Pioneers Festival: l’impero (delle startup) colpisce ancora

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“Fammi un po’ capire quello che stai dicendo: gli austriaci sono precisi come i tedeschi e lazzaroni come gli italiani? Ma allora questo è il Paese di Bengodi!” Quando Caroline – il nome è di fantasia – mi ha parlato per la prima volta di come funziona l’Austria, il pregiudizio era ancora fermo a Francesco Giuseppe e al maresciallo Radetzky.

Eppure, è un Paese che vuol cavalcare la modernità: c’è, infatti, un filo rosso che collega l’impero austroungarico a Internet.

Qualche anno fa, Roberto Bonzio, fondatore di Italiani di frontiera, in uno dei suoi impressionanti monologhi aveva paragonato Internet al mondo ebraico: una lingua comune, un territorio senza confini, multietnico, unito per valori e codici.

Valori, questi, che si possono attribuire anche all’Impero austroungarico.

A quasi un secolo dalla fine degli Asburgo, l’Impero colpisce ancora, ospitando questa rassegna che si chiama Pioneers Festival, e lo fa puntando sul leit motiv dell’uomo contemporaneo: l’ entrepreneurship.

Pioneers Festival ha appunto l’obiettivo di rendere concrete le proprie idee, partendo da una vision molto forte: you dream it, you can do it.

Sono due le leve su cui lavorare: cutting edge technology e idee forti. E’ questo che serve per uscire dalla crisi, secondo Andreas Tschas,di Startup Europe.

E’ un discorso europeo che riguarda in particolar modo i Paesi come l’Italia.

In un Vecchio Continente nel quale il tasso di disoccupazione giovanile oscilla tra il 22% francese e un 52% spagnolo a fronte di un 8-9% del mondo tedesco, mettere gli under 30 nelle condizioni di crearsi un lavoro può essere la mossa giusta.

Dopo la premessa sull’importanza dell’ecosistema delle startup, il primo a prenderci per mano e accompagnarci nel futuro è Adam Cheyer, la mente – ma non la voce – di Siri.

Le sue previsioni riguardano l’interfaccia utente-macchina: il riconoscimento vocale oggi funziona ma sarà sempre migliore , il codice sarà collaborativo e saranno più diffusi i marketplace (sarà interessante vedere come si muoverà Mashape di Augusto Marietti & c.).

Vi sarà il progressivo uso da remoto dell’health care (citato da molti) e rivestirà sempre maggiore importanza l’augmented reality grazie alla diffusione di device specifici come Google Glasses, inizio dello sviluppo di dynamic knowledge repositories.

A dare altra vision a questo festival è la presenza, forte, della Singularity University che ha portato sul palco Salim Ismail e Daniel Kraft.

Il primo, nella veste di direttore dell’Istituto, ha ricordato Sucee, il programma europeo della Singularity: si è focalizzato sul trilione di dispositivi connessi nel 2050 (dai 50 milioni del 2020) e sul fatto che in questo momento storico, a fronte di alcune sfide apparentemente impossibili da vincere, le strutture attuali sono vecchie.

Ci vogliono schemi nuovi e bisogna, come fa la Singularity, connettere talenti perché la salvezza di questo pianeta può provenire solo dalle startup.

Chiude parlando di come le medicine saranno personalizzate, di alcuni progetti per debellare la malaria (Malariaspot.org) o di come la prossima rivoluzione sarà guidata dalle stampanti 3d.

A completare, dal punto di vista pratico,quanto Salim Ismail afferma, arriva, in uno speech successivo, Daniel Kraft, responsabile Medicina della Singularity.

Obiettivo di Kraft è quello di illustrare al pubblico viennese i progressi in campo biomedico, anche grazie al programma Futuremed: dall’integrazione di dati in sistemi crowdsourced, si possono fare diagnosi, stimare previsioni e, soprattutto, prevenire.

Accanto a panel, speech più o meno ispiratori, consigli per pitch, l’elemento differenziante di Pioneers Festival rispetto a conferenze simili si chiama Clash of the Founders: una sfida tra 2 team costituiti da 3 founders ciascuno, uno US e EU, che dovranno creare in 24 ore il miglior prodotto possibile da mostrare a due giudici come Ayelet Noff, founder e CEO di Blonde 2.0, e Mike Butcher, european editor di Techcrunch.

Le domande di Butcher e Noff riguardano soprattutto i punti di forza dei diversi team (vi sono, tra gli altri, i founders di vox.io, forrst, podio) – e il vantaggio che hanno nel provenire da un determinato territorio.

Il team US , quasi all’unisono, risponde che il proprio punto di forza risiederà nel prodotto e che il vantaggio competitivo come americani consiste nella fortuna di essere esposti alle migliori idee e prodotti che un ambiente pieno di innovazione come gli US, e la Silicon Valley in particolare, mette a disposizione.

Un po’ più modestamente, anche in linea con lo spirito molto rilassato della competizione, gli europei rispondono che la loro forza è basata sul design scandinavo e sulla musica inglese.

“Ikea e Rolling Stone”, sintetizza Mike Butcher.

Nelle sale attigue alla conferenza principale, si susseguono incontri e seminari specifici per startup: è proprio qui che gli investitori, presenti in massa, fanno le domande per capire revenue model o strategie di go-to-market di aspiranti startupper o di startup invitate alla competition.

Proprio tra queste ultime, frutto di una selezione di ben 800 domande per 50 posti disponibili, si è registrata la presenza di una bella componente di italiani.

Italiani che forse non cambieranno il mondo ma qualcosa per il Belpaese faranno.

Zeno Tomiolo

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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