Navigare con banda ultralarga costerà dodici miliardi di euro

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Dodici miliardi di euro. Tanto costerà il sogno di dare all’Italia una banda ultralarga, ovvero una rete Internet di nuova generazione: almeno 30 Megabit a tutti e 100 Megabit (o oltre) alla maggior parte della popolazione entro i prossimi sei anni. Due miliardi all’anno, insomma, da qui al 2020. La cifra, a quanto ci risulta, è contenuta nel piano banda ultralarga che vari rappresentanti del Governo stanno presentando alle Regioni in questi giorni. Obiettivo, farne un decreto (della presidenza del Consiglio) entro il 30 ottobre, che poi dovrà passare dalla Commissione europea. La cifra dei dodici miliardi è il valore totale del piano. Per metà (sei miliardi) è il valore degli investimenti che gli operatori privati intendono fare. L’altra metà ce lo deve mettere l’Italia, attraverso fondi pubblici di diversa natura.

E’ un progetto epocale, senza dubbio. Per quanto ambizioso possa sembrare, è tuttavia la sola via con cui l’Italia può recuperare i ritardi con il resto d’Europa, quanto a modernità della rete.

In altre parole è il solo modo con cui l’Italia può restare competitiva sui mercati internazionali. Ricordiamo che ad oggi solo il 20 per cento degli italiani è coperto da almeno 30 Megabit e circa il 10 per cento da 100 Megabit effettivi. A questo punto sono due le domande che possono sorgere. La prima è scontata: dove troveremo questi soldi, in tempi di spending review e di debito galoppante? La seconda è meno ovvia, ma è chiara da tempo agli addetti ai lavori: riuscirà l’Italia almeno stavolta a sviluppare un progetto Paese unitario, senza sprechi né sovrapposizioni?

Bisogna dire che le premesse finora sono state poco incoraggianti, ma nelle ultime settimane sembra si possa correggere la rotta.

Per prima cosa, quanto ai fondi da trovare, bisogna sapere come si è arrivati alla stima dei dodici miliardi. Ad oggi i piani degli operatori privati per fare reti a banda ultra larga ammontano a circa quattro miliardi. Trattasi di piani triennali che terminano al 2016. Per i quattro anni restanti, 2017-2020, il Governo, con il piano banda ultra larga, può fare solo una stima. Che arriva a quei sei miliardi di fondi privati. Ma di quali piani si tratta? Domanda per niente scontata. Ma c’è una risposta, ufficiale: solo quelli in fibra ottica. È bene sapere infatti che nel piano banda ultra larga gli attuali piani 4G (rete mobile) non sono considerati all’interno degli obiettivi 30 e 100 Megabit. Una scelta che rispecchia la volontà della Commissione europea.

Il motivo è semplice: le attuali reti non sono in grado di offrire 30 Megabit a tutti gli utenti connessi. Ricordiamocelo, quando gli operatori mobili cercano di “venderci” il 4G come banda ultra larga… Del resto, se così fosse, non si capirebbe perché anche Vodafone abbia deciso di partire in questi giorni con un piano in fibra ottica per coprire 25-30 città entro marzo prossimo (e 150 entro il 2017). Gli altri due piani nazionali sono di Telecom Italia (600 città al 2016) e di Fastweb (100 città al 2016). C’è poi Metroweb, al momento su Milano, Bologna e Genova, ma non è chiaro al momento su quante e quali città arriverà (a meno da non dare per buono il vecchio piano “30 città entro il 2015”, che di certo è ormai in forte ritardo sulla tabella di marcia. Va notato anche che solo Metroweb sta portando fibra ottica nelle case con i nuovi piani. Quelli degli altri operatori sono con fibra fino agli armadi, tecnologia con cui non è garantito, al momento, arrivare ai 100 Megabit.

I fondi pubblici dovranno colmare le lacune dei piani degli operatori, spingendoli verso i 100 Megabit laddove possibile. Cosa possibile estendendo un poco la fibra, dagli armadi fino all’ultimo distributore di rete (vicino alla base del palazzo; al momento il piano banda ultra larga non prevede anche di cablare sistematicamente all’interno delle case). Con il futuro standard G.Fast è possibile arrivare fino a 1 Gigabit, in queste condizioni (se il rame è solo nella verticale del palazzo).

Ciò detto, il Governo ha già dovuto affrontare un primo ostacolo: la resistenza delle Regioni (soprattutto quelle del Centro-Nord) ad allocare fondi per la banda ultralarga da quelli della nuova programmazione europea 2014-2020 (Fesr e Feasr). Sappiamo che sono le Regioni ad avere l’ultima parola sull’allocazione, anche se i fondi in effetti sono in parte europei e in parte nazionali e regionali. Dopo un giro di contrattazioni tra Governo, Regioni e Commissione europea (che pure le spingeva a mettere più soldi sulla banda larga), ad oggi la quota di Fesr e Feasr destinati a questo capitolo è di circa 2 miliardi di euro. Gli altri quattro miliardi dovranno venire in parte dal residuo della vecchia programmazione (2008-2013) e in parte dal fondo Sviluppo e Coesione, che è tutto nazionale (quindi decide lo Stato centrale). Per il residuo dovremo aspettare la fine delle gare che utilizzano i fondi della vecchia programmazione. Sull’altro fondo deciderà il premier Renzi. Comunque i tempi rischiano di essere lunghi: un aspetto che si tende a dimenticare è che il fondo nazionale sarà disponibile solo dal 2017. Ci aspetta insomma un biennio in cui l’Italia- per portare i 30 e i 100 Megabit – dovrà utilizzare a fondo e tempestivamente gli unici fondi disponibili, che però sono in mano alle Regioni.

Ne deriva che sarà di fondamentale importanza il ruolo del Governo per coordinare la partita, fare da regia nei confronti dei Regioni. Sembra mission impossible – non è vero? – ma la buona notizia è che adesso abbiamo qualche buona speranza per farcela.

Per prima cosa, avremo in effetti un piano nazionale a banda ultralarga: ce lo chiedeva la Commissione europea. E quindi, almeno sulla carta, una regia nazionale ci sarà. Se lo sarà anche nella pratica e se sarà abbastanza efficace, è difficile prevederlo. Dipenderà anche dalla volontà del presidente del Consiglio che – al di là dei proclami – sul fronte banda larga è ancora poco chiara. Detto in modo più esplicito: sì, secondo Renzi la banda larga è importante; ma la considera abbastanza per destinarle risorse sufficienti, a dispetto di altri capitoli di spesa che forse hanno una maggiore presa elettorale di breve periodo? Chissà, ma nel frattempo ci sono due fattori che giocano a favore dell’innovazione. Primo: l’Europa ci permette di considerare fuori dal patto di stabilità i soldi destinati alle infrastrutture banda ultra larga. Secondo: presso la Presidenza del Consiglio, si sta formando una regia tutta nuova su questi temi, anche con l’inedito ruolo dell’Agenzia per l’Italia Digitale (tramite la sua direttrice Alessandra Poggiani, da agosto).

La partita resta complicata da giocare. Ma vincerla, con queste carte, è possibile.

ALESSANDRO LONGO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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