Le tappe di una reciproca conoscenza, col mio cavallo come con la nuova mano

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“Puoi salire!” – esclama Susi.“Da sola?” – domando “Certo!”Tre, due, uno, sono in alto. Ce l’ho fatta.

L’anno scorso, in estate, avevo deciso di provare questa sfida. Niente vacanze fuori porta, ma ogni giorno al tramonto ero in quel maneggio. In campagna, a pochi chilometri dal centro storico della mia città, Lendinara, in Veneto.

Le nostre sono tappe di una reciproca conoscenza. Non ho trovato metodi alternativi, solo il giusto equilibrio. Non servivano due mani per tenere le redini, ma una. I veri protagonisti sono il bacino e le gambe che cercano la strada più giusta per funzionare assieme al cavallo. Scoprire il punto corretto sulla sua pancia e cominciare. Decidere imperterrita quando si è pronti. Essere determinati.

È come scommettere di raccontare FABLE a Genova, alla giornata di Next dedicata ai ventenni.

FABLE come mano stampata in 3D, FABLE come decisione. Innovazione e narrazione a confronto. Davanti a persone sconosciute che tendono l’orecchio, e sentono quello che si ha da dire in mezzo ad altri ragazzi che hanno pure loro una storia. Una storia importante.

Non riuscivo per nulla a nascondere quello che provavo. Gli sguardi, la tensione.

Avevo timore, la voce tremava, e il countdown funzionava bene. Io e il tempo non andiamo molto d’accordo.

Con Riccardo Luna sul palco di Next

Il giorno prima si era concluso un percorso,insieme ad altrettanti racconti. Quando non l’ho cercata questa strada ma semplicemente trovata. Da poche righe scritte dalla Prof, ci ho creduto e mi sono trasferita a Torino per gli anni a seguire.

Scrivere del mondo reale. Volevo allontanarmi e andare a nascondermi in qualche angolo fantastico, e invece sono capitata proprio lì. Nella classe in cui si racconta di esso. In questi mesi mi sono avvicinata sempre più. E forse non è un caso.

Al passo a mano destra, cioè il senso in cui devi percorrere il maneggio. Ricordarsi le giuste sensazioni. Lente. Premere il punto giusto per guidare lungo il campo. Poi si deve cambiare direzione, facendo una diagonale da un angolo all’altro. In fondo, lo sappiamo, che le modifiche che dobbiamo apportare a un’azione sono più complicate. Perché cambiare allora se ciò che stai facendo è comodo? Per conoscere altro.

Quello che dobbiamo fare è continuare a provarci. Vale per la vita quando cerco di raccontare la mia nuova mano.

Quando voglio trasmettere un messaggio.

Quello era il mio scopo rivolto ai giovanissimi che ascoltavano: essere sempre sicuri di noi stessi. Ho potuto ascoltare altre storie di ventenni che in modi totalmente differenti sono riusciti a dare forma a ciò che credevano fortemente. Chi è dovuto andare all’estero, chi poi è ritornato in Italia. Chi ha deciso di rimanere, chi invece di viaggiare. Non si sono abbattuti per una prova andata male, ma ci hanno riprovato scommettendo su loro stessi, investendo sulle loro passioni. E non è poco, credo.

Vale altrettanto per l’animale che si monta, se ci si ferma il cavallo non capisce la figura corretta da eseguire e non asseconda più chi lo guida.

FABLE è entrata nella mia vita come una possibilità. Perché cambiare direzione è necessario a volte anche se crea dubbi e domande.

Poi si continua, si ripetono i circoli, le volte. Si ripassa, dopotutto sono nove mesi che non monto Lady. Bisogna sempre guardare avanti, non ci sono seconde opzioni. Dobbiamo comprenderci a vicenda.

Incontrarsi per la prima volta a un Festival. Comprendere chi si è diventati e chi si ha davanti, scoprire le persone per la prima volta semplicemente da che cosa hanno deciso di condividere in quel luogo. È bello, ognuno da un binario differente. Un giorno intenso quello di Genova fatto di nuovi incontri, di più consapevolezza e di ulteriori obiettivi per il futuro.

Forse il segnale che riceve Lady è sbagliato. Perché è più complicato a mano sinistra, in senso anti orario. La sensazione che riceve è scorretta. Allora si riprova, senza paura, con costanza. Nella direzione che si è decisa, mantenendola.

Sabato scorso feci capolino alla Torino Mini Maker Faire, vestita da puffa OBM Initiative. Incontrai anche Irio e Giovanni, modellatore e ingegnere del progetto FABLE. Stanno lavorando molto alla meccanica partendo dalle mie esigenze personali che avevo scritto su Google Drive: la leggerezza della protesi, la traspirazione e il comfort all’interno.

Per riuscire, per esempio, a prendere un oggetto anche piccolo con la mano destra, o più in là a scrivere.

Devono trovare pure loro la chiave giusta per adattare tutte le mie richieste che non sono poche. La parte elettronica è alla terza versione e tutto si sta evolvendo. Il caldo si faceva sentire ma i maker erano al lavoro nelle loro postazioni. C’era gente di ogni età. Grandi e sempre più piccoli non tanto piccoli con la partita IVA (sembrava tutto nella quotidianità e molto accessibile e vicino, più di quanto immaginiamo).

Fino a che un ragazzo mi riconosce (io gli avrei chiesto l’amicizia su Facebook) e non mi ricordavo totalmente chi fosse. Era curioso di sapere perché raccontavo questa storia, in cui c’è praticamente la mia vita, perché gli sembravo molto riservata e lo sono, ha ragione. Mi sono messa in gioco. Questo è il punto.

È così che dopo mesi si comincia a capire il trotto, ad accompagnare la sella nel movimento apparentemente scomodo. Perché si torna a casa dopo due mesi e si ha voglia di quel luogo. Scavalco la gamba destra, mi tengo salda al pomello. Lentamente scendo e sfilo il piede dall’altra staffa. Da sola. Le accarezzo il muso.Silenzio, sono nel luogo giusto.

FABIA TIMACO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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