Così un maker soave sta facendo la rivoluzione industriale in Sardegna

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Antonio Solinas. E’ delicato, a tratti soave. Ma i suoi occhi, se li osservi bene, vanno più veloci dei neuroni. Roba da 300 bmp. E’ per quello che quando lo conosci, se osservi bene, cerchi subito di approfondire.

Ci siamo conosciuti lo scorso anno quando è salito sul Barcamper a Cagliari, poi abbiamo navigato a distanza. Poi lo ritrovo che canta durante il mini pitch (quello iniziale da 60″) della Startup Weekend di Cagliari. Per poi andare a vincerla, a stravincerla. Vi presento Antonio Solinas, sassarese (nessuno è perfetto, parola di cagliaritano), classe ’74 (e vi ho detto già tutto, classe di ferro, roba per pochi)

Infanzia felice. La memoria conserva la vita in campagna con due amorevoli genitori (mamma bella e sicura, babbo con la passione per la matematica e l’elettronica – c’è sempre un colpevole principale) e una sorellina che giocava con le costruzioni.

Il secondo ricordo invece è legato alla nonna greca (Nonna Venetia, nata in Egitto ma vissuta a Rodi), la cui casa era un melting pot di culture e persone (in particolare Antonio ricorda le studentesse greche che andavano a studiare Medicina a Sassari … chissà perchè), vista su Piazza d’Italia (per chi non c’è mai stato consiglio di rimediare), con orto e conigli sul terrazzo. Nonna Venetia era un perfetto manager della logistica (ante litteram): cercava stanze, appartamenti, organizzava pranzi, etc. per i fuori sede in quel di Sassari.

Quando Antonio partirà per l’Erasmus in Germania, vedrà nei suoi occhi lo stesso sguardo che avevano quelle studentesse greche che arrivavano a Sassari.

Ma Nonna Venetia ha anche un altro merito. Regalò ad Antonio uno Spectrum 48K per la cresima.

Il suo primo strumento. Ricorda ancora la sua prima linea di codice: 10 CIRCLE 127,87,50. Sono gli anni geek, ma really geek. Gli altri giocavano con il Commodore, lui sosteneva d’essere un programmatore. In fondo cosa ti aspetti da un ragazzo che mentre innaffia l’orto col babbo in campagna gli vengono spiegate le derivate? Studia all’ITIS, sezione Informatica. Siamo già in era PC. Ogni numero di MC Microcomputer portava nella sezione Intelligiochi una nuova sfida. E quindi a 15-16 anni con un gruppo di amici e compagni di classe disegnavano insiemi di Mandelbrot, calcolavano 10000 Fattoriale o risolvevamo il problema delle otto regine. Orgoglio della professoressa di informatica. Poco sport ma con la chitarra in mano e mai solo.

Mai. Sempre con gli amici.

Sembra incredibile ma non è mai stato uno studente modello. Anzi. Studiava poco e sempre di notte per il giorno dopo: distinto alle medie, 58 al diploma e 109 alla laurea. Che ci volete fare, nessuno è perfetto! Iniziano gli anni di Ingegneria elettronica a Cagliari (where else in Sardegna?). Scrive la tesi presso l’Università di Braunschweig (durante l’Erasmus). La mattinate in Volkswagen. La notte al pub. Chi nasce tondo non muore quadrato, si sa.

Il primo lavoro in attesa di fare il militare è stato insegnante di “Sistemi” nello stesso istituto tecnico dove aveva studiato. Solo che lo stato si è ricordato di lui poco prima degli scrutini dei suoi studenti. Allora per rimandare la data della naja fa e vince ogni concorso possibile e immaginabile. Così chiude l’anno scolastico per ritrovarsi ufficiale del genio ruolo ingegneri dell’Aeronautica Militare.

Ma non tutto il male viene per nuocere. Sono gli anni in cui conosce la sua dolce metà, Fabiana, con cui condivide le gioie della famiglia, un figlio di 5 anni e un’altra in arrivo.

Così come non era appassionato di auto ed ha fatto la tesi alla Volkswagen, non lo era neanche di aerei e si è ritrovato Capo Sezione Avionica DTL EuroFighter 2000 (aereo pilotato allora da un pugno di persone, tra cui l’astronauta Maurizio Cheli). Quindici mesi intensissimi, girando le aziende aeronautiche italiane. Finita la Naja, poco prima della tragedia delle torri gemelle, è stato assunto in Vodafone. Da le dimissioni dopo tre giorni per una startup di allora incubata in Saras Lab, Media Enabling, confluita nel 2004 in Akhela, grande azienda ICT. In quegli anni segue tanti progetti sui sistemi embedded, da “Immobilizer” (per un’auto americana e per uno scooter elettrico), il sistema di conversione Benzina – GPL/Metano, il software per uno strumento di navigazione inerziale per aerei (insomma, la storia ti insegue, dopo averti insegnato).

Otto anni a testa bassa sulle schede. Poi dice: “e se collegassimo tutto ad internet?”. Qualche mese di attesa e Internet degli oggetti era già una realtà. Nello stesso periodo in Akhela prende la responsabilità di “innovazione tecnologica” e del laboratorio R&D di Cagliari. L’idea era quella di portare innovazione cercando il supporto della comunità europea. Con un team solido lanciano 12 progetti R&D (tutti sulle tecnologie ICT, Embedded). Girano l’Europa (fino a novanta aerei l’anno). E’ stato il precursore sardo del leit motive di oggi: Smart Metering, Mobile in Auto, Smart Cities, Multicore Programming, Internet of Everything etc.

Nel 2011 bazzicava anche il laboratorio “mobile”. Per gioco, con un “canzoniere” per iPad, fece 20.000 download nelle prime settimane (l’app arrivò ad essere prima nella categoria musica). Ma l’ossessione era internet of things. Nel 2012 porta a finanziamento e coordina un unico progetto da 25 partner e 25 Milioni di euro per mettere insieme il meglio degli oggetti connessi, dalle aziende sul medicale finlandesi, Philips, Selex, le aziende sull’energia spagnole e i maggiori centri di ricerca europei. Bellissimo progetto con dispositivi medicali, illuminazione pubblica, mezzi di trasporto, domotica. Tutto connesso. Tutto. In una notte a Delft, proprio per una riunione di progetto, due amici dell’Università di Cagliari gli parlarono di GreenShare e della loro idea di rivoluzionare il car pooling con approccio realtime. Il giorno dopo si ritrova a fare da chairman, con un gran mal di testa per il poco sonno. Pochi mesi dopo è loro socio in questa nuova impresa.

La sua vita è oramai al di fuori dei confini aziendali. Così nel novembre 2013 raccoglie una nuova sfida: R&D per Abinsula. Nello stesso periodo matura nuove idee, in parallelo all’evoluzione di internet of things. C’è qui il seme WiPot, progetto per un vaso wifi per la cura delle piante con portale associato. Poi negli anni a seguire arrivarono i FabLab, gli architetti, i sociologi , i psicologi, gli esperti di UX. Ancora alcuni parlano della tecnologia ma le idee vincenti sono quelle che costruiscono attorno all’oggetto connesso un’esperienza d’uso. E’ così che Wipot è diventato Lifely, Talking Objects, Dispositivi socialmente connessi. La progettazione riporta al minimo indispensabile la parte elettronica per concentrarsi tutta sulla progettazione dell’esperienza d’uso, sia dal vivo, dove la tecnologia deve essere invisibile, o attraverso internet dove deve consolidare la propria presenza attraverso i modelli vincenti di comunicazione, come i social network e un linguaggio “umano”.

E’ convinto, come pochi (oltre il sottoscritto), che non si debba fare la guerra alle piccole e medie imprese, perché sono le uniche che possono portare l’innovazione dentro le grandi e dentro i sistemi territoriali. Una vera rivoluzione industriale.

Lui pensa che le storie siano sempre da scrivere, compresa la sua, che sarà il futuro a scriverle. Ma sa bene che il suo passato è la rosa dei venti per quello che andrà a fare in futuro. La sua è la cultura del sogno. Molti li ha realizzati. Venite a conoscerlo a a Cagliari il 27 e 28 giugno. Non ve ne pentirete. E troverete tante altre sorprese e persone interessanti da conoscere. Perchè il segreto è tutto li: essere presenti e non essere mai sazi. Come Antonio.

E, come sempre, io lo dico a Voi, ma, per piacere, ditelo a tutti: Avanti tutta!

Cagliari 25 giugno 2014NICOLA PIRINA

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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