Ecco BigRock, la scuola che insegna a disegnare il cinema

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Sono sempre molto attratta dagli artigiani e dal loro lavoro. L’occhio mi cade quasi spontaneamente sulle cose belle. Soprattutto su quelle che denotano una dedizione speciale, la cura per i particolari, il gusto per la ricerca e la sperimentazione. Essere artigiani è uno stato della mente, prima ancora di essere la condizione delle mani che creano. Credo che si possa essere artigiani anche nell’educazione, basta saper individuare le esperienze che più si avvicinano a questo concetto. Non bisogna andare neanche così lontano, in fondo. E’ un po’ di tempo che mi incuriosisce una scuola.

BigRock è una “scuola a forma di scuola” (come si definisce sul sito), in cui si impara a fare, oltre che ad ascoltare. Si trova a Roncade, di fianco ad H-Farm, in quella campagna splendida fra Treviso e la laguna di Venezia.

Qui si tengono master in computer grafica, rivolti a ragazze e ragazzi dai 18 ai 25 anni. Sei mesi di vera scuola, durante i quali si impara prima di tutto a concentrarsi sulla propria attività: non ci sono le distrazioni di una grande città, si studia e lavora dalla mattina alla sera, si striscia un badge (e chi arriva tardi salta la giornata), si fa ginnastica per imparare a riconoscere e riprodurre i movimenti di muscoli e ossa, si recita in teatro per cogliere le sfumature delle azioni dei personaggi, si va al cinema ad imparare dagli errori nei vecchi film insieme alla propria classe.

DA DOVE SI COMINCIA?

Paradossalmente, proprio dall’ambiente. Se non bastasse la bellezza della campagna trevigiana, dei casali, dei prati verdissimi, qui si curano anche gli interni, a partire dall’ergonomia: sedie di alta qualità, scrivanie bellissime e piacevoli al tatto, computer e software di ultima generazione, e alle pareti, le locandine dei film a cui hanno partecipato gli ex bigrockers.Quello che mi ha più colpito di BigRock però è la didattica, la costruzione del percorso educativo.

La disciplina, il rigore potrei dire, con cui si entra e si partecipa al master, l’educazione all’umiltà e al riconoscere i propri errori ma anche la sfida di imparare a credere in se stessi e nelle proprie possibilità, tutto converge in un processo di costruzione della propria professionalità. Le competenze che si costruiscono imparando a fare tutto, a seguire ogni singolo passaggio di una produzione, ad abituarsi ad entrare via via in ogni ruolo per imparare davvero a far parte di un gruppo, fino a riconoscere le competenze degli altri.I BigRockers sostengono di essere “il popolo dei titoli di coda”: è vero, lo sono. Sono quell’esercito di disegnatori, animatori, tecnici che alla fine di un film riempie per alcuni minuti lo schermo del cinema e che, con colpevole distrazione, molti spettatori nemmeno guardano, presi dalla fretta di uscire.

Incontro Marco Savini, il CEO di BigRock, poco prima dell’Open Day che hanno programmato qui a Roma. «I sogni non devono avere limiti» mi dice davanti ad un caffè, che consuma rigorosamente in piedi, zaino in spalla, come uno che ha ancora molte grandi cose da scovare all’orizzonte. Marco è un pilota di aerei, prima che un docente. È abituato a volare in squadra, ma anche a guardare il mondo dall’alto, ad osservarlo nel suo complesso, a vedere lontano spaziando con lo sguardo.

LA SFIDA DI LAVORARE IN TEAM

Marco mi spiega che alla base della filosofia di BigRock c’è la sfida principale, quella di lavorare in team. Per lui collaborare non significa scegliersi una squadra di buoni amici per lavorare tranquilli e senza contrasti; significa soprattutto imparare a riconoscere negli altri le loro qualità mettendo a fattor comune le singole esperienze per la miglior riuscita di un progetto.“Al cinema ti giudica il pubblico, non gli amici. Puoi lavorare con chi vuoi e chi ti scegli, ma se la scelta è sbagliata, saranno gli spettatori a giudicarla”. Questo ti obbliga a fare delle scelte cariche di senso, a prendere decisioni, a ridiscutere con te stesso quanto sei disposto a collaborare.

Graduation 18 – Io sono un BigRocker from BigRock on Vimeo.

E aiuta anche a capire che si diventa leader solo se lo si è davvero e solo se si è disposti a misurarsi con ogni ordine di difficoltà, mettendosi anche nei panni degli altri.

A BigRock il software è fondamentale, ma non una bandiera. Non ci sono loghi, anche se i docenti sono formatori certificati e la scuola è centro autorizzato da molte software house. Rappresenta uno strumento, un mezzo con cui esprimere le proprie idee e realizzarle. Perché prima di tutto devi essere capace di fare qualcosa di unico, qui si dà per scontato che tu lo sappia già usare. La metafora scelta è quella dei LEGO: puoi costruire esattamente ciò che ti mostra l’immagine sulla scatola, ma la tua forza di innovazione sta nel saper riutilizzare quegli stessi pezzi per creare qualcosa di originale, di unico, che sia fonte di ispirazione per altri, che faccia sognare.Infatti i ragazzi dell’ultima classe del master, quest’anno, nella bottiglia che ricevono in eredità dalla classe precedente e che vanno a cercare in mezzo al deserto nel viaggio di fine corso, hanno trovato un messaggio: “Vivere, rischiare, provare, non fermarsi. Perché chi arriva, smette di sognare”.

Alla fine della chiacchierata, già seduta in sala, mi accorgo che non ho chiesto a Marco quello che medito di chiedergli da almeno un anno, e cioè che cosa spinge un pilota ad aprire una scuola. Mi risponde così:

dopo gli aerei, disegnare il futuro è la cosa più affascinante che si possa immaginare.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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