Restart Europe: perché a Venezia si può davvero far ripartire l’Italia

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Restart Europe ; L’Italia riparte se si digitalizza. Lo dico fondando questa affermazione su due dati. Il primo: la ricerca di Enrico Moretti, professore italiano all’Università di Berkley, pubblicata nel libro La nuova geografia del lavoro, spiega che ogni posto di lavoro legato all’innovazione genera altri cinque posti di lavoro, mentre ogni posto di lavoro in un’industria tradizionale genera soltanto 1,7 posti di lavoro all’esterno.

Il secondo: lo studio Achieving Digital Excellence in Public Service, realizzato da Accenture a giugno dello scorso anno, spiega che a un aumento dell’1% in digitalizzazione è correlato un aumento dello 0,61% del PIL, un aumento dell’1,96% nel livello di commercio internazionale, un aumento del 2% nell’investimento diretto estero nel Paese e un aumento del 13,67% nello score del Global Innovation Index.

Potremmo proseguire con altri numeri, ma il punto è uno: tutti ci dicono che più ci digitalizziamo, più cresciamo.

Ecco perché la cinque giorni di Digital Venice, da lunedì a Venezia, non sarà una sfilata di esperti e potenti, ma l’unico punto di svolta possibile per il futuro del nostro Paese. È facile cambiare l’Italia, se sai come farlo, sostengo nel libro che ho pubblicato da poco e in cui racconto regole e metodi del cambiamento (a proposito: il 9 luglio ne parliamo a Talent Garden Padova), e davvero sappiamo come farlo: digital, digital, digital.

Lunedì a Venezia avrò la fortuna e l’onore di moderare, con Andrea Gerosa e Alessandro Magnino, uno dei cinque panel di #RestartEurope, la giornata organizzata da Microsoft e Startup Italia! che mette insieme oltre cento giovani innovatori provenienti da tutta Europa per produrre un report che avrà come titolo “50 recommendations to RestartEurope”.

Dieci di queste raccomandazioni saranno legate al tema della digital education (le altre riguarderanno digital cities, economy, jobs e democracy), partendo da un altro dato: nelle scuole superiori italiane meno di due studenti su dieci hanno accesso a un computer, in quelle norvegesi ci sono più computer che studenti. Di certo lavoreremo su scuola e digital, ma siamo sicuri che il centro del problema sia quello?

Come si vede da questo incredibile spot della compagnia telefonica Indiana MTS, i nativi digitali superano il problema in partenza e, probabilmente, quando inizieranno la scuola i neonati di oggi saremo già in un’altra era. Ma nel frattempo, soprattutto in Italia, esiste un enorme problema di percezione del digital, cioè di assenza di cultura e incapacità di comprenderne potenzialità e utilità.

Riempiamo le Università e le Accademie di studenti che scelgono corsi di laurea e master in ambiti classici e in cui non c’è lavoro, mentre facciamo fatica a trovare ragazzi che vogliano studiare interaction design, digital media management, digital innovation. Com’è possibile? Siamo un Paese conservatore e digitalmente ignorante, i genitori e non soltanto loro dicono ancora “intanto prendi una laurea in legge o economia, poi vedremo”.

Ecco perché il tema della digital education riguarda tutti e, soprattutto oggi, gli over 40. Abbiamo manager che non sanno sfruttare le potenzialità del digitale, gli strumenti che migliorano la produttività sono sconosciuti ai più, le app sono considerate solo entertainment e continuiamo a pensare analogico.

In Italia serve quindi una gigantesca operazione di digital education diretta a informare e formare chi, in questo Paese conservatore e anziano, ha potere decisionale ed economico. Dobbiamo portare avanti una gigantesca operazione culturale per spiegare quali sono le nuove professioni e le opportunità di lavoro per le quali l’occupazione è crescente e al tempo stesso offrire formazione continua in grado di ridurre il gap tra la nostra classe dirigente e quella dei Paesi in cui si mangia pane e innovazione.Dobbiamo farlo perché non possiamo rinnegare il nostro passato, fatto di invenzioni e cultura, in un’epoca in cui il mondo sta cambiando rapidamente e continuamente.

Dobbiamo farlo perché è facile cambiare l’Italia, sappiamo come farlo, non abbiamo né motivi né scuse per non agire.Dobbiamo farlo perché digitalizzare il Paese è un fatto prima culturale e soltanto dopo tecnico.

Lo faremo perché a Restart Europe formazione continua e cultura digitale saranno tra le priorità che sottoporremo a chi guida l’Europa e l’Italia, consci del fatto che con cento e più innovatori davvero giovani nessuno potrà più dire “arriverà il vostro momento”: questi non aspettano, agiscono. D’altronde il futuro è tutto nel titolo della Gazzetta dello Sport di ieri: “Cambiare o sparire”. E non è soltanto una questione calcistica.

Milano, 04 luglio 2014ALESSANDRO RIMASSA

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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