Pc e robot già pensano, usiamoli per migliorare l’umanità

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Come ogni cane, anche la mia Lady abbaia senza motivo quando fiuta o sente un “pericolo” (ad esempio, l’aprirsi del cancello davanti casa). Quanto ad olfatto e udito, i nostri amici a quattro zampe sono imbattibili, ma esagerano spesso nella stima delle minacce.Alla stessa stregua, credo che l’allarmismo sui pericoli dell’Intelligenza Artificiale (IA) sia frutto di una rappresentazione parziale della realtà. Il fenomeno ha origine mediatica, anche se questa volta non possiamo certo biasimare giornali, social e televisione per aver fatto da cassa di risonanza alle dichiarazioni altisonanti di Sir Stephen Hawking, Bill Gates, Steve Wozniak ed Elon Musk.

Mi rendo conto come il paragone possa sembrare azzardato: gli avvertimenti di un’incombente apocalisse robotica non arrivano da Fido o Rin Tin Tin ma da campioni di calibro assoluto in scienza e tecnologia.

Non discuto sia necessario considerare le implicazioni negative che la creazione di un’intelligenza sintetica, autonoma e cosciente porta con sé. Del resto, non è il timore di ogni genitore che il proprio figlio, crescendo e acquisendo indipendenza, possa imboccare cattive strade? Tuttavia, non fossimo stati in grado di superare paure ancestrali ben peggiori di questa, non vi sarebbe traccia della nostra specie oggi sulla Terra.Invece resistiamo ogni giorno alle Forze della Natura; siamo riusciti a domare l’atomo, pur fermandoci sull’orlo dell’annichilimento nucleare; esploriamo l’Universo, costruendo veicoli ed equipaggiamenti a scudo del nostro fragile corpo.

Perché, nonostante tutto, l’essere umano sa sempre guardare al futuro con ottimismo, attitudine innata che emerge da un’irrefrenabile sete di conoscenza (avete presente il mito di Prometeo?) e da una costante curiosità per il mondo (la “meraviglia socratica”, per rimanere in Grecia).

Questa incessante tensione verso il futuro è il nostro più efficace strumento di difesa contro le minacce dell’universo (e contro quelle che – nella nostra imperfezione – abbiamo purtroppo forgiato con le nostre mani).

credits: The Guardian

Rifiuto di adeguarmi alla tesi escatologica che raffigura l’IA come “l’ultima invenzione dell’uomo” (ultima poiché letale): sono convinto possa invece rappresentare la sublimazione della libera potenza creativa umana.

Sono d’accordo su un punto: dobbiamo evitare che le macchine diventino armi al servizio dell’uomo contro i propri simili.

Tuttavia, la vera questione posta da alcuni membri della comunità scientifica è un’altra: per evitare che le macchine si scaglino contro il proprio creatore, dobbiamo porre dei limiti alla ricerca. Su questo punto, mi permetto di dissentire: non c’è nulla da fare se l’IA vorrà imboccare una cattiva strada.

Soggiogare qualcosa d’inimmaginabile come un’intelligenza esponenzialmente superiore alla nostra è una contraddizione logica: lo faremmo secondo una comprensione limitata, quando invece un’IA “ragionerebbe” secondo canoni a noi inaccessibili. Non è fantascienza, succede già oggi: non abbiamo alcuna idea di come “ragionino” i sistemi più avanzati di Deep Learning.

Così come Lady non è in grado di collegare il cancello che si apre alle buone intenzioni del postino, l’umanità rischia di identificare l’IA come nociva tout court a causa di una visione parziale del mondo, viziata da un senso di panico preventivo, e senza avere le capacità sufficienti ad interpretare le intenzioni della Singolarità Artificiale. L’IA è infatti spesso associata alla singolarità, un concetto mutuato dalla Fisica e che implica discontinuità con lo stato precedente: l’IA apparirebbe in modo piuttosto inaspettato, come un’extrasistole in un elettrocardiogramma normale.

Siri (Apple), Watson (IBM), Cortana (Microsoft), Iris (Amazon) fanno parte di uno scenario piuttosto piatto di progresso, in cui la Singolarità Artificiale rappresenterebbe invece un vero e proprio terremoto tecnologico. Se quindi non è possibile prevedere il sisma dell’IA, quando dovremmo smantellare i centri di ricerca? Fra un anno? Dieci? E perché non domani mattina? La storia della scoperta scientifica insegna altro: la scienza non sbaracca!In questi termini, credo sia più utile indirizzare il dibattito verso l’opportunità unica che si staglia dinanzi a noi: migliorare la specie umana grazie all’interazione (qualcuno sostiene, vera e propria “integrazione”) con le macchine intelligenti. Del resto, il fisico britannico Stephen Hawking è l’esempio vivente che questo processo è già in atto.

Dobbiamo sensibilizzare il pubblico su ciò che sta accadendo nei laboratori di tutto il mondo.

Nel mio piccolo, su “Che Futuro”, racconterò la mia esperienza.

In questo post non ho (volutamente) fornito alcuna definizione di “intelligenza”; una cosa fatemela dire però: ritengo alquanto improbabile che la mente umana sia la più alta forma d’intelligenza possibile. E mi sottraggo subito alla facile tentazione di richiami metempirici a intelligenze divine, demiurghi filosofici, extraterrestri e, certamente anche alla deificazione dell’IA. Lusinghe cui mi pare abbia recentemente ceduto Nick Bostrom, stella ascendente del pensiero oxoniense. Il Nostro ha formulato la seguente teoria: esisterebbe un “Grande Filtro” che ciclicamente setaccia l’Universo, separando intelligenze dominanti da intelligenze inferiori. In sé l’argomento non sembra particolarmente originale. La novità risiederebbe nel seguito: se non siamo già il prodotto di una filtrazione avvenuta nel passato, significa che saremo oggetto di una filtrazione in futuro, e non è detto ne usciremo vincenti (Dio non voglia che il nostro competitor diretto sia una legione di robot pensanti!). Il Principio della Grande Filtrazione, dunque: immagino non si parli d’altro, tra una pinta e l’altra, negli affollati pub di Oxford (e probabilmente solo lì). En passant: se non ci siete mai stati, consiglio “The Rose and the Crown”, dove capita di vedere l’etereo Tom Yorke seduto al bancone a scrivere canzoni.

Tra intelligenze canine, umane e artificiali, chiudo con una rassicurazione: dormite sonni tranquilli, l’IA è ancora molto lontana. Nessun Terminator sta per sfondarvi la porta di casa solo perché siete una delle tante “Sarah Connor” sull’elenco telefonico. E se per caso sognate di essere diventati una batteria organica per macchine tentacolari, è colpa delle pillole di terza mano smerciate da quel ciarlatano di Morfeo. Io ora vado a letto, sperando di non dover contare le solite pecore elettriche per addormentarmi…

ALESSANDRO OLTRAMARI*

* Alessandro Oltramari è ricercatore alla Carnegie Mellon University. Twitter: @oltramale

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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