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Il deserto incombe, anche sull’Italia: tutte le iniziative energetiche (poco note) per fermarlo

L’Italia, con l’ultimo decreto firmato da Conte, ha stanziato 210 milioni di euro: il dato dice tutto sulla nostra consapevolezza del problema.

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Il deserto incombe, anche sull’Italia

Il deserto avanza. Nel mondo perdiamo 24 miliardi di tonnellate di terra fertile ogni anno e 15 miliardi di alberi ogni ora. Il dato spaventoso è stato presentato il 17 giugno dalla Convenzione Onu per la lotta alla desertificazione (Unccd), ratificata da 200 Paesi, in occasione della Giornata mondiale contro la siccità. All’evento, ospitato dal Korea Service Forest di Seoul, non erano presenti fanatici ambientalisti desiderosi di terrorizzarci, ma ministri di paesi strategici per l’economia globale. Gli Emirati Arabi Uniti hanno proiettato un video che mostra come il paese stia usando la tecnologia per superare l’aridità del suolo e coltivare riso. L’India ha annunciato di aver stanziato oltre 260 miliardi di dollari, il 10% del Pil, per una serie di politiche ambientali che prevedono, tra l’altro, il ripristino di 26 milioni di ettari di terra degradata entro il 2030 e un recupero della copertura forestale del 2%.

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Il deserto incombe anche sull’Italia

L’Italia, con l’ultimo decreto firmato da Conte, ha stanziato 210 milioni di euro. Il dato dice tutto sulla nostra consapevolezza del problema. La misera coperta finanziaria riguarda progetti di imprese private, volte alla transizione verso un modello di economia circolare, che vanno 500mila euro a massimo 2 milioni di euro per una durata non superiore ai 3 anni. Se investi troppo e troppo a lungo, insomma, niente liquidi. Non un euro o una idea per la promozione di agricolture sostenibili, banche alimentari, colture resistenti alla siccità, bonifica dei terreni e recupero dell’acqua. Eppure anche il nostro Paese rischia di diventare un deserto. D’asfalto, oltre che di sabbia. Le regioni più a rischio, secondo Legambiente, sono al Sud: in Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna il pericolo di desertificazione è pari a oltre il 50 del territorio.

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Non è colpa solo di monocolture, sostanze chimiche e pascoli selvaggi: tra le pratiche non sostenibili c’è anche la cementificazione. Secondo l’Istat un quinto delle nostre abitazioni sono vuote, abbandonate a se stesse. Le vediamo attraversando città e campagne: edifici, cascine, masserie, stabili d’ogni dimensione e destinazione d’uso ridotti a fantasmi diroccati, invasi dalla vegetazione, che ostacolano la vista e deturpano il paesaggio. Ma anziché ristrutturarli, proseguiamo imperterriti a costruirne di nuovi, accanto a quelli inutilizzati. Le nostre vie pullulano di agenzie immobiliari, inferiori come numero solo ai bar.

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Su portoni di condomini e siti come Idealista, Trovacasa e Immobiliare le offerte si sprecano: è disponibile ogni genere di appartamento, dal loft all’attico, per tutte le tasche. L’affare è tirarne su altri, non venderli. A restaurare ed efficientare le strutture già a disposizione, evidentemente, si guadagna meno.

Continuiamo a colare cemento per innalzare palazzi che resteranno disabitati, pur di far guadagnare mille euro al mese agli operai edili (e milioni a costruttori, architetti e progettisti come Piano e Fuksas) e non svuotare le casse statali con cig, bonus, indennizzi e redditi vari. Per altro insufficienti ed elargiti a singhiozzo. E sì che Francesco Le Camera, dg dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena), ha sottolineato il potenziale occupazionale derivante dall’investimento nelle fonti alternative: «Posizionare la transizione energetica al centro della ripresa dal Covid 19 – ha detto – ci consentirà di superare l’attuale crisi economica e di affrontare quella climatica», aggiungendo che il comparto potrebbe creare fino a 100 milioni di posti di lavoro.

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Parole al vento. Pur di far cassa subito, rilanciare la nostra famigerata edilizia che crolla al primo acquazzone ed evitare il risentimento sociale alle urne, asfissiamo l’ambiente con nuovi obbrobri in calcestruzzo. Senza capire che è la terra la nostra fonte di sopravvivenza a lungo termine, non nuovi appartamenti e uffici nessuno potrà permettersi di acquistare e che, tanto più nell’era dello smart working, sono destinati a restare anche loro, appunto, deserti.

L’Italia potrà raccogliere elogi internazionali per come ha affrontato l’emergenza sanitaria, ma non certo per come sta fronteggiando quella economica ed energetica visto che nel 2020 è calata di due posizioni, dal 17° al 19° posto, nel ranking del Renewable Energy Country Attractiveness Index (Recai) di EY, il rapporto che classifica 40 Paesi in base all'attrattività di investimenti e opportunità di sviluppo nelle rinnovabili.

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E’ vero che a causa del Coronavirus gli investimenti nel comparto delle rinnovabili sono calati in tutto il mondo e la forte riduzione dei prezzi all’ingrosso ha rallentato lo sviluppo di nuove iniziative, ma è proprio la risacca dell’emergenza a rilanciare adesso l’ondata di Green Deal del post virus. Non in Italia. La holding russa Rusal, la più grande azienda produttrice di alluminio al mondo, ha inaugurato una campagna, Aluminium Green Vision, per promuovere il metallo a basse emissioni di CO2 – partendo dall’azzeramento dei dazi di importazione nella UE – grazie a quelle risorse idriche che si stanno prosciugando al sole.

L’Agenzia europea per la sicurezza aerea (Easa) ha certificato il suo primo aereo elettrico da utilizzare per l’addestramento di volo o altri usi commerciali: un ultraleggero, il Velis Electro, prodotto dalla slovena Pipistrel, che ha conseguito le attestazioni sia per il motore elettrico che per l’intero aeromobile. Due batterie da 11 kWh ciascuna garantiscono un’autonomia di 50 minuti di volo, per un’altezza massima raggiungibile di 3658 metri. C’è anche l’idrogeno, più facile da immagazzinare rispetto a solare o eolico: per il suo potenziamento la Germania ha messo sul piatto ben 9 miliardi del suo pacchetto per il rilancio post Covid, con l’obiettivo di raggiungere il 10% della produzione nazionale. L’Italia spera di fare tutto questo affidandosi all’iniziativa di singoli cittadini e amministratori di condominio promettendengoli, con il Superbonus del 110%, un rimborso spalmato in 5 anni, per accedere al quale occorrono tra l’altro una sfilza di requisiti.

Per cosa poi? Sostituire caldaie, infissi e rifare le facciate. Un po’ poco per fermare il deserto ed evitare lo scioglimento dei ghiacciai come in Val d’Aosta, recuperare terreni fertili e proteggere l’ambiente. Tutti abbiamo appreso con sorpresa i 38 gradi toccati quest’estate in Siberia, ma la notizia è stata trattata e vissuta più come una curiosità da leggere sotto ombrellone che come un campanello d’allarme. E non è l’unico. Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) l’Antartico si sta riscaldando a un ritmo tre volte superiore alla media del pianeta: negli ultimi 50 anni le temperature al Polo Sud sono cresciute in media di circa 3°C. Il fenomeno, come riporta Nature, è dovuto ai già noti cambiamenti climatici e in particolare alle profonde modifiche nella circolazione dei venti oceanici, che portano aria più calda e umida fino alle aree degli altopiani interni.

Nonostante tutto ci sono dei progetti in corso anche nel nostro Paese, naturalmente non governativi e passati sottotraccia. Tra i programmi più ambiziosi “Italia 1.5” – il nuovo piano di transizione energetica approntato da Greenpeace, con il supporto dell’Institute for Sustainable Future di Sydney (Isf) – permetterebbe, se fosse preso in considerazione, di rispettare gli accordi di Parigi (contenere l’aumento della temperatura globale entro 1.5°C) diventando un Paese a emissioni zero al 2040 e totalmente decarbonizzato al 2050. Un cambio sistemico che utilizza per il contesto italiano una metodologia già applicata su scala globale per lo scenario di decarbonizzazione del Pianeta promossa dalla Dicaprio Foundation e realizzata dalla stessa Isf, dall’Agenzia aerospaziale tedesca (Dlr) e dall’Università di Melbourne. Un panorama ben diverso da quello contemplato dal Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), consegnato dal governo all’Ue a inizio 2020, che continua sostanzialmente a puntare sul gas fossile senza comprendere gli enormi vantaggi di una rivoluzione energetica all’insegna della transizione.

Economici: grazie alla progressiva indipendenza energetica dalle forniture estere, la riconversione energetica potrebbe interamente finanziarsi con i risparmi derivanti dalla mancata importazione di combustibili fossili. E occupazionali: secondo lo studio entro il 2030 si creerebbero 163mila posti di lavoro, ovvero un aumento dell’occupazione diretta nel settore energetico pari al 65%. Altro esempio viene da Treviso, dove è da poco entrato in funzione il secondo impianto fotovoltaico che fornisce energia pulita alla Cantina Produttori di Valdobbiadene, tra le realtà storiche più rappresentative della denominazione Prosecco Superiore Docg: 1.548 pannelli installati sul tetto del nuovo polo logistico, per una potenza nominale di 495,36 Kwp e una produzione annua stimata in circa 520.000 Kw/h. Anche il vento potrebbe fare la sua parte: negli ultimi 20 anni ha visto aumentare di 75 volte la propria capacità di generazione eolica installata.

Sulla penisola sono attualmente in funzione 800 parchi che provvedono al fabbisogno di 17 milioni di persone, facendo risparmiare 20 milioni di barili di petrolio. Il problema, nella sua assoluta criticità, continua a non interessare quasi nessuno. Né ai cittadini, che s’accontentano di risolvere caldo e afa con un ventilatore e qualche doccia; né alle istituzioni, intenzionate a rivolgersi in maniera seria e definitiva alle nuove fonti solo quando nel sottosuolo non resterà più una sola goccia di petrolio. E non manca molto, a dir la verità. Il pensiero comune è che quando verrà la catastrofe, allora ci penseremo. Da anni sentiamo dire che è l’acqua il nuovo oro attorno a cui si scateneranno le guerre. Senza acqua, non c’è vita. Sarebbe meglio dunque evitare che evapori, e tutelare il verde, se non vogliamo fare la fine degli indigeni dell’Isola di Pasqua.

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Scritto da Giuseppe Gaetano