Internet dell’oblio e 8 stumenti per non lasciare traccia di sé online

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E’ stato uno dei fenomeni mobile più interessanti del 2013, tanto da suscitare le attenzioni e le mire di due colossi come Facebook e Google: Snapchat è un’applicazione in grado di inviare messaggi e contenuti “a scadenza”. In grado di sparire per sempre dai server.

Bob Murphy ed Evan Spiegel, i due fondatori, non hanno certo scoperto l’acqua calda. Ma hanno saputo conquistare il gradimento degli utenti tanto da far emergere tutto un filone di “ephemeral messaging” su cui oggi riflettiamo.

Snapchat è nata nel 2011, ad oggi consente l’invio di circa 50 milioni di messaggi al giorno. Nello scorso novembre Facebook ha offerto 3.88 miliardi di dollari per la sua acquisizione. Offerta declinata dai fondatori, ad oggi interessati soprattutto a migliorare ancor più il servizio ed approfondirne le potenzialità.

Con Snapchat si possono mandare foto e video, anche con disegni e messaggi personalizzati. Si tratta di uno strumento di condivisione in cui i contenuti inviati vengono visualizzati per poco tempo (il tempo deciso da noi stessi) e quindi si perdono per sempre nell’oblio. Senza lasciare tracce. L’applicazione, disponibile sia per il mondo Apple che per Android, è a dire il vero piuttosto semplice e usabile: un tasto circolare, simile a quello di tanti editor fotografici, consente – se toccato – di scattare una foto o di realizzare un video qualora premuto per alcuni istanti. Ogni contenuto ha una vita breve: dopo pochi secondi scompare per sempre.

E’ questa provvisorietà ed estemporaneità il marchio di fabbrica di Snapchat sin dall’inizio. I due fondatori volevano realizzare un sistema che si contrapponesse all’egemonia del ricordo svolta così bene da Facebook.

L’idea di creare una piattaforma di scambio di messaggi che si autodistruggono sembrava l’antidoto e l’hype giusto per controbattere alla filosofia stessa alla base di tutti i sistemi di messaggistica e a internet stesso: la persistenza della memoria (digitale).

Nel giro di un anno Snapchat aveva gestito la condivisione di un miliardo di file. Con i finanziamenti ottenuti, Murphy e Spiegel potenziarono l’infrastruttura di rete, in sofferenza per via del traffico crescente di contenuti scambiati.

Nel 2013 è stata nella “top 10” delle app più scaricate sia su Play che su App Store. Il resto è storia recente, con le due offerte-monstre di Facebook e Google, entrambe vicine ai 4 miliardi di dollari, per aggiudicarsi questa start up della comunicazione effimera.

Ma Snapchat non è sola. C’è tutto un sottobosco e un fiorire di applicazioni similari, le prime risalgono addirittura al 2009, segno che l’insofferenza verso la dittatura del ricordo imposta da internet non è così fresca.

1. Come Peek, che ha una strana assonanza con il Poke di Facebook, applicazione che non ha avuto il successo che si pensava.

Peek si presenta con un claim che non lascia spazio all’interpretazione: “We are making history by erasing your history”. Il focus è sui messaggi di testo, ed è sicuramente meno “cool” di Snapchat, a partire dal nome stesso. Peek si fa portacolori della “conversational freedom”, ossia la libertà di dialogo: ogni conversazione è solo una conversazione, nulla più … perché dovrebbe essere salvata o immagazzinata da qualche parte? Si tratta del lato divertente della privacy, per usare le stesse parole del sito.

2. Frankly è più colorata di Peek, consente l’invio di foto e altri contenuti “rich media”, oltre alla personalizzazione dei messaggi stessi. Anche qui, ciò che viene inviato sparisce automaticamente dopo che il destinatario lo ha visualizzato, a meno che il mittente abbia deciso di renderlo permanente.

Ci sono pochi ambienti digitali dove le persone possono parlare in modo onesto e aperto senza che ogni parola venga registrata e salvata – ha dichiarato Steve Chung, CEO di Frankly.

Nell’intenzione dei fondatori, Frankly è una sorta di mondo a sé, depurato della superficialità e dell’isterismo di tanti altri mondi digitali. Un luogo dove aprirsi a conversazioni franche e intime con i propri amici o colleghi. In un contesto di condivisioni di massa (anche a sproposito), persistenza della memoria digitale e culto spropositato dell’io, Frankly riporta indietro la conversazione all’autenticità.

Una vision in bilico tra sociologia delle comunicazioni e psicologia comportamentista fa di Frankly un esperimento interessante nell’area della messaggistica “ephemeral”.

E se Franklyn fa leva sul nostro “io” più veritiero e autentico, Gryphn sposta il focus sulla sicurezza: anche qui immagini e testi si autodistruggono senza lasciare tracce.

3. Gryphn si definisce un sistema di messaggistica e non un social network. Non sente la concorrenza di Snapchat in quanto target e user sono, a detta dei fondatori, diversi. La mission di Gryphn è, semplicemente, rendere sicura la comunicazione tra gli utenti. Utenti che hanno la necessità di inviare dati sensibili (password, per esempio) che devono giocoforza essere “protetti”.

4. Anche TigerText, antesignana in tal senso, punta forte sul concetto della sicurezza. Nata nel 2010, consente la condivisione di testo e foto, gira su server protetti, prevede l’autodistruzione dei contenuti inviati, l’avviso di notifica di avvenuta lettura e il richiamo del messaggio inviato. Declinata anche in ambiti più strettamente “enterprise”, nel 2012 TigerText ha annunciato un’integrazione con Dropbox per l’invio di documenti in tutta sicurezza.

5. SecretInk è stata invece definita la Snapchat delle email. Consente infatti l’invio di mail (ed SMS) in tutta sicurezza e tranquillità: anche qui i contenuti scambiati si autodistruggono dopo la lettura. Applicazione potenzialmente intrigante, che estende l’utilizzo della “ephemeral” messaging. Interessante anche perché mittente e destinatario non devono giocoforza appartenere allo stesso network o scaricare una certa App. Gli utenti possono tranquillamente collegarsi al sito di SecretInk e mandare la propria email. O anche il proprio SMS.

SecretInk è accessibile attraverso una semplice interfaccia web – ci dicono dall’ufficio stampa – basta inserire l’indirizzo del destinatario e marcare l’opzione di risposta e noi facciamo il resto. E soprattutto, si tratta di un servizio gratuito. Pensiamo che sia diritto di ognuno condurre conversazioni private e sicure, e tale diritto non va pagato”.

6. Kwikdesk aggiunge altri elementi al mondo della messaggistica “estemporanea”: situata al punto di tangenza tra Snapchat e Twitter, consente l’invio di contenuti in grado di autodistruggersi, contenuti che possono essere anche dotati di “tag” in grado di consentirne il ritrovamento e il riconoscimento successivo nel mare magnum dell’internet. I mittenti hanno la possibilità di lasciare in vita i messaggi per 24 ore, 10 o 100 giorni. Il fondatore Kevin Abosch ha già annunciato la prossima integrazione con la trasmissione di Bitcoin. I “kwiks”, ossia i messaggi scambiati con questa piattaforma, sono limitati a 300 caratteri, ed avvengono in modo anonimo e sicuro. Il progetto nasce dalla visual art ed è, nell’intenzione dell’autore, una reazione ai social network generalisti. Kwikdesk non richiede registrazione, non traccia gli indirizzi IP e non usa cookie. La versione cinese dell’applicazione, in linea con l’ideologia del fondatore, è stata lanciata con la partecipazione dell’attivista (e leader della protesta in Tienanmen) Wu’erkaixi.

7. Blink, altra piattaforma di “disposable messaging”, sembra più simile a Poke e apre infatti alla condivisione tramite gruppi. “Il nostro scopo – chiarisce il fondatore Kevin Stephens – è portare il mondo delle conversazioni reali su internet. Le cose che la gente si dice di persona non vengono scritte con l’inchiostro, mentre il web registra tutto. Vogliamo portare quelle conversazioni su un mezzo mobile”.

8. Wickr, sistema similare, vanta addirittura sistemi di sicurezza di derivazione militare. Internet è per sempre, dicono dall’azienda. Come i diamanti. La missione della piattaforma è lo scambio di messaggi e comunicazioni in genere con il massimo grado di sicurezza.

Parmy Olson, su Forbes, avvisa che “ephemeral” è il nuovo buzz. E non stiamo parlando di una moda del momento in grado di nascondere e securizzare i bollori selfie di adolescenti improvvidi. O nascondere adulteri e altre sconcezze “sexting”.

Il fiorire di queste piattaforme riguarda direttamente il futuro del mondo mobile. I suoi trend di sviluppo.

DELETE IS THE DEFAULT

Cancellare, e non ricordare, è la nuova tendenza. Il nuovo bisogno. Già nel 2009 il professor Viktor Mayer Schonberger – nel suo testo “Delete” – chiariva come dimenticare, nel mondo digitalizzato, sia divenuto troppo costoso. Ricordare è molto più facile. Il nostro problema è la presenza e la pervasività del famoso “big brain” di Orwell, che Mayer Schonberger identifica con Google: sistema che conosce di noi molto più di quanto noi stessi ricordiamo. Dobbiamo reintrodurre la capacità di dimenticare. Per evitare i guasti e le nefaste conseguenze di un uso improprio delle nostre tracce digitali.

La persistenza digitale delle memorie e dei dati ci impedisce di lasciarci il passato alle spalle. Ci priva di “seconde possibilità”. E imbriglia anche la nostra capacità decisionale. La signora AJ – californiana, oggi ultraquarantenne – ricorda tutto dall’età di 11 anni. Tutte le colazioni fatte, tutti gli episodi delle serie TV viste. Come il Funes delle Finzioni di Borges. Ogni dettaglio. E non sa più scegliere.

La sistematica sedimentazione delle nostre tracce digitali alimenta l’incapacità della società di riabilitare nostri comportamenti sbagliati dal passato: emblematica la storia del professor Andrew Feldmar, fermato alla frontiera tra Canada e Stati Uniti, percorsa in passato decine di volte, perché sul terminale di un agente era comparsa la notizia che – negli anni ’60 – aveva utilizzato LSD per la psicoterapia. E’ come nel Panopticom di Bentham: solo che noi sappiamo e siamo totalmente consapevoli che la società ha accesso a tutti i nostri dati e – in qualche modo – ci “guarda”.

L’eccesso di memoria digitale ci nega la chance di evolverci e cambiare. In Germania i legislatori volevano impedire ai responsabili HR di effettuare ricerche su Google per definire meglio il profilo dei potenziali candidati.

Negli Stati Uniti il 90% delle persone (e l’84% dei nativi digitali) vorrebbe che le aziende e i siti cancellassero dai loro database dati e informazioni di carattere personale. Ecco perché Snapchat e tutta la pletora di applicazioni di messaggistica “temporanea” non sono un hype.

Gian Maria Brega

Direttore marketing di NITHO, azienda globale che promuove accessori per l’intrattenimento digitale

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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