Crowdfunding, quanta strada ancora da fare

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E’ passato circa un anno da quando è stata emesso il regolamento sull’equity crowdfunding. L’Italia è stata prima al mondo nel varare una regolamentazione per questa nuova classe di investimento (‘asset class’), anche se diverse altre nazioni si stanno dotando di un quadro normativo in materia. Altri invece hanno scelto la strada di mantenere non regolamentato il settore (Australia e UK ad esempio), lasciando sviluppare il mercato prima di emettere regole specifiche.

Posto che è prematuro emettere alcun tipo di giudizio complessivo dopo solo un anno, il compleanno è un momento giusto per cominciare a tracciare delle riflessioni. Va anche ricordato che fu Consob stessa nelle audizioni a considerare questo primo regolamento una sorta di laboratorio. Una sperimentazione assolutamente necessaria per capire come armonizzare la necessità di far sviluppare il mercato, con quella di tutelare i risparmiatori che decidono di investire.

In questi mesi sono successe essenzialmente due cose in modo evidente: le piattaforme sono molte, le campagne di raccolta molto poche

Mi sono confrontato con Claudio Bedino, fondatore di Starteed, che dal suo osservatorio di Italian Crowdfunding Network, ha un quadro abbastanza aggiornato della situazione.

Claudio Bedino

Il numero di piattaforme che si sono accreditate come operatori è notevole: una ventina di operatori interessati a partire, di cui 11 piattaforme autorizzate finora (elenco sito Consob), altre in fase di due diligence. La regolamentazione ha effettivamente convinto un gran numero di operatori, cosa che non sarebbe successa senza l’introduzione della norma e del conseguente regolamento Consob (ricordiamoci che senza la regolamentazione non saremmo nemmeno qui a parlarne). Questo è tipicamente uno degli effetti attesi e voluti dal regolatore.

Il fatto di aver definito un quadro entro cui operare ha reso possibile e convinto alcune aziende ad entrare sul mercato.

Ci sono oggi 3.000 startup innovative nel registro e ipotizzando che il 20% di queste fosse – diciamo così – “crowdfundizzabile”, 600 campagne di raccolta potenziale dovrebbero essere un buon bacino per partire. Ma è un numero che stride con le 5-6 campagne che finora si sono chiuse sulle quattro piattaforme attive ad oggi: Starsup, che ha appena concluso con successo la raccolta di Nova Somor, chiudendo un primo anno di attività con 700.000 euro di raccolta. Unicasim che sta lanciando circa una campagna al mese, Smart Hub che ha lanciato la raccolta di Liberos e Assiteca Crowd che ha completato la sua prima operazione.

Matteo Piras. Fonte: Economiaweb.it

“In effetti non ho alcun problema sul fronte dell’offerta”, mi dice Matteo Piras, fondatore e CEO di Starsup. “Ho una buona pipeline che già oggi mi fa stare tranquillo fino a giugno. Molte startup, hanno diversi dubbi nell’affrontare raccolte in crowdfunding, ma la base di 3.000 startup innovative è già sufficientemente ampia per proporre investimenti di qualità sul portale.”

E’ vero, molte startup sono frenate dall’affrontare un percorso di finanziamento attraverso il crowdfunding per la complicazione nella governance, per dover entrare in un regime di ‘total disclosure’ e per paura di avere problemi nel raccogliere capitali successivi da investitori strutturati in seguito. Ed è anche vero che per molte startup (non per tutte) è decisamente più semplice finanziarsi con il reward-based crowdfunding, anche su siti esteri (ci sono ormai diverse storie di startup Italiane che hanno raccolto diversi milioni di euro su Kickstarter) per finanziare le proprie fasi iniziali. Cosa che non richiede nemmeno di avere un business plan. Piuttosto che fare come Stamplay, costituirsi in Inghilterra e fare la raccolta su Seedrs.

Ma tutti questi fattori non mi sembrano sufficienti per spiegare il numero così limitato di campagne. Evidentemente il problema sta sul lato dell’offerta

Effettivamente (testimonianza diretta), sottoscrivere una campagna – cosa che ho provato a fare – è un processo difficile, decisamente una corsa ad ostacoli sia nella sua componente online sia – per quanto mi dicono – nella parte offline, nel caso di investimenti sopra la cosiddetta soglia Mifid. Pratiche che non possono essere svolte presso la propria banca. Insomma occorre essere decisamente motivati per sottoscrivere online le azioni di una startup.

Il problema è lato investitori: è probabilmente necessario rendere più semplice ed accessibile questo tipo di investimento. Oltre che forse fare dei ragionamenti sugli investimenti sopra soglia Mifid. Sia sulla quantità che sulla qualità del processo. E’ fondamentale osservare infatti, che negli Stati Uniti, mentre la regolamentazione del Titolo 3 è ancora in lavorazione, quella fondamentale del Titolo 2 è stata varata ormai da tempo e sta sviluppando un mercato significativo.

“Stiamo chiedendo agli italiani di fare un cambio di mentalità sofisticato – osserva Piras – qualcosa che non si può necessariamente ottenere solo con un tratto di penna. Ma nonostante tutte queste difficoltà sono molto fiducioso, il processo che abbiamo intrapreso è irreversibile”. Questa tipologia di investimento, oltre un affinamento delle regole e norme, necessita certamente lo sviluppo di un’educazione del mercato (oltre che degli emittenti) ed evoluzione nel livello di comprensione delle controparti che richiederà certamente qualche anno.

Ma questi anni saranno preziosissimi, per sviluppare il nostro vantaggio competitivo come ‘first mover’

Saranno preziosissimi nel comprendere le caratteristiche, necessità e modalità di funzionamento della raccolta di capitali tramite portali online. “Dobbiamo renderci conto che questa nuova modalità di finanziare le imprese – conclude Bedino – nasce e vive sulla rete, per questo non possiamo pensare che una seppur necessaria regolamentazione ne limiti l’esperienza d’uso e la portata.

E’ necessario garantire ai potenziali investitori (e alle imprese emittenti) l’accesso a sistemi fluidi e intuitivi, senza complicate e burocratiche procedure offline tipiche dei “vecchi” modelli e con sistemi di pagamento facili e veloci. Solo così si affacceranno gli early adopter, gli ambasciatori fondamentali per un allargamento più ampio della crowd e del mercato”.

GIANLUCA DETTORI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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