Più matematica meno made in Italy: perché il PNR va rifatto

scienze

Ho avuto due buone notizie negli ultimi due giorni, entrambe connesse con il futuro della ricerca: una è trascurabile a livello planetario e la seconda, invece, importante per tutti i ricercatori del mondo. Commentandole, nasce qualche idea.

La prima notizia riguarda la mia piccola università interdisciplinare, lo IUSS di Pavia, dove si entra per concorso, a numero chiuso. Non è una università di élite, perlomeno non nel senso sociale del termine, ma gli studenti sono pochi. Noi prof abbiamo quindi la possibilità di fare un colloquio (sulla base di uno scritto di “autopresentazione”) con ciascuno degli studenti verso la fine del primo anno. Ieri, io ne ho sentiti un bel po’: tutti, più o meno, del ’92 e della classe di Scienze e Tecnologie (chimica, fisica, matematica, ingegneria e biotecnologie).

Ancora una volta, sono rimasto profondamente colpito dagli studenti di oggi, quelli veri, che hanno voglia di fare e fare bene nella vita. Vengono da Messina e da Varese, da Bergamo, Palermo, Rom, insomma un po’ da tutta Italia. E sono uno spaccato sociale: uno dichiara di essere cresciuto ai Parioli e di aver frequentato uno dei migliori licei della capitale prima di venire a fare fisica allo IUSS; un altro di essere figlio di padre artigiano e madre casalinga, ma di avere coscientemente scelto (da solo, a 14 anni!) un liceo che avrebbe assecondato la sua passione per le lingue e per l’interdisciplinarità (ma poi fa biotecnologie, parlando benissimo tre o quattro lingue); un’altra dichiara di aver dovuto, con grande rimpianto, rinunciare all’esame di pianoforte (dopo otto anni) per iscriversi a matematica anche se il pianoforte “è ciò che permette di cogliere il bello nel suono, oltre che nei numeri e nelle parole”

Quasi tutti sentono, in modo confuso ma forte, la passione per la ricerca.

Sanno benissimo, ma io glielo ho ripetuto, che dovranno studiare molto, oggi, per diventare, domani, degli AP (aspiranti precari) nel mondo della ricerca. E che, se va bene, diventeranno dei P e lo resteranno a lungo. Ma non c’è modo di scoraggiarli, anche se, confesso, non ho insistito molto per farlo.

Dunque, la prima buona notizia è che, finché ci sono ragazzi così, possiamo credere nel futuro della ricerca, anche in Italia. Certo, bisogna – è nostro compito anzi – dare loro le basi vere per fare ricerca.

E questo mi porta all’altra buona notizia, quella di portata planetaria. Viene nientedimeno che da Science, la grande rivista scientifica USA. Sia la National Science Foundation, sia la NASA hanno visto i loro budget crescere durante la discussione della finanziaria USA appena cominciata a Washington da parte di camera e senato.

Per la NSF, lo “spending panel” ha deciso un aumento vigoroso (+4.5%) rispetto all’anno scorso, mentre per la NASA il parlamento ha addirittura proposto di “tagliare il taglio” che Obama stesso aveva timorosamente proposto per il programma scientifico e ha richiesto, esplicitamente, un ritorno a Marte. E lo stesso per altre agenzie dedicate alla ricerca fondamentale.

Le idee che nascono dalle due buone notizie riguardano proprio la ricerca fondamentale, quella che vogliono fare le matricole dello IUSS. Forse non a caso, sullo stesso numero di Science ne parla anche l’editoriale di Peter Gruss, il Presidente della Max-Planck Gesellschaft tedesca. Con pacatezza, ma anche con implacabilità un po’ teutonica, fa notare che gli USA, anche dopo i recenti aumenti, arrivano “solo” al 2.8% del PIL in ricerca di base. Per non parlare dell’Europa, ferma al 2%. Al solito, molto meno di Corea, Giappone, ma anche India e Cina.

Povero Peter, chissà cosa dirà dell’Italia, al palo intorno all’1%. Senza speranza, nonostante i piccoli grandi eroi dello IUSS, che non sono certo da meno dei loro colleghi cinesi, per esempio. Prendi la Cina, appunto: ho appena avuto una dichiarazione molto candida (e informale) da un amico astrofisico cinese, Wu Ji, mio vicepresidente al COSPAR. Wu è una persona molto influente in Cina e nella loro Accademia delle Scienze. “Abbiamo ancora davanti venti anni, durante i quali il nostro basso costo del lavoro ci darà un vantaggio sul resto del mondo”, mi diceva, “più tardi, dovremo vincere solo con la qualità. Per questo nei prossimi 20 anni punteremo sulla ricerca fondamentale”. Lo stesso, mi hanno detto, succede in paesi molto più piccoli ma spaventosamente decisi, come, per esempio, l’Oman.

Ma l’Europa? L’Unione Europea è dominata, lo sanno tutti, da pochi grandi che decidono, tra l’altro, il finanziamento e l’impostazione del programma di ricerca fatto in comune. L’Italia è stata, fino a poco fa, abbastanza alla finestra, nonostante lodevoli sforzi. E il programma di ricerca comunitario è, coscientemente, costruito in modo complementare ai programmi nazionali dei grandi come Germania, Francia, Inghilterra. I quali hanno capito che in Europa si possono e si devono fare i grandi programmi applicativi di ricerca (vedi il programma Galileo di navigazione spaziale) ed i programmi che siano dedicati al miglioramento immediato e diretto della qualità della vita dei cittadini europei. In questo modo, i giovani percepiranno sempre di più, si spera, l’importanza di avere una Europa sempre più unita.

Ma non c’è ricerca fondamentale, almeno finora, nei programmi di ricerca della UE. E va benissimo, se poi ogni stato, come fanno i grandi, se la cura in casa sua, così come l’educazione dei potenziali, come i giovinotti e le giovinotte descritti sopra. Proprio così fanno i grandi: vedi l’ attenzione per la matematica pura in Francia, per la chimica teorica in Germania, per la biologia molecolare in Inghilterra per fare solo qualche esempio, ma c’è molto, molto altro. Poi, forti di studio e di eccellenti ricercatori di base, sono proprio loro quelli che partecipano con successo ai programmi applicativi europei.

In Italia, nel passato, abbiamo cercato di prendere scorciatoie, come al solito. Per inseguire, giustamente, il “ritorno” dei fondi in campo europeo (che ci mettiamo anche noi, naturalmente), siamo corsi dietro ai programmi, inevitabilmente decisi da altri, a scapito della nostra ricerca di base. Il Ministro Profumo ha fatto vedere che quello che negli ultimi anni abbiamo portato a casa in fondi di ricerca comunitari è vicino alla metà di quello che abbiamo investito. Non ci siamo. Certo, dobbiamo migliorare la qualità delle nostre domande e magari l’astuzia politica nelle nostre collaborazioni, ma ci vuole di più.

Il problema, ma anche la sua soluzione, è la ricerca fondamentale e lattenzione da dedicare ad essa. Nell’attuale Piano Nazionale della Ricerca, iniziato dal governo Berlusconi nel 2009, non c’è per esempio, la matematica. Sembra impossibile, ma non c’è. Come non c’è alcuna attenzione per la fisica teorica e l’astrofisica. E poca, pochissima per altre discipline di base, dalla chimica alla biologia. In cambio, ci sono capitoli del PNR dedicati alla ricerca sul “Made in Italy” (sic) e su “Homeland Security” (ri-sic).

Certo, si tratta di importanti applicazioni o conseguenze commerciali della ricerca, ma la struttura globale del PNR, oggi, può e deve essere aggiornata e migliorata. Lo dico con umiltà, essendo io stato uno degli esperti a suo tempo consultati dal Ministro Gelmini, cui sono comunque grato. Trovai, allora, un po’ umiliante cercare di far entrare, di straforo, l’astrofisica nel capitolo intitolato “Aerospazio”. Ma era l’unico modo possibile in una struttura di PNR che aveva ben poca visione per la ricerca di base. Che fregatura: non è in Europa, come detto, ma poi non c’è neanche a livello nazionale.

Le conseguenze della mancata attenzione ai fondamentali ora purtroppo si fanno sentire, e sono le stesse ripetutamente denunciate dal ministro Profumo. Per fortuna, si può provare a ripartire, a ridare una speranza ai ragazzi che oggi si buttano con commovente entusiasmo. Un PNR, per esempio, si può aggiornare, stavolta guardando meglio cosa fanno i grandi della UE in casa loro. Anche perché altrimenti, come ben sappiamo, allo IUSS e in tutta Italia prepareremo eccellenti giovani ricercatori di base che poi vedranno subito, proprio in uno di quei “grandi”, la loro vera patria elettiva.

Milano, 3 maggio 2012GIOVANNI BIGNAMI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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