La lezione dei fabbers africani: basta con prodotti standardizzati

lifestyle

Lunedì 10 febbraio sarà presentato al museo Madre il progetto African Fabbers, sviluppato in collaborazione con Urban FabLab e Maria Giovanna Mancini.

Il progetto, che sarà ospitato alle Biennali d’Arte Contemporanea di Marrakech (febbraio – marzo 2014) e Dakar (maggio 2014) si pone come obiettivo l’interazione delle comunità di creativi, makers europei ed africani attraverso workshop, progetti collaborativi e incontri pubblici.

African Fabbers, per chi come noi contribuisce ad animare un Fablab, nasce con l’intento di sovvertire le logiche consumistiche che spesso sottendono ad ogni processo di innovazione tecnologica mettendo in rilievo piuttosto le opportunità di innovazione sociale e culturale che da essa derivano. Le esperienze di vita e di lavoro maturate nel tempo tra Europa e Africa mi hanno sempre di più spinto a riflettere sul rapporto tra le forme di auto-produzione spontanee tipiche di alcuni contesti ed i sistemi complessi che sono invece alla base dei processi computazionali che caratterizzano lo sviluppo delle società occidentali.

Grazie anche al lavoro di antropologi e ricercatori come Ron Eglash (consiglio a tutti il suo libro “African Fractals”) ho trovato conferma sulla possibilità che i due mondi, apparentemente così lontani, possano lavorare ad una piattaforma comune per sperimentare insieme nuovi linguaggi e nuovi processi produttivi possibilmente sostenibili.

Infatti analizzando in modo scientifico i linguaggi creativi e le tecniche che caratterizzano alcune zone dell’Africa è chiaro quanto sia forte la capacità di sviluppare in modo generativo, spesso “un-explicit”, algoritmi complessi (contextual algorithms) per manipolare la materia realizzando oggetti d’uso comune, opere d’arte, tessuti, insediamenti abitativi etc. Quello che è davvero interessante in questo enorme patrimonio culturale è l’ecologia dei processi, la capacità di utilizzare al massimo le risorse locali, la semplicità ed il rigore con cui vengono utilizzate geometrie e forme complesse al fine di risolvere questioni assai concrete.

Sembrerebbe quasi che, mentre le società occidentali continuano spingere nella direzione di utilizzare la tecnologia per standardizzare i prodotti (spesso con gravi ricadute ambientali e sociali), in alcuni contesti da noi considerati “poveri” si cerca di lavorare (per necessità e per cultura) a processi produttivi a basso costo che forniscono soluzioni diversificate, “self-similar”, in osmosi con il contesto specifico. In tal senso African Fabbers intende essere anche un agenda di ricerca che riflette la necessità di riconciliare questi due approcci rivedendo il rapporto tra teknè e natura, raccogliendo la sfida di far interagire saperi e tecniche millenarie con la cultura della fabbricazione digitale. Per questo motivo oltre che a lavorare sui linguaggi e sui materiali lavoreremo sulla possibilità di rendere accessibile la tecnologia in determinati contesti attraverso l’auto-costruzione di stampanti 3D a basso costo ovviamente in modalità open source hardware.

Per questo motivo il progetto svilupperà nelle diverse tappe un FabLab itinerante, concepito come atelier aperto e interdisciplinare. Il laboratorio ospiterà workshop, talks ed installazioni temporanee sui diversi temi del computational design, sempre combinando la sperimentazione di macchine a controllo numerico con l’uso di materiali e tecniche locali e ecologici.

In occasione della conferenza di presentazione al museo Madre sarà inoltre presentato il programma dei workshop delle singole tappe del progetto, che sottendono ad una fitta agenda di ricerca che coinvolge partner e istituzioni culturali internazionali. Questi workshop sono rivolti a studenti, designer, artigiani e creativi europei e africani selezionati in parte dalle istituzioni culturali partner del progetto, e in parte attraverso pubbliche open call internazionali. Il progetto ovviamente è in perenne work in progress e tutti quelli che come me lavorano a African Fabbers sperano cha articoli come questi possano attivare possibili sinergie e collaborazioni sul tema.

Sostengono il progetto: Fondazione Idis/Città della Scienza (progetto KiiCS ), Fondazione Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti Iscritti a Inarcassa in collaborazione con ESAV – Ecole Supérieure des Arts Visuels, il CFQMAM – Centre de Formation et Qualification dans le Métiers de l’Artisanat, Voice Gallery, Marrakech; Wasp, il partner tecnologico, mette a disposizione del progetto un prototipo di stampante 3D di grandi dimensioni per argilla e materiali naturali.

Paolo Cascone

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

What do you think?

Scritto da chef

scienze

La scoperta delle macchie solari compie 400 anni

innovaizone

Il nutrizionista degli astronauti (e di Samantha Cristoforetti)