Olimpiadi 21. Ok le medaglie, ma la sfida è diventare più social

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Sospeso tra il più classico dei passati autoreferenziali, all’insegna del si fa così perché si è sempre fatto così, e un presente, nonché un futuro, molto social; a cavallo tra una raccolta mai così ricca di sponsor e partner e una spesa molto alta per le medaglie, con quattro squadre salite sul podio (considerando pure il beach volley), il Coni, ovvero lo sport italiano, deve guardare con soddisfazione al dibattito che si è acceso stavolta per la posizione conservata dal Paese nel medagliere olimpico, un nono posto che vuol dire tutto e niente, e anche alle attenzioni dedicate al modello inglese dove già quattro anni fa, con i Giochi in casa, non erano stati di manica larga con i vincitori, riservando una cassetta della Royal Mail d’oro a chi ha vinto.

IL MODELLO INGLESE

Team GB ha seminato bene alla vigilia di Londra, poi ha continuato a raccogliere buoni, anzi ottimi risultati che sono il frutto da una parte di un sistema che coinvolge il pubblico nella raccolta dei fondi, attraverso la National Lottery, e dall’altra della concentrazione su alcune discipline, ovvero l’esatto contrario dell’Italia che manda un atleta in quasi tutte le discipline, criterio che andava bene prima ma che adesso comincia a essere frusto. Per la solita, noiosa ragione: ci sono meno soldi per tutti, e pure gli sponsor vogliono che i loro soldi siano distribuiti con criteri migliori. Un esempio per tutti: per quanto ancora può menare vanto di avere il secondo campionato più amato dagli italiani quel basket che dal 2004 non si qualifica per i Giochi e che quest’anno per riuscire nell’impresa di andare a Rio ha pure organizzato un costoso torneo di qualificazione a Torino perso in finale? Nei risultati, c’è già il sorpasso, anzi i sorpassi del volley che in Brasile aveva quattro squadre e ha chiuso con due argenti.

Anonima solo la partecipazione della nazionale femminile, pure le ragazze del beach volley sono state all’altezza dei loro colleghi.

La sfida per lo sport italiano è quella di diventare più social

Di nuovo, a rischio di essere ripetitivi, magari persino noiosi, la sfida per lo sport italiano è quella di diventare più social. Contare meno i cartellini, ovvero la misura strettamente sportiva di un atleta, un tecnico, un dirigente, e contare di più e meglio la sua rilevanza sociale e social. Più dell’argento in finale con il Brasile, per la pallavolo conta ad esempio che Ivan Zaytsev sia ormai riconosciuto da tutti, perfino da Renzi su Twitter, come lo zar: al campionato l’onore e l’onere di esibirlo come un gioiello. Al pari di Simone Gianelli, il palleggiatore della nazionale di Blengini, che ha compiuto solo 20 anni proprio durante i Giochi.

SERVE UNO SCATTO

Contarsi per qualità basta per arrivare ad avere quei soldi che sono comunque indispensabili per l’attività sportiva ad alto livello (e pure per il contorno che, non visto, ha appunto le dimensioni della parte nascosta degli iceberg)? Ovvio che no, serve uno scatto, un mix di originalità e formazione. Qualche anno fa la pubblicazione dei risultati della raccolta del 5×1000 aveva sorpreso chi si era trovato tra gli enti maggiormente beneficiari del provvedimento la fondazione di Rino Gattuso, che non era certo la più nota nel panorama italiano. Era bastato ovviamente che il titolare, all’epoca titolare nel Milan, avesse indirizzato il suo 5×1000, oltre tutto senza perdere un euro, alla sua fondazione.

Il matrimonio del Coni con Action Aid, andato in scena a Rio, e non esauritosi con i Giochi, dimostra piuttosto il contrario

Lo sport che spesso piange miseria è invece ricco. Laddove non ci sono i Gattuso, ci sono migliaia di praticanti, le aziende sponsor ad ogni livello, le aziende produttrici di articoli sportivi. Si potrebbe obiettare che una discesa in campo dello sport toglierebbe risorse ad altre parti del terzo settore. A parte il fatto che è tutto da dimostrare, o, per essere più precisi, da costruire, perché nello sport c’è pure chi considera il 5×1000 l’ennesima percentuale di un mondo che vive di statistiche, il matrimonio del Coni con Action Aid, andato in scena a Rio, e non esauritosi con i Giochi, dimostra piuttosto il contrario. L’una e l’altra parte avrebbero tutto il vantaggio a saldarsi, a fare squadra insieme in modo virtuoso, aggiungendo e non togliendo valori allo sport, impegnandolo effettivamente su 24 ore al giorno con atleti e tecnici spediti nelle scuole e nelle aziende, nella società insomma, a parlare della loro attività. Sarebbe così neutralizzato il primo dei problemi che abbiamo noi, e non ha l’Inghilterra: da noi resiste il luogo comune che ci siano degli sport minori, discipline che abbiamo la presunta licenza di dimenticare ogni quattro anni salvo poi scoprire quanto sono belle durante i Giochi (con puntuale aumento dei praticanti, questo sì un indice da tenere d’occhio, per le discipline più medagliate).

LA LETTERA DELLA MAMMA

Ma a Londra quattro anni successe pure un’altra cosa che dovremmo utilizzare come esempio. A pochi giorni dalla cerimonia di chiusura una mamma scrisse una lettera ai giornali, un documento che troppi traslochi hanno fatto finire chissà dove e che però è scolpito nella memoria: “Ho seguito i dibattiti nel Paese alla vigilia dei Giochi. Pure io ero se non scandalizzata almeno perplessa che si spendessero così tanti soldi pubblici per un evento sportivo. Poi da quando sono cominciate le Olimpiadi ho cambiato parere, ho dovuto cambiare parere perché i miei figli, imbevuti di tanti esempi positivi, hanno cominciato a comportarsi meglio, pure la vita nel quartiere e in città è cambiata. E di quei soldi spesi ho visto la destinazione e il fine: essere un Paese migliore, non solo in ambito sportivo”.

Ecco, non conta, non dovrebbe contare la posizione nel medagliere, ma se riusciamo, catturati dagli esempi, a essere un posto migliore. Ragionando su se stesso, lo sport potrebbe diventare un modello anche fiscale. Chissà se Malagò pensa anche a questa possibile medaglia d’oro.

LUCA CORSOLINI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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