14 cose da sapere e due grossi nodi per far partire il crowdfunding

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Si è tenuto a Roma l’open hearing’ Consob sull’equity crowdfunding. La conversione in legge del decreto Crescita, ha delegato a Consob il varo della regolamentazione in materia di equity crowdfunding, con una tempistica molto aggressiva, che prevede la conclusione dei lavori entro marzo.

Tempistica che, se rispettata, metterebbe l’Italia nella posizione di essere la prima nazione al mondo ad avere una regolamentazione specifica per quanto mi risulta. In realtà l’equity crowdfunding esiste da anni in UK come in Olanda, ma non è regolamentato. In Australia, ormai da 7 anni si fanno ‘mini-IPO’ su Internet con grande successo, senza che si siano registrati finora problemi di frode.

E’ stato un ottimo incontro, e soprattutto (ricordo uno scenario diverso quando ai tempi di Vitaminic avevamo a che fare con la Consob una quindicina di anni fa) ho incontrato un atteggiamento dell’ente regolatore aperto ed interessato a comprendere il fenomeno e sentire la voce degli operatori del settore.

C’erano un paio di centinaia di persone e Alessandro Fusacchia (il coordinatore della task force startup del ministero dello Sviluppo Economico) che ha rimarcato l’importanza che riveste questa attività regolatoria, perno del progetto startup varato dal Governo Monti.

Il quadro regolatorio infatti in questo caso è centrale, perchè qui ‘il diavolo sta nei dettagli’. Nel senso che è proprio dalla regolamentazione di Consob che dipenderà largamente il successo o l’insuccesso dell’equity crowdfunding in Italia. Dovrà stabilire i paletti per consentire la creazione un mercato sano, competitivo e un ambiente favorevole all’ investimento di privati risparmiatori e aziende. Ma dovrà, per contro, consentire un contesto operativo snello a sufficienza da rendere attrattiva questa nuova classe di investimento consentendo l’afflusso di capitali in un settore strategico e delicato come quello delle startup.

Nel varare la regolamentazione, Consob, dovrà tenere in considerazione il bilanciamento e il trade-off esistente tra la protezione degli investitori e lo sviluppo del mercato. Occorrerà riuscire a compenetrare la protezione degli investitori, con procedure snelle ed il contenimento dei costi di raccolta e di ‘manutenzione’. Occorrerà anche definire il livello di disclosure delle informazioni fornite dall’emittente, ribilanciando le asimmetrie informative e suddividendo rischi e responsabilità dei vari attori coinvolti in una campagna di crowdfunding.

Ma la grande sfida è che il tema è relativamente nuovo e richiede una piena comprensione del digitale, dei suoi usi e costumi e delle tecnologie connesse.

Perchè solo grazie ad Internet e ai social network tutto il sistema può funzionare in modo efficiente, ordinato, sostenibile e scalabile.

Occorre sottolineare che la legalizzazione del crowdfunding è il fulcro del JOBS Act di Obama, il principale atto normativo orientato allo sviluppo economico e creazione di posti di lavoro dell’attuale Amministrazione Americana. Gli Stati Uniti – a differenza dell’Italia – hanno abbracciato su larghissima scala il crowdfunding che sarà da quest’anno accessibile a qualunque azienda (startup e PMI). In una recente ricerca il Professor Steven Stralser della Thunderbird School of Global Management ha stimato che nei prossimi 5 anni circa 500 mila aziende verranno finanziate attraverso il crowdfunding in America.

Uno degli elementi fondamentali da comprendere è che il crowdfunding funziona in quanto sfrutta la potenza dei social media per garantire trasparenza e controllo sociale, l’uso della cosiddetta crowd intelligence. Per capire di cosa parlo, basta guardare alle esperienze pluriennali di siti come Kickstarter (320 milioni di dollari raccolti l’ultimo anno e nessuna frode rilevata), o l’esperienza ormai decennale di piattaforme di ecommerce come eBay o Amazon. La combinazione di meccanismi di feedback e rating da anni testati e funzionanti del mondo online accoppiati con la pervasività dei social media sono il più potente strumento di controllo sociale che consente al crowdfunding di funzionare in modo così efficiente e snello a garanzia dei risparmiatori.

Va inoltre sottolineato che attualmente le campagne di crowdfunding, sono sottoscritte in modo prevalente da persone nella rete sociale dell’imprenditore o dell’azienda che si presenta sul mercato. I sottoscrittori sono amici, colleghi, clienti, fornitori, conoscenti. Collegati a loro volte con le proprie reti sociali su Facebook, Google, Twitter, Linkedin. Addirittura nelle ultime settimane si è discusso (la proposta non è poi passata) una regola tale per cui se almeno una quota minima (ad esempio 20%) dei propri contatti sui social network non sottoscrive l’offerta, la stessa non passa e non si può concludere la campagna.

Anche sulla documentazione e sulla due diligence richiesta ai portali occorrerà trovare il giusto bilanciamento e sarà necessario sfruttare appieno le caratteristiche del digitale e il multimedia per l’accesso alla documentazione garantendo trasparenza ed efficienza al mercato.

Su Kickstarter ad esempio, gli imprenditori si presentano con la propria faccia, in video, oltre che con la documentazione standard del progetto (come il business plan). Nulla vieta al regolatore/mercato di fare pieno uso di grafica, video, interattività, multicanalità, grafica, infografica, reti sociali, crowd intelligence, servizi di terze parti per il marketing, gli aspetti legali, le investor relations, persino la contabilità e la rendicontazione/certificazione per risolvere problemi nel regolamentare e tutelare al meglio tutti gli attori coinvolti.

Ho avuto l’opportunità di esporre all’open hearing alcuni aspetti che mi sembrano importanti per il successo del crowdfunding, prendendo spunto dalla discussione sull’ argomento in corso ormai da un paio di anni negli Stati Uniti:

1) Innanzitutto la regola ‘all or nothing’ che consente solo alle offerte fully funded di passare. Ovvero una campagna di crowdfunding si conclude solo nel momento in cui l’intero importo (o più) dell’ammontare richiesto è stato raccolto. Se l’importo non viene raggiunto la campagna ha esito negativo. Questa norma consente di ridurre in modo importante il rischio di frodi.

2) Le offerte possono essere effettuate esclusivamente su piattaforme autorizzate e vigilate.

3) I capitali vengono versati solo al momento della conclusione dell’offerta e durante la campagna gli investitori possono cancellare i propri commitment.

4) L’utilizzo di meccanismi di escrow forniti da terze parti rispetto alle piattaforme di raccolta per la gestione dei fondi della campagna, inoltre può fornire la garanzia a tutte le parti coinvolte nella transazione.

5) Gli imprenditori che intendono raccogliere capitali sono soggetti a specifiche restrizioni rispetto a quello che possono comunicare al pubblico. (Ad esempio non possono essere menzionati i termini dell’offerta nelle attività di marketing della campagna).

6) Ci sono norme specifiche che richiedono al portale di assicurarsi che un potenziale investitore abbia compreso gli elementi essenziali dell’offerta. Sono state inserite specifiche normative che richiedono all’investitore di completare una fase (online ovviamente) di “investor education”.

7) Anche i portali hanno specifiche restrizioni nelle attività di marketing che possono effettuare. Ad esempio possono solo promuovere in generale la propria attività di portale ma non specifiche offerte o issuings. Non possono essere pagati fees di nessun tipo dall’ imprenditore, terzi o dal portale per indurre potenziali investitori a registrarsi sulla piattaforma.

8) I potenziali investitori, per avere pieno accesso alle informazioni contenute nel portale e sottoscrivere dovranno registrarsi sulla piattaforma, condividere informazioni rilevanti, completare il processo di informazione ed educazione (guardando dei video e rispondendo a quiz interattivi), leggere la documentazione.

9) Negli Stati Uniti è stato posto un limite all’ammontare che ogni singolo investitore potrà investire come percentuale del proprio reddito annuo.

10) L’emittente dovrà superare un controllo legale relativo a soci e amministratori e i dati dovranno essere resi pubblici sul portale con almeno tre settimane di anticipo dall’emissione.

11) I portali devono avere meccanismi di prevenzione e individuazione delle frodi e tutti i portali autorizzati devono essere collegati ad un sistema di ‘portal check’ gestito centralmente.

12) Sul tema della ‘due diligence’ da parte dei portali negli Stati Uniti, si farà largo uso di informazioni ottenibili da terze parti. E’ evidente che affinchè il sistema possa crescere in modo significativo occorrerà fare in modo di garantire un corretto bilanciamento tra la due diligence minima richiesta, le liabilities potenziali e la protezione degli investitori.

13) I portali potranno essere ampiamente selettivi nel curare le offerte, senza che questo possa costituire in qualche modo consulenza in materia di investimento.

14) Fare uso di autocertificazione e autogaranzia al fine di stabilire la compliance di un investitore, laddove necessario.

15) Deve essere consentito agli imprenditori di effettuare follow-on investments anche attraverso diverse campagne di crowdfunding.

In aggiunta a questi temi, centrali, ma non esaustivi ci sono due grossi nodi da districare a mio modesto parere.

a) La legge attuale prevede che solo startup innovative, accompagnate da un investitore professionale possano accedere al crowdfunding in Italia. Per come è scritta la legge quindi, queste società:

– non possono distribuire utili (altrimenti perdono il requisite di ‘startup innovative’);

– non è previsto nel dispositivo attuale un modo di vendere le azioni acquistate;

– è previsto in ogni caso un ‘holding period’ estremamente lungo pari a due anni (troppo per esempio nell’high-tech, a mio giudizio).

La combinazione di questi fattori attualmente rendono praticamente quasi inutilizzabile il crowdfunding in quanto non risulta attrattivo per nessun investitore come forma di investimento. Per quale ragione investire dei soldi, con il rischio di perderli senza poter sperare di percepire utili o un orizzonte per ottenere plusvalenze liquidando le azioni? E’ assolutamente centrale quindi che la regolamentazione consenta lo sviluppo di un ampio mercato secondario e prevedere la standardizzazione ed interoperabilità dei dati in modo da renderlo competitivo e diffuso. Per fortuna, essendo richiesto in Italia (a differenza degli Stati Uniti) la raccolta e trasmissione ordini da parte di una Banca o una SIM, la questione potrebbe essere affrontata brillantemente in fase regolamentare usando come mercati secondari i portali già oggi normalmente utilizzati per il trading online da SIM e banche.

b) C’è un secondo punto importante che secondo me va considerato e che gli americani stanno apparentemente scegliendo di non normare. La gestione dell’assemblea dei soci.

E’ evidente che una piccola società deve poter gestire l’assemblea in modo ragionevolmente snello, specie quando questi soci possono potenzialmente essere centinaia o migliaia di persone e società. Il problema può essere affrontato a mio modo di vedere in tre modi:

– attraverso una sorta di delega obbligatoria ad un rappresentante in toto dei soci via crowdfunding;

– attraverso la creazione di specifiche classi di azioni/quote (crowdfund shares);

– attraverso limitazioni nei diritti di voto.

Valuterei anche di dotare (specie per le startup) le quote o azioni sottoscritte con privilegi specifici (ad esempio una sorta di liquidation preference rispetto alle altre classi di azioni, particolarmente quelle dei fondatori e un diritto di tag-along in caso di cessione maggioritaria da parte degli imprenditori).

Ogni innovazione richiede creatività, coraggio, dedizione. Ma se si presentano tutti questi elementi e l’idea di business è distruptive e scalabile a sufficienza allora si possono generare risultati importanti ed conseguenze estremamente positive. Che specie se estesa può rilanciare l’economia Italiana. Vorrei ringraziare dell’opportunità di partecipare all’hearing e fare un forte augurio di buon lavoro ai funzionari Consob incaricati dell’arduo compito. In bocca al lupo! In questo momento avete in mano il futuro di 25 mila giovani startupper che in questo momento ci stanno provando. E vogliono contribuire a trasformare l’Italia in una nuova Silicon Valley Mediterranea.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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