Perché app gratuite (e gemme a pagamento) stanno ammazzando il gaming

lifestyle

Io la gente non la capisco. iPhone e iPad dappertutto; smartphone Android onnipresenti.

Più di 600 euro nelle nostre tasche. Sprecati.

Perché mai? Perché le maggiori potenzialità degli smartphone vengono dalle app gratuite e non. Ci fai di tutto; ce ne sono tante. Ma l’utente medio non le vuole comprare. Dopotutto, è “solo” un’app per il telefonino — c’è ormai la convinzione che un’app non possa valere più di 1 euro. L’utente medio le vuole gratis.

Ci sono app che meritano di esistere. App che migliorano sostanzialmente l’esperienza di chi le usa. Cambiano il modo in cui utilizziamo i nostri gadget. Ho citato OmniFocus —il gold standard per i software GTD. Parlo anche di (in nessun ordine particolare) You Need A Budget—per tenere conto delle proprie spese; Unread—nuovissima app per seguire i propri feed RSS; Instapaper—per salvare gli articoli da leggere più tardi; Ecoute—il miglior music player per iOS; Moves—per tenere d’occhio le nostre attività quotidiane; PhotoPills—il coltellino svizzero per ogni fotografo; Soulver—una calcolatrice avanzate; Amount—un convertitore comodissimo; Scanner Pro—uno scanner portatile; Launch Center—un modo diverso di utilizzare iOS; Fantastical—il calendario che utilizza linguaggio naturale; Mailbox—app perfetta per le proprie mail; Drafts—per le proprie note veloci; PDF Expert 5—la migliore app per i PDF, e forse quella che uso di più sul mio iPad; Wikipanion—un browser per Wikipedia; AVPlayer HD—per vedere video in qualsiasi formato; Byword ed Editorial—le mie app preferite per scrivere (in Markdown); Diet Coda—per i web designer su iPad; Storehouse—per scrivere photo essay in comodità; Reporter —per il tracking delle proprie attività; Evernote —il vostro quaderno digitale.

La lista potrebbe andare avanti per molto.

Vogliamo parlare di giochi? The Walking Dead, The Wolf Among Us, i Final Fantasy, The World Ends with You, Bastion, Waking Mars, Mage Gauntlet,Across Age, Limbo, Badland, Lost Winds, Osmos, Sworcery, Might & Magic: Clash of Heroes, Oceanhorn, Terraria, Another World, Gunman Clive, The Other Brothers, League of Evil, Age of Zombies, Kingdom Rush,Fieldrunners, Eufloria, Anomaly, SpellTower, PuzzleJuice, Letterpress,QuizUp, Super Hexagon, Impossible Road, Polara, Plague Inc, Hundreds,Contre Jour, Kami, Threes!, OLO game, Ten, Cut the Rope, Ridiculous Fishing, World of Goo, Eliss, Beat Sneak Bandit, Year Walk. Tutti giochi con cui andare sul sicuro.

I più attenti di voi avranno notato che quasi tutte sono a pagamento.Vi svelo un segreto: le app, se le volete di qualità, costano.

Preparatevi ad utilizzare la carta di credito. Molti di voi cominceranno a storcere il naso.Ma d’altronde, avete speso 700 euro per un telefono solo per mostrare di averlo, chissenefrega se non lo sfrutto al massimo?(Bene, ora credo di fatto arrabbiare qualcuno. Che in realtà era il mio scopo. Ci sarebbero un paio di cose che dovreste sapere.)

Non è una regola ferrea, quella di prezzo e qualità —ci sono buonissime eccezioni, lascio a voi suggerirle— ma è un buon indicatore generale: la qualità costa, come è giusto che sia.Ma c’è un problema: se un’app non è gratis, allora nel 99% gli utenti cercano un’alternativa gratuita—e visto il numero enorme di app (in ottobre abbiamo superato il milione), è probabile che ci sia.

Tant’è vero che molti possessori di iPhone e iPad non hanno nemmeno mai acquistato un’app.

Da un certo punto di vista, non si può nemmeno biasimare il consumatore per non voler rischiare i propri soldi. E’ sì vero che la qualità costa, ma non necessariamente il costo implica la qualità: di spazzatura se ne trova anche in quelle a pagamento. E Apple non permette versioni di prova, quindi l’acquisto —per il consumatore medio— è un po’ un salto nel buio: vede solo una piccola descrizione e qualche screenshot prima di premere il tasto “Acquista”.

Questi sono alcuni dei fattori per qui molte di queste app a pagamento —e di qualità— rischiano di soccombere a fronte delle poche vendite.E’ anche vero che (solo nell’App Store) abbiamo superato i 50 miliardi di app scaricate, con più di 10 miliardi di dollari nelle tasche degli sviluppatori—piccoli e grandi— quindi, direte, c’è poco da lamentarsi.

Ma le cose stanno cambiando.

Se guardiamo alla classifica delle Top 25 app scaricate, rispetto ad un anno fa i volumi sono di 10 volte inferiori. Se l’app #6 veniva scaricata 20.000 volte al giorno un anno fa, ora un app #6 viene scaricata solo 2.000 volte, in media. Come se non bastasse, il ricambio di app nelle classifiche è rapidissimo: un’app rimane al #6 solo qualche giorno, prima di precipitare nel dimenticatoio. Sul web circolano titoli come “Paid apps are dead” (“Le app a pagamento sono morte”): i tempi del “$0.99” sono decretati come finiti —non tanto dai giornalisti del settore, ma dalle analisi degli stessi sviluppatori.

Il modello qualche anno fa era del tipo: introduci la tua app a 0.99, in sconto rispetto al prezzo definitivo; fai il botto con il lancio; continua a fare soldi con il prezzo definitivo (maggiore) dopo che l’interesse scende con il passare del tempo. (Discorso diverso per le app da 5-20 euro: il volume di vendite necessario è minore e sono spesso app di nicchia.)

Cosa è cambiato? Perché gli sviluppatori stessi ci avvertono del cambiamento?Dobbiamo chiamare in causa alcune novità nel “sistema App Store” e considerare come sono distribuiti questi ricavi degli sviluppatori.

Apple ha da tempo introdotto gli In-App Purchases (IAP), le transazioni all’interno delle app: un modo, se vogliamo, per superare quello scoglio iniziale —il prezzo, qualunque esso sia— che incombe sulle app a pagamento. Risolvono anche il problema della mancanza dei free trial.

Il concetto è semplice: permettere agli sviluppatori di offrire dei pacchetti a pagamento all’interno delle loro app.In via di principio, un’app potrebbe essere proposta come gratuita, ma con funzionalità limitate. Una sorta di demo, da cui capire se l’app vale i nostri soldi o meno. Per sbloccare l’app completa —e tutte le sue funzioni— sarà poi possibile pagare il prezzo deciso dallo sviluppatore. In questo modo tutti sono contenti.Sta allo sviluppatore decidere cosa offrire e a quanto. Ci si affida al buon senso. E abbiamo esempi come Paper by FiftyThree e MoneyWell.

Per le app “tradizionali”, questo sistema sta funzionando, in linea di massima.Poi si guarda la classifica delle app più redditizie sull’App Store, e ci si rende conto come questo sistema —che avrebbe dovuto riportare aria fresca nel mondo delle app— sia diventato in realtà un’arma a doppio taglio.

Apple non aveva considerato l’ingenuità (per non usare un termine più forte) dei sui utenti. La meschinità —la mancanza di quel buon senso di cui si parlava— degli sviluppatori è solo una conseguenza.

Più del 70% dei ricavi degli sviluppatori (e ricordiamo che la somma NON è esigua) arriva da IAP all’interno app gratuite —perlopiù giochi che seguono il cosiddetto modello freemium (free+premium). Il problema non è l’IAP in sè—come abbiamo visto funzionerebbero in un mondo ideale. Il problema è come questi IAP vengono proposti.

E’ lo schifo più totale: la degenerazione dei più basilari concetti videoludici.

Sono andato sull’App Store, ho scaricato i giochi più redditizi (Candy Crush Saga, Clash of Clans e compagnia) e li ho provati. Della situazione ne avevo sentito parlare, ma volevo toccare con mano, capire da dove derivano questi guadagni esorbitanti. Da gamer di vecchia data (ancora mi ricordo quando mio padre arrivò a casa con la prima PlayStation e Tekken 3; come ho cominciato ad imparare l’inglese giocando a Final Fantasy VII) certi successi non me li spiego.

In tutti questi giochi le meccaniche di gioco sono costruite in modo da essere lentissime. Non nel senso che il gioco sia lento, o noioso: tra una mossa e l’altra i tempi di attesa sono letteralmente di decine di ore. Vuoi velocizzare il gioco? Spendi una gemma (o un cuore, o un gettone). Come si ottengono le gemme? Spesso se ne guadagnano giocando —ma molto, molto poche. Gli sviluppatori (i nostri benefattori) ci offrono un comodo Store dove poter acquistare tutte le gemme che vogliamo. Qualche gemma? Paga 0.79 centesimi. Ne vuoi tante? Ci sono pacchetti da 2-3 euro fino a 20-30-60 euro. Per delle gemme. Per andare avanti con il gioco. Questa è la situazione dei giochi di maggior successo. Scusatemi, ma ha dell’orrido. E’ l’antitesi di tutto quello che dovrebbe esserci in un videogioco: value for the money. Pago 70 euro per giocare a The Last of Us —e sono contento di averli spesi, perché quei soldi se li merita.

Nella follia degli IAP, invece, ogni meccanica (che intendiamoci, può anche essere ben fatta) è un semplice maschera per farti compare quel pacchetto di gemme.

Sono creati appositamente per farti raggiungere un punto dove la tentazione —implicita o esplicita— dell’IAP è dietro l’angolo: una macchina da soldi, e bravi gli sviluppatori per riuscirci.

Ora, diciamocelo: per quanto il gaming su iOS abbia grandi potenzialità, i veri gamers sono su console e PC. La stragrande maggioranza dei giocatori che sfogliano l’App Store sono casual gamers. Nessuno di loro è stato abituato a pagare 60-70 euro per un gioco di grande produzione —e nemmeno ce lo si può aspettare. Il problema è che questi non hanno nemmeno idea, evidentemente, di come sia —o come si giochi— un vero gioco di qualità.

Poi però ti rendi conto dell’incoerenza delle loro scelte: lo dicono i dati delle vendite. Stanno morendo i giochi indie, quelli speciali, i giochi di qualità —che abbiamo visto non mancare— perchè nessuno è disposto a pagare per un gioco. Ma poi il pacchetto più popolare di gemme è quello da 24.99 euro. Mi spiegate dove sta la logica in questo?

Ci sono corsi online (che volutamente non linko) per creare le metodiche di IAP più efficienti. Per ingannare i giocatori —spesso bambini— inconsapevoli. Perchè è proprio di ingannare che si tratta. Il concetto è simile a quello delle slot machine, se vogliamo.La colpa non è solo degli sviluppatori. Non fanno altro che approfittarsi della situazione, perchè il mercato c’è. E il mercato lo fanno i consumatori privi di una cultura videoludica; consumatori abituati, ormai, al modello freemium.

Spesso vedo che Apple viene considerata il “cattivo” per la selezione che fa sulle app. L’App Store è chiuso e tutto quello che ci sta dietro. Quando a qualcuno non viene accettata un’app, ecco che punta il dito.

A mio personale parere, Apple dovrebbe essere ancora più selettiva. Ne beneficeremmo tutti, compresi i nostri portafogli. Sarò io uno all’antica —cresciuto a pane e Metal Gear Solid— ma la situazione è tragicomica.

Io la gente proprio non la capisco. OmniFocus mi dice che ho del tempo libero ora, quindi me ne torno a giocare a Final Fantasy VI.

Alla prossima.

Jason FontanaReblog da Jasonfontanaweb.com

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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