Gli articoli di CheFuturo! parlano di innovazione

lifestyle

c’è un bel libro di Malcom Gladwell (uno che scriveva “the tipping point” quando molti ancora deridevano qualsiasi economia di frontiera) che si chiama “Davide e Golia – perché i piccoli sono più forti dei grandi”. Approcciandolo, ieri in spiaggia, ho ripensato ancora una volta alle potenzialità e ai rischi cui l’economia del nostro paese va incontro. La prima dicotomia che si pone dinnanzi agli occhi degli osservatori del nostro tempo è un tema di fede: c’è chi crede nelle piccole e medie imprese per i motivi più svariati (sono l’ossatura del paese, sono “nelle nostre corde”, sono la massima espressione di quella manifattura artigiana che ci appartiene, mentre onestamente grandi industriali non lo siamo mai stati).. e chi no.

E chi crede che la piccola e media impresa (media impresa, anche 100 milioni di fatturato, non per forza il ciabattino) non abbia motivo, scala, dignità di esistere.

La riflessione che segue si schiera col primo partito, quello di un business caratterizzato da “un’italian way” solida, piccola e cazzuta.

Oggi l’Italia della rivincita artigiana ha scelto i suoi mentori ed ispiratori: Stefano Micelli ha avuto il merito di cogliere l’ispirazione americana di Sennett e Anderson, e poi di Gauntlett e fornire una lettura italica del Futuro Artigiano, un futuro artigiano in cui però ancora artigiani e makers fanno fatica a parlarsi, lo scriveva proprio Micelli su Che Futuro! ed era ottobre 2013. Ripartiamo da qui, ripartiamo da un quadro che offre esempi puntiformi ed eccellenti di creatività, fare e nuovi modelli di business. Mix esplosivi che spaziano da e-commerce di accessori con materiali riciclati e reinventati fino ad auto produzioni in stampa 3D.

Progetti fantastici, vere case history che però non riescono ancora a fornire una regola, a tracciare una rotta replicabile per un’economia nuova, e soprattutto a supportare non tanto chi parte da zero con una buona idea e nessuna zavorra che viene dal passato (il maker appunto), ma chi invece si trova di fronte l’urgenza di riconvertire un business che non funziona (più) a causa di un calo di domanda interna o di una corsa al prezzo in cui ipermercati, private label e concorrenza straniera rappresentano una spada di damocle ormai prossima alla caduta definitiva.

Questo secondo gruppo, gli artigiani veri, storici, duri e puri, è di fronte ad un bivio: può scegliere di arroccarsi sulle proprie posizioni, di non innovare, di non imparare ad usare la mail, oppure può decidere di cavalcare un’onda di persone che a livello globale chiedono italianità, con l’obiettivo di comprare certezze, qualità e storia, che quelli bravi chiamerebbero heritage.

Il progetto Valore Artigiano è un esempio di accompagnamento in cui Confartigianato e CNA si sono unite per formare e sedere a tre laboratori (e-commerce, design, stampa 3D) un gruppo di artigiani, partiti con delle idee ed usciti con una bozza di nuovo prodotto, nuovo processo produttivo e nuova strategia di comunicazione. Il digitale è un ponte per cambiare, non è la ricetta magica e nemmeno la pozione di invincibilità, è la chiave per aprire una porta di un percorso non banale ed irto di ostacoli che non può non tenere conto di anni bui, sofferenze e forse anche di qualche azienda non più salvabile. Un percorso però che per molte altre realtà rappresenta l’unica via possibile di redenzione, ma anche di prosperità.

C’è un passaggio, in Davide e Golia di Gladwell, che recita “in effetti, oggi gli esperti ritengono che Golia soffrisse di un grave disturbo. Ha tutta l’aria di essere affetto da un male chiamato acromegalia”, una malattia che provoca un eccesso di crescita, ma che porta anche ad essere ipovedenti. Golia era lento e malato, come molte delle grandi imprese del nostro paese, ma anche internazionali. Ecco perché Tesla, Uber, Amazon stanno uccidendo (amazonizando) il mercato a colpi di novità agili, brevetti aperti e consegne quasi istantanee. Le nostre PMI hanno l’opportunità di essere il Davide, sano, robusto e furbo, dell’economia moderna. Serve però un fattore di moltiplicazione, un volano che individuiamo nelle leve digitali. I grandi infomediari come Google, Facebook, Etsy e Alibaba rappresentano terreni di scoperta o di conquista, ma non possono essere i soli artigiani a sbarcare in questi marketplace all’apparenza banali all’uso, ma in realtà complessi da ottimizzare e rendere profittevoli. Ecco perché oggi è artigiano digitale il produttore che ha capito, ma anche il consulente che a suon di strategie “cucite addosso” al cliente lo aiuta a posizionarsi, ottimizzare, pianificare e prosperare. Ed è artigiano digitale anche la media impresa che internazionalizza grazie a strumenti di gestione e utility agili e web based fornite alla propria rete commerciale.

Siamo di fronte ad un modello tutto nuovo e vogliamo lasciarci con due umili certezze: Davide è sano, e Golia è malato, quindi puntare su Davide non è una scelta di ripiego, ma una scommessa sensata. Il secondo punto è che questo mondo è tutto da costruire, il digitale è la leva che può rendere scalabile un ecosistema che, se fatto solo di makers, rischierebbe di essere “bello e impossibile”. Siamo pronti?

26 giugno 2014Giorgio Soffiato

Giorgio Soffiato è fondatore di Marketing Arena, agenzia di marketing digitale con sede a Rovigo. Dopo un’esperienza di ricerca presso Venice International University, ha sviluppato e gestito progetti digitali per grandi multinazionali ed agenzie, oggi con Marketing Arena si occupa di accompagnare le piccole e medie imprese ad approcciare il business digitali e lavora con grandi aziende interessate a comunicare con il target PMI. È formatore per Digital Accademia ed altre primarie realtà italiane.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments

What do you think?

Scritto da chef

lifestyle

Cattivo giornalismo? Tutta colpa dei giornali

innovaizone

Arriva Spillover: la startup spy-game che spiega la scienza ai ragazzi