Perché solo la tecnologia può salvarci dai cambiamenti climatici

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Un paio di giorni fa un amico mi ha segnalato un articolo apparso sul Guardian. Il titolo diceva pressappoco: “Goditi la vita finché puoi: tra vent’anni i cambiamenti climatici ci porteranno un mare di guai”. L’articolo conteneva un’intervista a James Lovelock, visionario ricercatore, futurologo, ambientalista e polemista, che si concludeva con un invito a puntare tutto sulla tecnologia, nostra sola possibile via di salvezza. Ovviamente, mi sono incuriosita. E ho deciso di saperne di più.

Davvero rischiamo di morire tutti, tra una piena del Tamigi e lo scioglimento di un ghiacciaio? Davvero finiremo arrosto come polli in un forno (a microonde)? A che punto siamo con questi cambiamenti climatici? E che c’entra poi la tecnologia? Non era quella la causa di tutto?

Per venirne a capo, prima mi sono letta per bene l’articolo (e così mi sono accorta che è del 2008, ma questo vuol dire solo che gli anni che ci rimangono…accidenti… sono quindici!), poi ho fatto alcune ricerche in rete, e infine ho deciso di parlarne con un ricercatore italiano di fama internazionale: Antonello Provenzale, climatologo del CNR.

Nell’attesa che rientri dal primo workshop del nuovo Lorenz Center (centro per gli studi sul clima) del MIT di Boston, faccio qualche altra ricerca.

Lovelock, si legge nella home page del suo sito internet, è l’ideatore della ‘teoria di Gaia’, ovvero della teoria – che l’ha reso famoso – in base alla quale l’intero pianeta Terra sarebbe un unico organismo vivente capace di autoregolarsi. E’ poi anche l’inventore del rivelatore a cattura di elettroni, che ci ha aiutato a scoprire il buco nell’ozono. E’ uno scienziato indipendente, ma gode di grande credito. Ha collaborato per anni con la Nasa, ma nella home non ne trovo traccia. Piuttosto, in quello stesso spazio si attribuisce l’invenzione del forno a microonde (su questo avrei dei dubbi, basta una ricerca molto rapida su Internet per convincersi che esistono spiegazioni più convincenti per la sua esistenza).

Decisamente un tipo curioso.

Antonello Provenzale cosa pensa di Lovelock?

Lo trovo intrigante e divertente: è un eccentrico.

E l’ipotesi ‘Gaia’? Secondo lei è fondata?

E’ molto interessante. Tutto è iniziato con uno studio sul plancton. Sappiamo che questo vive bene se la radiazione solare non è troppo forte. Poi è stato scoperto che in particolari condizioni emette sostanze volatili, e un’ipotesi di Lovelock, mai provata, è che queste sostanze possano fungere da nuclei di condensazione per le nuvole, schermando il sole.

In pratica, se il plancton si sta ‘scottando’ perché riceve troppo sole si… fabbrica una nuvola?

Non è mai stata provata, ma si è rivelata un’ipotesi molto utile: fu tra le prime a parlare dei vari meccanismi di autoregolazione del pianeta.

Quindi la Terra è un super organismo che si autoregola?

Questo mi pare un po’ estremo.

Che però la biosfera riesca fortissimamente a influenzare i cambiamenti climatici, è indubbio. Le idee di Lovelock hanno influenzato tutta la ricerca sui cicli biogeochimici, che sono una parte importante dei cicli climatici. Bisogna dire però che accanto all’ipotesi ‘Gaia’ esiste un’ipotesi ‘Medea’, secondo la quale invece la biosfera può anche distruggere se stessa. Insomma, anche se fosse vero che gli esseri viventi che popolano il pianeta hanno un ruolo nel suo equilibrio, non è detto che questo ruolo sia sempre di stabilizzazione. La cosa davvero importante è capire che il clima è così perché c’è la biosfera, e se questa non ci fosse sarebbe diverso.

Ma questa biosfera esattamente cos’è?

E’ il sottile strato di materia vivente che sta tra poco sotto la superficie del pianeta e i primi chilometri di atmosfera. Il ruolo più importante è quello dei vegetali, ma in generale ci sono specie particolari che hanno più importanza di altri. Alcune, per questo motivo, sono chiamate ingegneri dell’ecosistema. Basta pensare ai castori, che sono capaci di trasformare una valle in un lago costruendo dighe. La domanda è se questi organismi abbiano influenza solo su cambiamenti a livello locale o anche planetario. Ancora non lo sappiamo.

Lovelock sostiene che abbiamo passato il punto di non ritorno, il ‘tipping point‘ del cambiamento climatico, e che ormai non si può più tornare indietro. E’ vero?

Io credo di no, però non posso dirlo con certezza. Nessuno può. Per questo non capisco bene lui cosa intenda. Da un punto di vista fisico, non mi pare ci siano evidenze. Non siamo ancora a una biforcazione: ancora oggi, per esempio, più gas serra aggiungi, più crei cambiamenti climatici. Meno ne immetti nell’atmosfera, meno ne crei. Non ci sono segnali di effetti moltiplicatori, per esempio di un collasso della corrente del Golfo e della circolazione termoalina (la circolazione profonda degli oceani, ndr) dovuti alla fusione dei ghiacci polari, che potrebbero avere conseguenze di grande portata. D’altra parte è anche vero che il tipping point è caratterizzato proprio dal fatto di arrivare in modo inaspettato… quindi non puoi dire che ci siamo vicini, ma neanche che non ci siamo.

Alcuni sostengono che tutto quello che abbiamo fatto finora non è servito ad altro che a pulirci la coscienza e non ha avuto alcuna utilità nel contrastare i cambiamenti climatici. E’ d’accordo?

Il dibattito su questo tema è molto acceso. Bisogna ammettere che molte delle cose che si fanno in questo ambito sembrano servire più a metterci in pace con noi stessi che a migliorare la situazione. Allo stesso tempo però io credo che una significativa riduzione delle emissioni servirebbe eccome. Il punto è che è difficile ottenerla. Quel poco di riduzione che c’è stata è forse più legata alla crisi che ad altro.

E le rinnovabili? Che ruolo hanno in tutto questo? Secondo Lovelock proprio nessuno. Ovvero: nessuna influenza benefica sul climate change.

Temo che abbia abbastanza ragione. A questo punto o troviamo una nuova tecnologia per il solare o altrimenti il resto serve a poco. Io non sono un esperto di energia, ma anche l’idea di risolvere il problema mettendo insieme tante rinnovabili, che era il vecchio sogno ambientalista, non so proprio quanto possa funzionare.

Insomma, cosa ci rimane da fare contro i cambiamenti climatici?

Possiamo fare molte cose diverse. Per esempio, ridurre gli aerosol carboniosi, quella sorta di fuliggine, che è sia inquinante che riscaldante, che si deve alla combustione incompleta. Per esempio agli incendi, o al fatto di bruciare carbone o combustibili di bassa qualità. In Asia la situazione è tremenda. Il Cnr esegue periodicamente delle misure sull’Himalaya e quando c’è brezza di valle, in periodo premonsonico, è più inquinato a 5.000 metri che in una città europea! Poi naturalmente dovremmo impegnarci per una seria diminuzione delle emissioni di CO2. Infine, mi pare che la cosa più importante sia cercare di capire esattamente cosa succederà, in modo da avere il tempo di adattarci. Direi che ci vuole sempre più attenzione all’adattamento, senza però dimenticare la mitigazione. Ci vorranno nuove tecnologie.

Anche lei è convinto che la nostra occasione di sopravvivenza dipenda da più tecnologia e non da meno? E quale sarebbe poi questa tecnologia?

Per molto tempo in alcuni ambiti ambientalisti si è sognato il ritorno all’Arcadia. Un sogno magari inespresso, ma sottinteso psicologicamente. Un sogno pericoloso, non solo perché l’Arcadia non era affatto arcadica, e si viveva molto peggio 100 anni fa di oggi, ma anche perché se i danni sul clima sono prodotti dalla tecnologia, solo quella può contribuire a risolverli. Credo che tra le tecnologie di cui avremo più bisogno ci saranno quelle che consentiranno un efficiente utilizzo dell’energia solare. E poi la fusione nucleare, quindi un nucleare relativamente pulito e con poche scorie. Ma anche una gestione delle risorse idriche più avanzata. E lo stop al petrolio. Non a caso la Bp, la ex British Petroleum, si chiama sempre BP, ma ha deciso che ora la sigla sta per beyond petroleum, oltre il petrolio. Un’iniziativa commerciale, certo, che però dice parecchio sulla nostra speranza che lo sviluppo di energie “alternative” riesca a soppiantare lo status quo basato sull’uso dei combustibili fossili.

Cosa rispondere adesso al mio amico? Inutile preoccuparsi delle pensioni, tanto saremo tutti annegati, per quando ci arriveremo? Non sono una pessimista, e stavo ancora ritardando la consegna di questo post in cerca di un messaggio positivo, di un consiglio per continuare a sentirci utili e a fare la nostra parte per salvarci da noi stessi. Senza contare che il mondo è ancora pieno di scettici e di persone convinte che i cambiamenti climatici siano frutto della fantasia di qualcuno. Poi è arrivato John Kerry, il Segretario di stato americano. Ha tenuto una conferenza in Indonesia e ha detto: “In un certo senso, i cambiamenti climatici possono ormai essere considerati un’altra arma di distruzione di massa, forse la più spaventosa arma di distruzione di massa che esista al mondo. (…) Non dobbiamo lasciare che una piccola minoranza di scienziati scadenti e ideologisti estremi entrino in competizione con i fatti scientifici. Coloro che si rifiutano di credere stanno semplicemente nascondendo la testa sotto la sabbia”. Leggo e rileggo. Cerco il messaggio positivo che sicuramente, da bravo americano, avrà infilato da qualche parte. Alla fine lo trovo: “Non è un’esagerazione dire che l’intero stile di vita che state conducendo e amate è a rischio”.

Non vi sembra granché ottimistico? Mettiamola così: per adesso Kerry era rivolto agli studenti di Jakarta, dato che l’Indonesia è una delle nazioni maggiormente a rischio a causa dei cambiamenti climatici. Con l’aria che tira, mi sa che bisogna accontentarsi…

Roma, 05 marzo 2014Alessandra Viola

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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Scritto da chef

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