Com’è nata FABLE, la protesi mioelettrica stampata in 3D e ideata da giovani italiani

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Da piccola quando a mamma chiedevo:“Raccontami una storia!”Lei rispondeva: “Dammi tre parole.”“Fammi pensare…”“Ci sono: idea, progetto, mano!”“Bene, cominciamo…”

C’era una volta FABLE, la mano che presto avrò grazie a OBM Initiative. Per un po’ di puntate, sparse qua e là, sarà la protagonista del Diario. Avrà la possibilità di dialogare con noi attraverso chi è a stretto contatto con lei quotidianamente.

Passo dopo passo racconteremo qualche dettaglio in più del dietro le quinte.

FABLE non è solo un progetto, è prima di tutto un team di persone che condividono un viaggio fatto di creatività, emozioni e dedizione.

Ogni storia ha un inizio, allora torniamo un po’ indietro nel tempo facendo parlare chi ci lavora dal principio.

Avevo già incontrato un gruppo di puffi a Milano.

Tra loro c’era pure Stefania Valentini, teamleader del progetto:

“La mia avventura ha inizio un anno fa, il 24 aprile 2014, giorno in cui entravo ufficialmente a far parte dell’Open BioMedical Initiative. Ho conosciuto questa realtà per puro caso, dopo aver letto un articolo sul segnale mioelettrico e le sue applicazioni, scritto da uno dei co-fondatori dell’iniziativa. Qualcosa mi ha spinto a contattare l’autore e a chiedere se potessi contribuire in qualche modo. Ero da tempo alla ricerca di un luogo fatto apposta per me, un luogo dove sentirmi finalmente “a casa”… e sentivo di averlo trovato.” – racconta.

All’inizio entrò in piccolo gruppo formato da quattro membri: uno studente di biotecnologie, un ingegnere elettronico-biomedicale, un biologo e uno studente di scienze infermieristiche (Stefania, tra l’altro, era la prima ragazza dentro OBM Initiative).

“Mi accolsero subito a braccia aperte, con mia grande sorpresa, e mi spiegarono i principi alla base della community. L’idea era quella di avere diversi team,ciascuno con un progetto, per garantire stabilità, organizzazione ed efficienza.”

Al momento del suo esordio un team era già al lavoro sullo sviluppo di una protesi meccanica di arto superiore, presto sarebbe partito il progetto della protesi mioelettrica e stava per essere avviato un terzo progetto volto a diffondere la stampa 3D a livello ospedaliero.

Pensarono che con un progetto di questo tipo si poteva offrire a un numero enorme di persone una formula di aiuto totalmente rivoluzionaria, introducendo tra l’altro una serie di funzionalità innovative rispetto a progetti simili già proposti e sviluppati da altri gruppi in altri paesi.

Poi arrivò la fatidica domanda: “Stefania, ti potrebbe interessare avviare il progetto della protesi mioelettrica?”

Così, l’11 maggio 2014, ebbe inizio ufficialmente il progetto FABLE.

Il team era inizialmente formato da soli quattro membri. Stefania decise una prima suddivisione del progetto in step, stabilì una roadmap dei lavori e cominciò la loro avventura insieme.

Il primo render della protesi FABLE. Credits: OBM

Subito dopo, il primo giugno, la community migrò ufficialmente su Google+, e da quel momento in poi il team si arricchì di nuovi membri a una velocità inaspettata.“Ad oggi siamo una decina di persone, ognuno col proprio ruolo. Non tutti abbiamo una grande esperienza, io per prima, ma con prove ed errori posso affermare di aver raggiunto senza ombra di dubbio un’organizzazione paragonabile ad un meccanismo ben oliato.”

La struttura del team comprende al suo interno tre sottogruppi, rispettivamente concentrati sugli aspetti “Meccanica”, “Elettronica” e “Programmazione”, affidati ad altrettanti responsabili di progetto. Periodicamente si riuniscono in videoconferenza (essendo dislocati in tante città diverse, anche fuori dall’Italia) e in queste occasioni fanno il punto della situazione, confrontandosi per risolvere insieme le criticità e proporre nuove idee, che (a dire il vero) non mancano mai.

Stefania Valentini, teamleader OBM del progetto FABLE

A Città della Scienza ho avuto la possibilità di parlare con Stefania. Pochi minuti sono bastati per trasmettermi la passione, l’umanità e la voglia di mettersi in gioco in una causa così importante.

“Le cose belle non sono mai facili.” mi diceva, e forse ha ragione perché a volte riflettere, dosare e raccontare questa storia nel miglior modo possibile, entro le mie capacità, non è semplice. È stato un primo esperimento differente quest’ultimo diario. Siamo partiti in quarta, senza fermarci nemmeno un secondo. La settimana scorsa, dopo cinque capitoli, abbiamo fatto pausa.

Vi abbiamo lasciati in attesa, convinti che da qualche parte magari le domande sul perché il Diario non fosse uscito erano proprio lì ad aspettarci. Cosa è stato questo denso periodo dal primo incontro con OBM Initiative al 3DPrintHub?

E’ stato coraggio, speranza e molto timore. Sì, perché una cosa è la teoria, la pratica è ben diversa. Dicono. E non hanno tutti i torti.

Chi è del mestiere sta lavorando sodo per la sottoscritta, per trovare la strada più facile a me un domani. Per la mia indipendenza e il mio futuro. E allora anch’io dovevo richiedere un po’ più di tempo per vivere questa vicenda, per accettarla. Ho cominciato a porre domande su cosa era quella mano che stavano costruendo per me e per altre persone poi. Condividere le loro risposte è un’occasione in più per conoscere con lo zoom il progetto. E pian piano creare un rapporto di prima conoscenza. Tutto con i nostri tempi.

Non mi piace la velocità, preferisco la profondità. Ed ecco che allora ci vedremo tra queste pagine ogni quindici giorni, per condividere una riflessione ancora più ricca di un viaggio che merita di essere raccontato da ogni punto di vista. Non mancate!

FABIA TIMACO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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