Tanta scuola, poca Internet: ecco i nativi digitali dell’Avana

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Davanti alla escuola primaria Angela Landa quattro ragazzini giocano a calcio a torso nudo. A far da porta sono le loro scarpe da ginnastica. Quel portone di legno aperto, che s’affaccia sull’incantevole plaza Vieja all’Habana, è l’ingresso della loro scuola. A darmi il benvenuto non può mancare il manifesto di Fidel Castro che abbraccia Hugo Chavéz, ma non mancano nemmeno il volto di Ernesto Che Guevara, l’area de computacion e un motto che ricorda che la professione del maestro è la più difficile che ci possa essere.

Basta questa immagine per raccontare una Cuba dove s’investe il 12,8 % del Pil per l’educazione, due volte tanto l’Italia (4,9%) e gli Stati Uniti (5,43%). Un’isola dove chi fa l’insegnante è ancora tenuto in considerazione tanto che il Partito Comunista nel 2009 ha aumentato i salari dei maestri e per il 2014 si annuncia una nuova riforma che incrementerà nuovamente gli stipendi dei docenti e dei medici.

In viaggio tra Habana e Trinidad puoi incontrare chi critica il sistema Castrista, “un’isola nelle mani di una famiglia”; nelle caldi notte all’Habana, alla Casa de la Mùsica, puoi imbatterti in avvenenti ragazze che tra una proposta e l’altra per trascorrere qualche ora insieme per 50 pesos ti confidano:

“Io gusto un futuro non una notte”

Difficilmente capita di trovare un cubano che critichi il sistema educativo.“A Cuba può mancare il cibo ma non l’istruzione”, mi racconta la professoressa Lili, seduta al tavolino di un bar in stile coloniale lungo il Prado. Nella terra del son, della salsa e del mojitos, tutti conoscono José Martì e la storia della rivoluzione come se in Italia le nuove generazioni sapessero chi sono stati Garibaldi e Mazzini.

Tutti vanno a scuola: il tasso di scolarizzazione è del 100% fino agli 11 anni e il tasso di analfabetismo è dello 0,17% più basso di Stati Uniti, Germania e Giappone ma anche dell’Italia (1,07%), secondo i dati raffrontati nel nuovo spazio multimediale Cubo di Unipol a Bologna.

I giovani cubani, istruiti, spesso con una laurea in tasca, guardano oltre Oceano e lo fanno soprattutto osservando con brama gli iPhone e gli iPad dei turisti. Loro non se li possono permettere con stipendi medi mensili che arrivano al massimo all’equivalente di 25 dollari ma saprebbero usarli. Le loro scuole non mancano mai di un’aula d’informatica ben attrezzata: certo internet (a causa dell’embargo secondo i più) funziona con una velocità che ricorda i nostri primi anni novanta con i modem ma la generazione digitale esiste anche nella patria del Che.

I giovani studenti in divisa con la camicia azzurra, gonna corta blu e calze bianche all’altezza delle ginocchia, conoscono Facebook e Twitter e hanno una sorta di Wikipedia in versione cubana.

Lili, insegna informatica e conosce bene i suoi ragazzi. Mi racconta che grazie ad una campagna del Partito ogni municipio è dotato di una sala de computacion e che esiste la “tele classe”: due volte alla settimana vengono trasmesse alla tv delle lezioni di didattica.

“L’informatica non è tutto”, precisa la professoressa poco preoccupata della mia insistenza rispetto al possibile ritardo tecnologico dei ragazzi cubani. Ciò che conta nel sistema d’istruzione dell’isola che ospitò Hemingway, è avere una memoria storica, una cultura politica, una biblioteca in ogni scuola, insegnanti preparati e non perdere un solo ragazzo: “Quando un bambino non si presenta a scuola, il maestro lo va a cercare a casa. Cerca di capire cosa è successo”. Eppure anche nella terra di Fidel mancano i maestri: motivo in più, secondo le voci che corrono all’Habana, per aumentare gli stipendi come promesso dal Governo di Raùl Castro. Almeno a Cuba se ne parla ancora!

Cuba, febbraio 2014Alex Corlazzoli

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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