Cos’è un FabLab nel mondo e 4 regole per definirlo al meglio

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I laboratori dedicati al making e all’hacking sono oramai davvero tanti, e con diverse tipologie: hackerspace, makerspace, FabLab, TechShop, Sewing Cafes… Le differenze sono talvolta piccole e sfumate (e ci sono innumerevoli discussioni).

Talvolta uno stesso spazio si definisce sia makerspace che FabLab, per cui delimitare con precisione i campi é compito difficile

E questa situazione è una conseguenza di come gran parte di queste iniziative si siano diffuse dal basso (a parte TechShop e alcuni FabLab, soprattutto i primi), a volte appropriandosi e modificando il formato (come avviene nella grande maggioranza dei FabLab). Dato che talvolta si fa confusione su questi termini ho pensato di scrivere questo articolo per fare il punto della situazione sul mondo FabLab.

Il FabLab di Cali, in Colombia

Spesso il termine viene usato genericamente per un qualsiasi laboratorio di making (ma allora si dovrebbe parlare di makerspace che può essere usato più genericamente), ma in realtá il formato FabLab ha poche ma importanti regole.

E’ vero che nei primi anni di storia dei FabLab i laboratori erano quasi tutti uguali, ma nel corso del tempo questa tendenza si è rilassata e ora ogni laboratorio può scegliere i propri strumenti (ma rimanendo nelle tipologie definite) e le proprie attività e modello di business. Per cui è importante fare riferimento a queste poche regole, altrimenti conviene definirsi più genericametne makerspace.

Il FabLab di Cali, in Colombia

A mio avviso ciascuno di questi formati non è necessariamente migliore degli altri: hanno caratteristiche diverse, spesso simili, e forse l’elemento più importante che li definisce é l’essere parte di una comunità di riferimento piuttosto che un’altra.

Le 4 regole che definiscono un FabLab

Nel corso degli anni, prima il Center for Bits and Atoms, poi la Fab Foundation assieme anche alla comunità dei FabLab, hanno lavorato alle caratteristiche che definiscono un FabLab.

Sono quindi 4 le condizioni da rispettare affinché il proprio laboratorio possa essere chiamato FabLab a tutti gli effetti (per continuare a sviluppare il concetto nel tempo abbiamo preparato una pagina apposita nel wiki della Fondazione Make in Italy CDB):

  1. L’accesso al laboratorio deve essere pubblico, almeno in una parte della settimana. Ci possono essere differenti modelli di business (es. accesso gratuito o a pagamento), ma l’accesso deve essere pubblico (non un laboratorio privato quindi), meglio se gratuito in alcuni momenti, per poter dare accesso a tutti.
  2. Il laboratorio deve sottoscrivere e mostrare la Fab Charter, il manifesto dei FabLab, all’interno del proprio spazio e sito web (qui la versione in italiano).
  3. Il laboratorio deve avere un insieme di strumenti e processi condivisi con tutta la rete dei FabLab.

    L’idea è che un progetto realizzato a Roma possa essere riprodotto facilmente in tutti gli altri laboratori, quali che siano i loro paesi e continenti. C’è una lista che definisce le tipologie di macchinari, strumenti e componenti, ma è possibile adottare macchinari e strumenti anche di altre marche. Altri strumenti e macchinari possono essere aggiunti, la lista definisce solo le tipologie di strumentazione minime.

  4. Il laboratorio deve essere attivo e partecipe della rete globale dei FabLab, non può isolarsi né entrare in competizione ma deve collaborare con gli altri laboratori.

Il FabLab di Cali, in Colombia

Alcuni punti di vista per capire i FabLab

Queste sono le (poche) regole che definiscono cosa sia un FabLab (o se no, più genericamente un makerspace). Ci sono poi differenti punti di vista con cui analizzare un FabLab e capire al meglio la sua natura (dato che ogni laboratorio poi ha uno sviluppo specifico). Ne scrissi nel dettaglio in questo articolo, qui riporto sinteticamente i punti:

  1. Uno spazio per bit e atomi: l’obiettivo principale di un FabLab é quello di essere uno spazio per la sperimentazione sull’incontro tra bit e atomi, tra informazione e materia, e non solo prototipi quindi.
  2. Parte di una rete: significa fare parte di una rete globale costituita da nodi locali in comunicazione fra loro.
  3. Una comunità: quella locale dei propri utenti e quella globale della rete di tutti i FabLab.
  4. Un insieme di strumenti: possiamo partire da uno spazio o da una comunità ma in fin dei conti senza un certo numero di tecnologie di fabbricazione digitale non abbiamo un FabLab.
  5. Un insieme di conoscenze: gli utenti si aspettano di avere accesso a conoscenze, esperienze e abilità specifiche all’interno di un FabLab.
  6. Un insieme di processi: i FabLab dovrebbero anche condividere la maggior parte dei processi, per poter davvero permettere una collaborazione efficace tra tutti i nodi della rete.
  7. Un servizio: anche se all’inizio può sembrare strano, i FabLab offrono dei servizi, e come servizi dovrebbero essere progettati.
  8. Non é un franchising: non bisogna pagare nulla al MIT o alla Fab Foundation, il logo può essere usato liberamente, e cosí via (non c’é neanche un manuale preciso su come svilupparlo e gestirlo).
  9. Un business: che il FabLab nasca in una organizzazione (pubblica o privata) che lo finanzia, che inizi indipendentemente, é sempre una forma di business, nel senso che ci sono affitti, spese, fornitori, stipendi da pagare, partnership da sviluppare, e il tutto deve essere bilanciato.
  10. Un concetto ancora in fase di sviluppo: il progetto si è evoluto per caso, e ancora molti aspetti devono essere sviluppati e approfonditi.

MASSIMO MENICHINELLI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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