Perché dobbiamo opporci al regime di sorveglianza di massa in Internet

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Reset the net: giornata d’attivismo contro la sorveglianza di massa via Internet. Questa l’iniziativa appena annunciata da una coalizione Usa (Fight for the Future) composta da varie aziende hi-tech (tra cui Reddit, DuckDuckGo, Free Software Foundation, CREDO Mobile) e associazioni a difesa dei diritti civili. Significativa la data scelta, il 5 giugno prossimo, primo anniversario delle rivelazioni dell’ex impiegato della NSA (National Security Agency) Edward Snowden sul programma di sorveglianza elettronica iper-segreto PRISM.

In preparazione un apposito banner-schermata da diffondere a tappeto su siti web e app, mentre è già pronto un pacchetto pro privacy contenente vario software libero che ciascuno di noi può utilizzare per coprire le proprie tracce elettroniche.Oltre a mantenere alta l’attenzione su temi di scottante attualità globale, obiettivo di fondo dell’iniziativa è quello di dare forza e strumenti adeguati ai singoli cittadini per auto-tutelarsi, spingendo altresì gli sviluppatori a crearne di più efficaci.

Un insieme di pratiche sempre più cruciali, come spiega fra l’altro il video di presentazione di Reset the Net.

«La NSA si basa sulla raccolta di dati non sicuri diffusi sulle fibre ottiche sotto sorveglianza. La sua attività dipende dai nostri errori, a cui possiamo porre rimedio. È questo il punto debole dello spionaggio di Stato»,

Questa giornata di cyber-attivismo si rifà direttamente all’analoga iniziativa che nel gennaio 2012 portò al ritiro della proposta di legge federale ‘anti-pirateria’ nota come SOPA. Migliaia i siti web oscurati e tante le proteste nelle strade, per una campagna trasversale di successo – grazie anche all’esplicito appoggio di giganti hi-tech quali Aol, PayPal, Google e Twitter, che però stavolta non hanno (ancora) preso posizione.

Ciò anche perché la sorveglianza diffusa va ben oltre l’ambito di Internet e si esplicita in molte forme, portando così a una diversità di approcci per impedirla o aggirarla. Non a caso alcune di tali aziende online hanno già messo in atto concrete misure di sicurezza, mentre è vero che tocca a noi implementare strumenti e accorgimenti adeguati. Senza eccessive paranoie, ma con massima consapevolezza soprattutto rispetto a uno scenario futuro a dir poco preoccupante.

È ad esempio il caso della cosiddetta ‘wide area surveillance’ che va prendendo piede sul territorio statunitense. Una serie di telecamere piazzate su piccoli aerei (e sui droni quanto prima) consente di monitorare e registrare i movimenti di ogni persona e ogni veicolo a terra, per un raggio di quasi 65 kilometri quadrati e fino a sei ore consecutive.

Il primo test specifico (e segreto) è stato condotto per due settimane nel 2012 a Compton, cittadina a sud di Los Angeles con meno di 100.000 abitanti e un alto livello di criminalità spicciola, oltre a prove ridotte in metropoli quali Filadelfia e Baltimore.

Si tratta di una tecnologia messa a punto dalla Dayton, azienda dell’Ohio specializzata in sistemi di sorveglianza persistente, e parzialmente basata su quanto già applicato dalla Air Force in Iraq e Afghanistan. In pratica, una versione live di Google Earth integrata con le funzionalità del videoregistratore digitale TIVO: è così possibile seguire in tempo reale l’azione oppure ‘riavvolgere il nastro’ e rivedere da vicino eventi già trascorsi ma prima trascurati o inosservati. Secondo la polizia, ciò sarebbe utile per tracciare le mosse di individui coinvolti in sparatorie, rapine, spaccio di droghe e simili reati quotidiani.

Il sistema costa sui 4 milioni di dollari, poco meno di un elicottero, però non offre ancora la risoluzione necessaria per rivelare numeri di targa delle automobili o i tratti delle persone, elementi necessari come prove processuali, ma è solo questione di tempo prima che ciò si concretizzi. E comunque resta il fatto che la polizia (o altri) potranno ricorrervi per seguire gli spostamenti in strada di chicchessia, su un’area alquanto vasta e a nostra completa insaputa.

Da notare che questo non è altro che uno degli strumenti di sorveglianza diffusa impiegati dalla polizia Usa a livello locale, grazie in particolare ai fondi federali elargiti dopo l’11 settembre per generiche attività ‘anti-terrorismo’. A cui vanno aggiunte tecnologie a cui purtroppo siamo già avvezzi, volenti o nolenti: telecamere ai semafori e in spazi pubblici, intercettazioni telefoniche senza limiti, automobili e abitazioni monitorate a distanza, tracce digitali facilmente registrabili. Un quadro che porta a domande più che lecite: quando la sorveglianza si fa così pervasiva, è possibile ignorarne le implicazioni su vasta scala? Come sfuggire agli effetti concreti per la vita dei cittadini e per il senso stesso della democrazia? E possiamo davvero rifugiarci dietro presunti alibi del tipo: “tanto io non ho nulla da nascondere”?

Nelle maglie di una rete di controllo così capillare, è anzi chi non ha nulla da nascondere a rischiare di ritrovarsi casualmente tra i sospettati o di perdere ogni garanzia costituzionale e il diritto alla privacy, mentre terroristi e criminali continuano a operare nel ‘deep web’ e tramite circuiti più nascosti. Ancor peggio, il danno finale è che finiamo per interiorizzare questo stato di sorveglianza e per auto-censurare pensieri, parole e azioni personali fino a perdere il senso e la pratica di quella libertà che ci rende persone uniche in quanto tali. Una prospettiva che ha (e avrà) profonde implicazioni negative per i valori individuali e per la società nel suo insieme – e da cui non è semplice districarsi.

È quanto sottolinea fra l’altro la giornalista investigativa Julia Angwin in Dragnet Nation, recente volume che dettaglia fra l’altro alcuni esperimenti sul campo per reclamare la propria privacy e libertà di movimento, dall’abbandono completo di Google all’uso di cellulari usa e getta. Ne risulta l’estrema difficoltà per il cittadino medio di sfuggire ai tentacoli di questa mega-rete di controllo diffuso e, corollario non da poco, all’economia della sorveglianza.

Altresì importante è ricordare che democrazia significa anche poter «dire no a chi ti chiede di tirarti giù i pantaloni in pubblico», riprendendo la provocazione lanciata qualche giorno fa dall’hacktivist Jacob Appelbaum sul palco di re:publica 2014 a Berlino. «Quando navighi su Internet, non puoi dire di no alla NSA. Loro non te lo chiedono di toglierti i pantaloni. Lo fanno e basta», ha insistito il co-ideatore di Tor, software che garantisce l’anonimato online. Ovvero, la discriminante della democrazia sta esattamente nella possibilità di scegliere. Opzione negata invece nei regimi dell’ex Germania comunista, per fare un esempio storico di recente memoria, che pure professavano di voler lasciare in pace “chi non aveva nulla nascondere”. E se oggi la Rete è aperta, non possiamo dare per scontato che domani resti davvero libera.

In senso più generale, occorre tenere a mente che, pur nel mondo post 11 settembre, è possibile garantire la sicurezza nazionale senza per questo spazzar via le basi della comunicazione personale o del libero commercio, e senza mettere il naso nei dettagli della nostra vita quotidiana. Meno che mai online. Lo ribadisce perfino un ampio gruppo di accademici e ricercatori nel campo della crittografia e della sicurezza informatica, tramite una lettera aperta alle autorità Usa affinché «rifiutino la società della sorveglianza e la sovversione della sicurezza tecnologica, adottando invece strumenti aggiornati a tutela della privacy e applicando normative ispirate a sostenere i diritti umani e l’innovazione tecnologica».

Non va infine sottovalutato il fatto che, pur avendo radici consolidate oltreoceano, il trend all’iper-sorveglianza va affermandosi ovunque nel mondo. Dentro e fuori Internet. Ponendosi come questione sociale, culturale e politica a cui non possiamo (né dobbiamo) sfuggire. Ecco perché è importante tenere gli occhi aperti e darsi da fare in prima persona – magari coinvolgendosi in azioni come quella proposta da Reset the net, oltre che attivando iniziative locali e implementando strumenti di auto-difesa. Prima che sia davvero troppo tardi.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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