Data revolution per lo sviluppo sostenibile: è possibile?

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A settembre del 2015 l’Assemblea Generale dell’ONU definirà i cosiddetti “Obiettivi di Sviluppo Sostenibile”. Per la prima volta il mondo si doterà di un’agenda universale, senza distinguere più tra Paesi in via di sviluppo e Paesi sviluppati

Un’agenda che punta a migliorare non solo l’educazione, la salute, il reddito, ma anche a preservare l’ambiente, migliorare le istituzioni, ridurre le diseguaglianze e le discriminazioni

Cioè a portare il nostro pianeta su un sentiero di miglioramento del benessere di tutti, sostenibile sul piano ambientale ed equo su quello sociale. Si tratta, almeno potenzialmente, di una svolta epocale, così come lo è stata nel 2000 la definizione degli “Obiettivi di sviluppo del millennio”, che ha canalizzato verso i paesi in via di sviluppo un flusso senza precedenti di investimenti e di aiuti, grazie ai quali si è verificato un netto miglioramento delle condizioni di vita di miliardi di persone e una riduzione della povertà in vaste aree del mondo.

Dal #DataDays all’ONU (fonte: Twitter.com/data_rev)

Ma come faremo a sapere se i governi manterranno le loro promesse, se la situazione ambientale migliorerà, se le nazioni saranno più pacifiche, se la povertà diminuirà, se le istituzioni pubbliche funzioneranno meglio? Già oggi, nonostante i tanti dati statistici disponibili, abbiamo ancora buchi informativi inaccettabili, soprattutto nei paesi meno sviluppati: intere popolazioni non sono contate nei censimenti, su tanti fenomeni non abbiamo dati affidabili, molti dati arrivano con grande ritardo o non vengono resi disponibili al pubblico. Accade poi che chi deve prendere decisioni spesso non sa come utilizzare i dati o all’estremo opposto che i dati personali vengano usati contro gli individui o particolari gruppi sociali.

I progressi verso lo sviluppo sostenibile verranno monitorati in base ad un sistema di indicatori statistici di una complessità senza precedenti

Abbracciando la filosofia di andare “oltre il PIL”, fenomeni come la salute e l’istruzione, la pace e la qualità delle istituzioni, lo stato dell’ambiente e le disuguaglianze sociali dovranno essere misurati con continuità e non solo a livello nazionale o aggregato, ma con dettagli territoriali spinti e per singoli gruppi socio-economici (genere, reddito, ecc.).

Insomma, una mission impossible se non ricorrendo alla grande opportunità offerta dalla data revolution.

La nomina di Enrico Giovannini (fonte: Twitter.com/data_rev)

A fine agosto sono stato incaricato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite di guidare un gruppo di lavoro composto da venti esperti provenienti da tutto il mondo per immaginare come la data revolution (definita come un’esplosione, dovuta alle nuove tecnologie, nel volume dei dati prodotti, nella velocità con cui tale produzione avviene, nel numero di produttori di dati, nei fenomeni oggetto di misurazione e nella domanda di dati da parte di tutte le componenti della società) possa essere messa a servizio di questa nuova agenda globale. Il rapporto che abbiamo predisposto “A World that counts”, disponibile sul sito www.undatarevolution.org, non solo sostiene che la rivoluzione è già in atto, ma anche che senza un’azione forte da parte delle istituzioni internazionali, dei governi, delle imprese e della società civile essa condurrà ad un aumento delle diseguaglianze tra paesi ricchi e paesi poveri, tra settore privato e settore pubblico, tra chi sa usare i dati e chi non ha questa capacità.

Il Rapporto suggerisce di intraprendere subito alcune azioni, agendo lungo quattro direttrici principali:

1. Sviluppare un consenso globale su principi e standard legati ai dati, da travasare poi nelle legislazioni nazionali. Parliamo di standard di carattere etico, legale, tecnico, statistico che favoriscano al massimo la raccolta, l’elaborazione e la diffusione in formato aperto di dati sui fenomeni economici, sociali e ambientali, proteggendo la privacy degli individui e lottando contro gli abusi nell’uso dei dati.

2. Creare un “network di networks” legati all’innovazione nel campo dei dati, così da favorire lo sviluppo e l’utilizzo di approcci avanzati nella produzione statistica, usando i Big Data, le informazioni raccolte dai satelliti e dai sensori, eventualmente creando infrastrutture globali/regionali per la gestione dei dati, così da ridurre i costi della produzione statistica sfruttando le economie di scala ed aiutare i paesi meno sviluppati a colmare il gap con quelli più avanzati.

3. Considerare il miglioramento dei dati un obiettivo di sviluppo in sé, attraverso la costituzione di un fondo globale di aiuti ad esso dedicato. Per colmare il gap tra i ricchi e i poveri in termini di capacità nell’uso dei dati proponiamo anche di lanciare una campagna globale per l’educazione numerica e statistica, orientata ai media e alle singole persone, partendo dalla scuola.

4. Stabilire una chiara leadership dell’ONU in questo campo, rafforzando la cooperazione con tutte le organizzazioni internazionali, i governi e i nuovi produttori globali di dati. Attraverso la costituzione di una “partnership globale” pubblica-privata sui dati per lo sviluppo sostenibile, vanno coinvolte tutte le parti in causa, così da favorire anche il riuso per fini pubblici delle grandi masse di dati raccolte dal settore privato. Per sostenere tale sforzo, un Forum globale dovrebbe tenersi a cadenza biennale per valutare problemi e soluzioni, con l’aiuto di una rete internazionale di stakeholders (comprese le organizzazioni non governative) che eserciti una continua pressione sui governi e gli altri soggetti coinvolti.

Cogliere le opportunità già esistenti, creando un “SDGs data lab” per produrre in tempi brevi una prima generazione di indicatori di sviluppo sostenibile integrando le fonti tradizionali, i Big Data e gli altri tipi di dati, in attesa dell’adeguamento dei sistemi statistici. Il tutto realizzando una piattaforma avanzata per la diffusione, la visualizzazione e il riuso degli indicatori per gli SDGs grazie la coinvolgimento delle migliori menti disponibili al mondo in questo campo, e producendo un insieme di “indicatori sullo stato del mondo” aggiornati in tempo continuo (o quasi).

La sfida è enorme, così come l’investimento necessario, ma anche i vantaggi. Allineare, per tutti, il ciclo dei dati al ciclo delle decisioni deve essere l’impegno da perseguire nei prossimi anni, imparando da quello che sta già avvenendo nel settore privato, che sta investendo in maniera massiccia sui Big Data

Non a caso il rapporto sottolinea che i dati non servono solo a monitorare se gli obiettivi vengono raggiunti o meno, ma anche a realizzare in pratica lo sviluppo sostenibile. A fine anno il Consiglio Europeo dovrà esprimere una posizione unitaria in vista delle negoziazioni degli Obiettivi. L’Italia ha l’opportunità di far valere il suo ruolo di Presidente dell’Unione per far sì che la data revolution avvenga per il bene di tutti. D’altra parte, l’Europa è indietro su questo tema e se il recente bando per progetti basati sui Big Data è un passo nella giusta direzione, molto di più deve e può essere fatto.

Se l’Europa è indietro rispetto ad altre aree del mondo, l’Italia è ancora più in ritardo e, come sappiamo bene dalla storia, le rivoluzioni non aspettano i ritardatari.

ENRICO GIOVANNINI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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