Corea. Un signore che passava di lì, guardò il gruppo, chiese dove andavano e sbottò: “Perché, a Seul c’è un santuario?”.

Come dice Zanardi, non conta la meta ma il percorso

Era il 1988. Oggi gli atleti paralimpici sono pronti a sfilare dietro Martina Caironi, un altro bel personaggio, e sanno benissimo di essere impegnati per sé ma anche e soprattutto per il Paese. Come dice Zanardi, non conta la meta ma il percorso: in ventotto anni lo sport ci ha insegnato a non lasciar indietro nessuno, a far alzare ragazzi dal divano impegnandoli a fare quello che sono capaci di fare e non tenendoli nascosti per quello che non sanno fare. Le Paralimpiadi per un Paese che sta facendo i conti con l’ennesimo terremoto sono una sfida, una iniezione di coraggio. Volendo, sono anche l’occasione per mettere in vetrina quel sapere tutto italiano che la Regione Emilia Romagna vuole promuovere per far sapere che uno dei distretti dove si ri-comincia a vivere è quello di Budrio, dove persino le industrie hanno conservato le abilità e l’amabilità degli artigiani. Le Paralimpiadi sono una occasione, per dire, tutti insieme: Yes, we can.

LUCA CORSOLINI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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