La città invisibile: cronache di dolore e resistenza a Bruxelles

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Ci risiamo. Le esplosioni di un tragico mattino hanno riportato Bruxelles alla situazione di blocco già sperimentata a novembre 2015, dopo gli attentati del Bataclan a Parigi. L’aeroporto è chiuso. Le stazioni ferroviarie sono state evacuate. La rete di trasporti pubblici è completamente bloccata. I cinema e i musei sono chiusi. L’Université Libre de Bruxelles è stata evacuata. Nessuno può entrare né uscire dalle scuole. Le reti di telefonia cellulare sono intasate e funzionano a singhiozzo. Il governo ha dichiarato lo stato di massima allerta e invita tutti a restare in casa.

L’esperienza di novembre ha dato un nome a questo stato: #BrusselsLockdown, il Blocco, con la maiuscola. Non è una situazione facile. Ma, come a novembre, non è nemmeno una situazione disperata. Come a novembre, come sempre, le immagini che vedete in televisione non sono affatto rappresentative della vita in città.

Nel mio quartiere – tra Saint-Gilles e Forest – i negozi sono aperti. I bruxellesi siedono ai tavolini all’aperto nei caffè (la giornata è soleggiata e tiepida – la foto è abbastanza rappresentativa di un giorno normale quando il tempo è bello); scuotendo la testa, si scambiano piccole esperienze di vita ai tempi di questo nuovo Blocco.

A novembre, la città aveva già dato prova di nervi saldi e di un senso dello humour surrealista e tutto belga. In risposta alla richiesta del governo di mantenere il silenzio radio sui social media durante le perquisizioni della polizia, i cittadini avevano inondato Twitter di fotografie di gatti. Un modo spiritoso e umanissimo di collaborare senza per questo chinare la testa. Sono sicuro che la stessa verve si manifesterà anche questa volta.

In parte sta già succedendo; immagini irriverenti riempiono i social media, e i bruxellesi offrono ospitalità via Twitter a chi è rimasto bloccato in città.

La verità è questa: questa città non può cedere alla paura del terrorismo. Non nel senso che non voglia (anche se è vero che non vuole); e nemmeno nel senso di averne il dovere morale (anche se ce l’ha). È proprio che fisicamente non può. Non credo esista al mondo una città che, pur essendo relativamente piccola, sia abitata da una popolazione così diversa. Camminando per le strade di Saint-Gilles incontri persone di tutto il mondo, e senti parlare tantissime lingue: francese, olandese, inglese, arabo, portoghese, polacco, italiano, spagnolo. Ci sono messe cattoliche in portoghese, e autoscuole dove puoi prendere la patente in polacco.

Bruxelles, la città multietnica che vogliamo

Secondo l’agenzia statistica nazionale, al 1 gennaio 2015 Bruxelles contava 771.000 residenti belgi e 398.000 stranieri residenti. Oltre un terzo della popolazione non ha cittadinanza belga! Le nazionalità straniere più rappresentate sono: francese, marocchina, romena, italiana, polacca, spagnola, portoghese, tedesca, bulgara e turca (fonte 1, fonte 2). Inoltre, questo dato non tiene conto del fatto che le persone con doppia cittadinanza sono considerate come cittadini belgi. Solo il 44% dei bruxellesi era in possesso della cittadinanza belga già al momento della nascita.

La maggioranza dei cittadini belgi naturalizzati proviene da paesi non europei.

Provengono da paesi come il Marocco, la Turchia, il Congo e la Guinea (gli europei godono di quasi tutti i diritti dei cittadini belgi senza doversi preoccupare di acquisire la cittadinanza – magia dell’Unione Europea!). Secondo alcune stime, il 25% dei bruxellesi è di religione musulmana. Questa Bruxelles, quella dove vivo io, è invisibile per chi conosce la città solo per le istituzioni europee o i recenti problemi di sicurezza. Ma non per questo è meno viva e vera.

Qui a Bruxelles, cedere alla xenofobia vuol dire non salutare il vicino romeno o tedesco; cambiare il tuo verduraio preferito (marocchino) e il tuo bar (italiano). Nella casa dove vivo dovremmo ostracizzarci a vicenda: siamo due francesi, una polacca, una svedese e io, italiano. Non è proponibile. Bruxelles è l’Europa come potrebbe essere, e come diventerà se non ci perdiamo per strada.

Quindi: no surrender. La sera a casa nostra facciamo un open house. Con amici egiziani, americani, italiani, belgi. Brindiamo alla città che ci rende fratelli e sorelle senza chiederci di essere uguali; e nel tempo ce la riprenderemo, come è successo dopo il Blocco di novembre. I responsabili di questa tragedia saranno arrestati e puniti, come è successo con quelli del Bataclan. È Bruxelles, bellezza. Brindate con noi, dovunque siate.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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