Ecco perché l’Europa può diventare un paradiso per le startup

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Caro Matteo, credo che tu ieri abbia conquistato un primato, quello della parola selfie pronunciata per la prima volta all’interno di un discorso al Parlamento Europeo. Hai immaginato che se l’Europa si facesse un selfie il suo volto apparirebbe stanco, rassegnato – persino annoiato. Credo anche però che quando si rimprovera qualcuno è perché si è consci del suo potenziale di miglioramento – altrimenti lasceremmo perdere. Sarà questo lo spirito col quale ci incontreremo a Restart Europe, in apertura di Digital Venice. Insieme ad altri 99 giovani europei discuteremo di città, lavoro, democrazia, economia ed istruzione, avanzando proposte digitali per riavviare l’Europa proprio come se fosse un computer rallentato che inizia a preoccuparci. Son sicura che parleremo di tasse inferiori, di standard per società europee a responsabilità limitata, di come sensibilizzare genitori e patron d’azienda su che lavoro faccia quotidianamente un community manager.

Il mio ufficio oggi è del tutto digitale, coordino una delle newsroom più innovative e non convenzionali della rete. Ho la fortuna di poter scegliere da dove lavorare, finché la tecnologia è con me. Ed ho scelto. Ho fondato una startup negli Stati Uniti, dove sono nata. Con un’idea che però sarebbe stato impossibile concepire fuori dall’Italia, dove sono cresciuta. Ed ora mi trovo al centro, per dare il mio contributo di idee all’Europa. Matteo, avrai parlato e sentito parlare tante volte di cervelli in fuga. Voglio parlarti invece dei cervelli in movimento. Se ci pensi, è un semplice cambio di terminologia che però rispecchia molto meglio come gli under 30 oggi si approccino al lavoro – e la generazione Z seguirà le nostre orme.

Lo sai che se cerchi su Google “le migliori città europee per startup” a capitanare la lista ci sono Londra e Tel Aviv? Eppure abbiamo Berlino, Barcellona, la Scandinavia coi suoi Skype, Ruzzle ed Angry Birds. Prima guardiamo con ammirazione curiosa la Silicon Valley. Poi diciamo che non dobbiamo e non possiamo esportarla qui da noi. Son daccordo, ma vedo un quadro ancora troppo embrionale e frammentato per poter rispondere con un modello tutto nostro. E allora ripartiamo dalle quattro libertà su cui è stata fondata l’Unione Europea: merci, servizi, capitali e persone. Durante Restart Europe capiremo come metterle al servizio dell’innovazione nascente, in nome del rischio che corre chi crede di poter migliorare la vita degli altri con la tecnologia – e poi ci riesce.

Abbiamo qualcosa noi che gli altri non hanno: l’Europa è un forte brand sovranazionale che può contare anche sulle forze valoriali dei suoi Stati membri – tutti densi di una ricchezza specifica e, se vogliamo, complementare tra loro.

Roma potrebbe essere il paradiso delle startup food e lifestyle, mentre Amsterdam si sta specializzando sul fintech. Berlino ha tanto da insegnare sul coworking al resto del mondo. Parigi è il pioniere degli startup visa a quanto pare mentre Barcellona si sta imponendo sempre più come hub centrale per la stampa 3D e la digital fabrication. Non devo per forza farti solo esempi di grandi metropoli, perché non è questione di dimensione o densità urbana o chissà cosa. Sto parlando di uno spirito startup che pervade fasce sempre più ampie della popolazione, in maniera diversa a seconda della città in cui ci si trova. Mi piace pensare che Gibilterra sia il luogo archetipico ideale per spostare sempre più in là la frontiera tecnologica. Guarda anche cosa succede in Italia: Napoli è la maestra del bootstrapping e del massimizzare i risultati con quel (poco) che si ha. Trento incarna uno splendido esempio di equilibrio tra accelerazione imprenditoriale e ritorno di valore per la comunità locale al contempo. Cagliari ha dimensioni ed infrastrutture perfette per accogliere chi vive di creatività ed innovazione digitale. Sai, Matteo, cosa potrebbe valorizzare questo spirito startup che alimenta in maniera diversa moltissime città europee?

Le Capitali Europee della Cultura hanno 30 anni – che è quasi la mia età. Vogliamo inaugurare le Capitali Europee delle Startup? L’obiettivo è quello di creare un’esibizione permanente ed itinerante, di anno in anno e da città a città, che valorizzi ed incentivi come non mai l’imprenditorialità nascente in Europa. Significherebbe spingere i cervelli a muoversi, continuamente, all’interno dell’Unione. Il framework e le procedure sarebbero le stesse che per la Capitali della Cultura, con le nazioni e poi le città che competono tra loro per essere designate. Si tratterebbe solo di adattare il tutto alle esigenze dell’ecosistema startup – pensa, sarebbe la più grande applicazione di quel metodo lean così osannato dagli startupper. Quali selfie vedo scattare in una Startup Capital? Vedo il co-founder Skype che adotta un brillante startupper spagnolo alle prime armi nell’ambito di un evento di mentorship. Vedo un CEO polacco appena finanziato aprire le porte dei suoi uffici per condividere cultura, metodi, errori e successi con chiunque voglia ascoltarlo. Vedo una ragazza di Sofia, laureata in biotecnologie, aspettare nella lobby di un venture italiano poco prima di iniziare il suo pitch. Matteo, quest’idea è solo un’idea ed è anche semplice. Ma credo possa essere una soluzione alle startup che nascono qui e poi vanno via, altrove, e difficilmente torneranno. “Il virtuale moltiplica le occasioni di attualizzare il reale”, scriveva Pierre Lévy. Vorrei che le Startup Capital nascessero proprio per questo: moltiplicare le merci, arricchire servizi, far crescere i capitali, realizzare le persone.

07 luglio 2014Adele Savarese

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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