Così il papà dei Creative Commons punta alla Casa Bianca per hackerare la politica dei ricchi

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Negli USA è tempo di primarie, lo strumento attraverso il quale democratici e repubblicani decideranno i propri candidati per le elezioni presidenziali del prossimo anno.Insieme ai più noti Hillary Clinton, Donald Trump e Jeb Bush, nelle scorse settimane è “sceso in campo” un candidato meno famoso per il grande pubblico, ma molto conosciuto da chi si occupa di diritti e libertà digitali. Il suo nome è Lawrence Lessig, docente di diritto all’Università di Harvard dove ha fondato il “Center for Internet and Society”, padre di Creative Commons e membro dell’Advisory Board di Sunlight Foundation (una delle più importanti organizzazioni non governative impegnate sui temi dell’open government).Nel corso degli ultimi anni Lessig ha smesso di concentrarsi sulle questioni legate al copyright e ai diritti digitali per impegnarsi sulla corruzione del sistema politico statunitense.

Larry Lessig

Non ha quindi stupito il fatto che, a coronamento del suo impegno, nel mese di Agosto abbia reso noto di volersi candidare alle primarie del partito democratico. La sua candidatura è però particolare. Non solo perché ha deciso di correre per le primarie solo se raggiungerà un preciso obiettivo di crowdfunding attraverso il sito della sua campagna (1 milione di dollari entro il 7 settembre, che negli USA è il labour day) oppure perché il suo Comitato elettorale è guidato Jimmy Wales, il fondatore di Wikipedia.

La vera novità della candidatura di Lessig è la formula del “Referendum President”

Se eletto, il professore ha già dichiarato di voler realizzare un unico punto di programma, il Citizen Equality Act, ovvero una riforma del sistema del finanziamento per i partiti e candidati che oggi vede una forte sperequazione tra i cittadini: attraverso il finanziamento, pochi – i più ricchi – sono in grado di influenzare il risultato delle elezioni.

Lessig vuole quindi riaffermare il principio fondamentale della democrazia: tutti i cittadini sono uguali.

Una volta realizzata questa riforma, Lessig si impegna fin da ora a dimettersi, lasciando la scena (e la Casa Bianca) al proprio vicepresidente che – di fatto – completerebbe il mandato, prendendo tutte le decisioni (dal lavoro alla politica estera).

Chi come me segue Lessig da più di dieci anni attraverso i suoi libri, i suoi interventi pubblici e i suoi post sta facendo il tifo a distanza, perché raggiunga l’obiettivo di finanziamento (che in verità sembra alla sua portata visto che – a cinque giorni dal Labour Day – mancano 200 mila dollari) e possa davvero correre per le primarie democratiche.

Alcuni si chiedono se quella di Lessig sia solo una provocazione, visto che il candidato ha comunque poche possibilità di vincere le primarie ed è certamente meno conosciuto al grande pubblico rispetto a colleghi come Hillary Clinton o Joe Biden.Io, invece, credo che quella di Lessig sia una importantissima lezione sulla democrazia.

Innanzitutto il professore prova a porre al centro della campagna elettorale – in modo quasi rivoluzionario – il tema della crisi della democrazia e di come affrontarla. Da oltre trent’anni, infatti, discutiamo di crisi del sistema della democrazia rappresentativa così come lo conosciamo, ci lamentiamo dei problemi che questa abbia generato (alto livello di corruzione, aumento delle diseguaglianze, scarsa efficacia delle politiche pubbliche) e riscontriamo la sfiducia che questo ha ormai generato nella gran parte dei cittadini (stupendoci sistematicamente ogni volta che guardiamo i dati sulla scarsa affluenza alle urne).

Eppure, quando arriva il momento delle campagne elettorali, discutiamo come se nulla fosse di lavoro, di economia, di immigrazione.

Lessig, invece, afferma in modo chiaro che – senza un sistema davvero democratico ed equo – non potranno esserci soluzioni efficaci per l’immigrazione, l’economia e il lavoro: ecco perché il Citizen Equality Act è la priorità, la riforma da fare prima di tutte le altre.Per mettere questo tema al centro della discussione pubblica e dell’impegno politico, il candidato Lessig utilizza le elezioni presidenziali come un referendum, chiedendo ai cittadini se vogliono finalmente riformare la democrazia di cui tanto si lamentano (un tentativo che lo stesso Lessig definisce di hacking del sistema politico).

La lezione di Lessig è poi, soprattutto, una lezione di impegno civico. Il cittadino, l’esperto che da anni si lamenta della crisi della democrazia e denuncia i suoi vizi ha l’obbligo di impegnarsi per perseguire il bene comune.Sotto questo profilo, trovo molto significativo che Lessig accetti contributi solo da cittadini americani (suoi potenziali elettori), nonostante possa contare su un ampio numero di simpatizzanti, anche al di fuori dei confini USA, che probabilmente sarebbero disponibili a dare una mano, anche economicamente. Anche questo non è casuale. A chi gli ha chiesto come sostenerlo dall’estero, Lessig ha risposto “se credi che ce ne sia bisogno fai lo stesso nel tuo Paese”.

Michael More ha detto che la democrazia non è uno sport per spettatori o per gli indignati da tastiera, Lessig – con la sua lezione – ce lo dimostra.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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Scritto da chef

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