Caro Passera, la ricetta per l’innovazione parte dal coworking

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Ogni giorno leggo di nuove istituzioni che provano a creare la Silicon Valley in Italia. Regioni, Comuni, Università e Province che provano a ricreare l’ecosistema dell’innovazione nella penisola attraverso mastodontici progetti di parchi tecnologici.

La vera domanda che ci dobbiamo porre è se davvero possiamo ricreare quel fantastico ambiente anche in Italia. Possiamo creare la Genova Valley, la Napoli Valley, la Padova Valley e farla funzionare come il modello originale? Nel mondo ognuno cerca un suo modello più o meno vincente, con un obiettivo simile: attrarre talenti.

Il Cile sta avendo un ottimo riscontro con il programma di incubazione Startup Chile, Berlino punta ad essere il centro del Vecchio Continente e New York sta realizzando un enorme campus a Stone Island in cui Google ha già comprato 25mila metri quadri per creare un centro di eccellenza universitaria e lavorativa.

Ognuno di questi Paesi ha proposto una sua ricetta ma è inutile inseguire il sogno di ricreare la Silicon Valley in ogni parte del mondo.

La California è un posto fantastico, ma non si può replicare semplicemente con un forte contributo economico.

Non sono un disfattista e non penso assolutamente che si possa realizzare il proprio progetto esclusivamente andando in America portando le proprie idee e le proprie belle speranze. Personalmente, mi sono sempre dato da fare in Italia, nel mio paese d’origine, raccogliendo qualche modesta soddisfazione. Non escludo, un giorno, di trasferirmi all’estero per qualche tempo, poiché credo con convinzione che un’esperienza di vita a contatto con un’altra cultura sia un’opportunità di crescita piuttosto che una fuga.

Credo nella mobilità, nel bisogno di viaggiare, aggiornarsi, scoprire e vivere esperienze diverse, imparare e, perché no, raccogliere fondi.

Credo anche che la qualità della vita in Italia, senza scadere in patriottismi inutili, sia tra le migliori al mondo. Se dovessi immaginare di rifare una startup, punterei tutto sul modello JobRapido o Funambol, tenendo lo sviluppo in Italia ma puntando a un mercato globale. Diverso è poi ragionare allo sviluppo della parte marketing e CEO, la scelta di lavorare dagli USA come da Pechino dipenderebbe dal mercato a cui il progetto si rivolge.

Personalmente ritengo che il grandissimo valore della Silicon Valley sia quello di avere un ecosistema di base che stimoli l’innovazione, la creatività e la voglia di fare azienda. C’è una possibilità di fare networking pazzesca e perfino andando al bar puoi incontrare il CTO di una billion company dal quale ricevere consigli e, perché no, vedendolo diventare angel della tua idea.

Si possono incontrare altri developer con cui condividere idee e magari creare nuovi progetti. Questo credo sia il vero valore della SV e questo è l’elemento che, immagino, stiano provando a ricreare dal Cile a Berlino. E credo sia quello sul quale anche l’Italia deve puntare, affinché non sia il solito ammasso di cemento o fantomatici fondi che finirebbero – nella migliore delle ipotesi – alla costruzione dei soli parchi tecnologici.

Essendo una persona che cerca di portare avanti le proprie idee, l’anno scorso con alcuni amici abbiamo deciso di provare a ricreare questo “ecosistema” nella nostra città. Sono fermamente convinto che l’Italia sia piena di talenti molte volte sconosciuti (almeno in patria) che molte volte sconnessi tra di loro, singolarmente o a piccoli gruppetti siano potenzialmente in grado di fare cose incredibili.

Così partendo da Brescia, mia città natale, ho deciso di raccogliere tutte le persone competenti che conoscevo e provare a portarle in unico spazio di lavoro. Un luogo dove ognuno continuasse in totale libertà a fare ciò che faceva in precedenza, ma in cui potesse, condividendo lo spazio ed in maniera del tutto naturale, conoscere nuove persone, scambiare idee, aiutare gli altri e ricevere appoggio, pur rimanendo indipendente e conservando i propri contatti professionali. Non Brescia Valley ma Talent Garden (TAG).

Contaminazione è stata la parola chiave di questo progetto. A sei mesi da quel primo dicembre nello spazio abitano più di 50 persone per le quali TAG è diventato molto più di un ufficio. Si può dire che TAG sia visto un po’ come seconda casa. Non si viene a Talent Garden solo per lavorare ed incontrare clienti, si arriva a sera soddisfatti di aver lavorato e di aver contemporaneamente portato avanti la propria vita, aver incrementato le proprie relazioni sia professionali sia personali.

Oltre agli abitanti, in TAG si organizzano eventi, workshop e corsi questo permette di veder transitare nell’arco di una settimana un folto gruppo di persone. Persone che, una volta conosciuto lo spazio, decidono di incontrarsi anche solo per un saluto, sia di giorno che di notte, visto che la struttura è aperta 24 ore al giorno 7 su 7!

Probabilmente la nuova Facebook non verrà creata proprio a Brescia, però ho visto nascere idee stupende davanti a un caffè, freelance che collaborano condividendo clienti, startup che riescono ad ottenere la visibilità che meritano grazie a quel contatto nato quasi per caso ed in maniera del tutto informale. Sopratutto, ho visto persone che si contaminano in modo incredibile, non paragonabile alla SV, ma, nel suo piccolo, stimola l’ecosistema cittadino creando una sinergia di talenti unica.

Brescia non può e non deve diventare il centro dell’Italia ed i talenti sono in tutta la penisola. Per questa ragione, compatibilmente con le poche forze che abbiamo, stiamo provando a replicare il modello in altre città. Apriremo presto a Bergamo, Padova, Milano e Torino grazie a persone che come noi credono che il coworking sia un metodo per risvegliare un territorio, unirlo e creare innovazione e, perché no, magari accompagnarlo fuori da questo momento di stallo.

Abbiamo lanciato qualche settimana fa la “call for gardeners” (coltivatori di talenti, ndr) per cercare altre persone in Italia che vogliano entrare in questo progetto per creare un grande network che stimoli la contaminazione dei talenti in Italia. Ci stiamo provando con tutte le difficoltà che incontriamo nella ricerca di sedi adatte, non potendo contare sugli enti pubblici che a loro volta non riescono ad aiutarci per i tempi biblici a cui sono assoggettati.

Noi, tuttavia, crediamo che di questi stimoli l’Italia ne abbia bisogno e subito! Abbiamo trovato un ottimo referente nelle medie imprese Italiane che vedono in noi uno stimolo per uscire da questa crisi, credere nei giovani e nel futuro, ma per provare davvero a cambiare le cose abbiamo bisogno di tutti. Non possiamo cambiare il mondo, ma con il coworking possiamo aiutare a creare quell’ecosistema di base che manca in Italia. E sviluppare un settore che sembra uno dei pochi che possa sconfiggere questa crisi.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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