Il nostro primo mese a 500startups: passione, determinazione e leggerezza

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La sede di 500startups è all’ultimo piano del palazzo più alto di Mountain View. Anzi, 500startups è all’ultimo piano dell’unico palazzo alto di Mountain View. Una specie di torre di vetro con finestre a 360 gradi sulla Silicon Valley. L’acqua della baia a est, l’acqua dell’oceano a ovest. Ci arriviamo ogni mattina a piedi dal nostro residence su Escuela Avenue, rigorosamente con piscina e palme. E a volte ci imbattiamo in cartelli tipo quello che vedete tra le foto.

Per la prima volta da quando abbiamo iniziato a lavorare a Timbuktu, ormai quasi due anni fa, siamo una vera squadra. Non siamo più soltanto io e Francesca nella nostra cucina di Milano. Samuele Motta e Diego Trinciarelli sono entrati ufficialmente a far parte del team, e il gioco è diventato molto più serio.

Ogni lunedì a mezzogiorno c’è il batch meeting: una riunione di gruppo nell’area comune in cui Dave (McClure), Paul (Singh) e Christine (Tsai) ci aiutano a fare il punto sulla settimana appena trascorsa e ci anticipano quello che succederà in quella appena iniziata. Ogni venerdì c’è il Brewski Friday, una festa tipo college con molta birra e molta musica. C’è molto della cultura di 500startups in questa struttura. Si inizia la settimana con un confronto molto serio e molto duro su quello che si è imparato e quello che ci aspetta, e si finisce giocando a beer pong. Work hard, play hard.

Questo primo mese lo abbiamo passato lavorando soprattutto sul customer design. Che tradotto vuol dire scomporre il tuo prodotto in singole parti e testarle una per una con persone in carne e ossa, anche detti real users.

Lo so che ora state pensando ai focus group. Ma no, non c’entrano niente. Non si tratta di rinchiudere cinque o sei persone in una stanza, farle giocare con il tuo prodotto e vedere cosa ne pensano. Si tratta di fare un passo indietro. Smetterla di pensare a Timbuktu come a un prodotto d’insieme e iniziare a pensarlo come la somma di alcune funzioni. E misurare queste funzioni. E poi decidere su quali investire e quali no. Lean design, per chi è appassionato di etichette.

C’è stato un workshop con Enrique Allen dello Stanford Institute of Design e un altro con Janice Fraser di LUXr. Niente prodotti finiti, solo post-it e prototipi di carta. Io non ci credevo che potesse funzionare, e invece funziona.

Your readers know much more than you do“, diceva Jay Rosen. Ecco, anche “your users“.

Se pensate che il vostro prodotto piacerà per forza perché è la cosa più fica del mondo e l’avete progettata voi – cosa che io ho pensato un sacco di volte – state certi che scomparirà in pochi mesi.

Là fuori ci sono decine di startup che stanno cercando di fare la stessa cosa che fate voi. E se non capite in fretta che essere i più fichi vuol dire saperlo dimostrare, vi faranno a pezzi senza che facciate neanche in tempo ad accorgervene. “Measure what matters”, è il mantra di 500startups.

Il che vuol dire che devi imparare a fare una cosa molto difficile: leggere i dati. Ci sono un sacco di strumenti per misurare il modo in cui gli utenti interagiscono con il tuo prodotto. E quelli che ve li vengono a presentare a 500startups sono quelli che li hanno inventati. Hasit Shah, per esempio, di KissMetrics. Noi usiamo MopApp e AppAnnie per tracciare i dati dell’iTunes Store, Flurry e Kontagent per tracciare l’interazione degli utenti con la nostra app, appSeo per tracciare quali keyword funzionano meglio sull’App Store, Optimizely per fare i test A/B. In più abbiamo un asso nella manica. Una cosa per cui qui nella Silicon Valley pagano oro e che noi invece abbiamo letteralmente in casa: Erica Capanni, la nostra coinquilina di Milano e la mia più grande amica del liceo e data analyst di professione.

Insomma, se pensate di avere il controllo della situazione solo perché usate Google Analytics, vi faranno a pezzi come sopra.

L’altro grosso pezzo del programma di 500 sono i mentor. Il valore di un accelerator program come questo non è dato soltanto dall’investimento in denaro che decide di fare sulla tua azienda, ma anche e soprattutto dalla rete di persone con cui ti mette in contatto. Stare al dodicesimo piano di 444 Castro Street significa avere accesso a un network di oltre 160 mentor in tutto il mondo, la maggioranza concentrata ovviamente nella Silicon Valley. Significa poter chiedere aiuto diretto sul tuo prodotto e sulla tua strategia alle persone che hanno fondato o che lavorano in alcune delle startup di maggior successo degli ultimi anni come Facebook, Google, Youtube, PayPal, Twilio, Etsy, Twitter, Zynga e Flipboard. Che poi è un po’ come chiedere aiuto a Spiderman, Superman, Batman e Robin combinati in una sola persona.

I mentor sono di fatto anche l’unico modo per entrare dentro 500startups. Non esiste una application per essere ammessi al programma. L’unica strada per avere un colloquio è riuscire a ottenere almeno tre introduction da tre mentor che fanno già parte della rete. Li contatti, presenti il tuo progetto e spieghi perché pensi che saresti un buon candidato. Se piaci, ti segnalano. Tara Kelly (Passpack) è stata la prima a segnalarci e ora lei e Francesco Sullo sono un po’ diventati la nostra famiglia a Mountain View (tanto che domenica ci hanno fatto delle buonissime tagliatelle al ragù).

E poi c’è il funding. Onnipresente e trasversale rispetto a tutto il programma. Siamo qui per raccogliere soldi, non ce lo dimentichiamo. E tutto il programma è costruito in vista del DemoDay finale a luglio, quando ogni startup presenterà davanti alla platea di investitori più hot della Silicon Valley (e qualche giorno dopo a New York). Un sacco di lezioni e di talk che seguiamo sono dedicati a questo: che cosa vuol dire fare fundraising, quali sono gli strumenti da usare, come si capisce quali sono gli investitori giusti per la tua azienda, come si devono contattare, e così via. Giovedì sera per dire è venuto a parlare Naval Ravikant, fondatore di Angel List, il social network che sta rivoluzionando l’accesso al seed investment nella Silicon Valley. E prima c’erano già stati Aaron Patzer, fondatore di Mint, T.J Sassani, fondatore di Zozi e Rahul Vohra, fondatore di Rapportive.

Abbiamo fatto il nostro primo pitch ufficiale nella Silicon Valley durante la MamaBear Tech Conference del 20 aprile e abbiamo conosciuto praticamente tutte le startup più hot del momento nel family market: MotionMath, Ecomom, Red Tricycle, Toca Boca, Mind Snacks, Tadami. Una delle prime cose che ti insegnano qui è conoscere alla perfezione i tuoi competitor più o meno diretti e fare sinergia con loro. Perché il fatto è che nessuno sa ancora con certezza quali pratiche saranno vincenti e provare a fare squadra con altre startup che hanno le tue stesse esigenze e che vanno alla tua stessa velocità è sicuramente più utile che aspettare che si sveglino le grosse aziende.

Nell’insieme, stare dentro 500startups è come fare un MBA molto accelerato. Con il vantaggio che lo stai facendo direttamente sulla tua azienda e sul tuo prodotto, circondata da persone che vogliono cambiare il mondo come te. Con passione, determinazione e leggerezza. We’re kind of a big deal.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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