Banda larga a scuola? Ecco la soluzione

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Leggendo la bella (e assolutamente inusuale) intervista di Riccardo Luna al Ministro Carrozza, mi sono venute in mente un paio di cose.

Cose che ha senso provare a mettere in circolazione, tentando – per una volta – di trasformare un’intervista in una scintilla. Per vedere (non) di nascosto l’effetto che fa. Perché qui o ci mettiamo tutti quanti a innescare scintille o non cambieremo mai nulla di questo benedetto Paese.

Dunque, riassumiamo.

Il Ministro Carrozza vuole portare la banda larga in tutte le scuole italiane, e questo è bene. E pensa di farlo responsabilizzando gli enti locali, dando loro magari anche le risorse necessarie. Che, però, non ci sono se non in misura irrisoria.

Sempre il Ministro, nel corso dell’intervista, evoca le fondazioni bancarie come possibili finanziatrici dell’iniziativa.

Benissimo.

Proviamo però a vedere se ci possono essere canali alternativi o “in affiancamento” alle fondazioni bancarie, le quali – anche loro! – non è che se la passino benissimo di questi tempi, messe come sono alle prese con operazioni di ricapitalizzazione dei rispettivi istituti di credito.

Partiamo dall’inizio: secondo la Commissione Europea (dati di novembre 2012, “Survey of School: ICT in education”), una scuola elementare italiana su tre non ha un accesso in banda larga; se saliamo al “grade 8” (le medie inferiori), le scuole non connesse sono il 25%; al “grade 11” (scuole superiori) stiamo tra il 18 e il 23% di istituti offline.

Stiamo quindi parlando di 9-10.000 istituti scolastici cui fornire connettività broadband, cento più cento meno.

Se poi vogliamo upgradare le scuole che oggi hanno disponibilità di banda inferiore ai 2 Mbps, dobbiamo aggiungere non meno di 4-5.000 istituti.

L’ordine di grandezza dell’investimento necessario, quindi, non è di dimensioni astronomiche. Ma i soldi non ci sono lo stesso, di questi tempi.

Ma usciamo per un istante dal mondo di Internet e parliamo di energia.

Tanto per farci un’idea, il Comune di Milano consuma ogni anno 154 milioni di kWh di energia per il solo riscaldamento delle scuole comunali. Secondo Eurostat, in Italia un kWh di gas naturale costa 0,037 Euro. Per una spesa annuale complessiva molto vicina ai 6 milioni di Euro.

Se proviamo, anche solo con lo “spannometro”, a riportare il dato di spesa per riscaldamento all’universo delle scuole italiane arriviamo molto probabilmente vicino ai 400 milioni di Euro, milione più milione meno.

La domanda nasce spontanea: vuoi che non sia possibile, rendendo efficienti tutti gli edifici scolastici italiani, a risparmiare anche solo un 10% di bolletta creando in questo modo un “tesoretto” di 40 milioni?

A questo punto, qualcuno potrebbe obiettare: «ma non ci sono i soldi neppure per interventi di questo tipo». Ed è qui, che casca l’asino.

La soluzione c’è, e si chiama Energy Performance Contracting (EPC): il contractor (tipicamente una ESCO) prende in carico la conduzione energetica di uno o più edifici accollandosi l’investimento necessario all’efficientamento remunerandosi con una quota del risparmio conseguito.

Anche CONSIP sta lavorando per portare l’EPC nel novero delle convenzioni utilizzabili dalla pubblica amministrazione (e quindi anche dalle scuole) per facilitarne la diffusione.

Sarebbe sufficiente immaginare convenzioni CONSIP per l’EPC specifiche per le scuole, dove si “impone” al fornitore di “incorporare” nella sua offerta anche l’accesso broadband (pochi spiccioli, se rapportati al business complessivo sviluppabile dal contractor) e il gioco è fatto.

Troppo semplice?

Ma chi l’ha mai detto che le cose, per succedere, devono essere complicate?

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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Scritto da chef

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