Come, quando e perché una startup deve fare marketing

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Si sente spesso dire che non ci sono regole specifiche per ottenere un alto coefficiente virale, e che la cosa più importante è avere un prodotto solido e desiderabile che entra nel mercato al momento giusto.

Cosa vuol dire però questo, a livello pratico? Siccome io stessa mi sono scervellata giorni e notti per capire come aumentare la viralità del mio prodotto, ho pensato di analizzare qualche caso concreto, e di chiedere a startupper che stimo di parlarmi della loro esperienza personale.

Le domande che mi sono venute in mente sono piuttosto semplici: perché, quando e come ottenere la viralità?

Viralità: perché?

“Prendere utenti gratis senza spendere in marketing è una necessità per una startup che può contare solo su risorse limitate” dice Daniele Novaga, CEO di Stereomood, la radio emozionale che in due anni è passata da 100 a 100.000 visite al giorno solo grazie al passaparola.

Il motivo di base sembra perciò essere proprio la sopravvivenza di una startup, soprattutto nella fase inziale.

Il problema però è che in molti casi gli utenti acquisiti tramite strategie virali sono di “qualità” inferiore rispetto a quelli che si avvicinano al prodotto per un interesse specifico.

Andrea Stroppa, blogger e co-fondatore di Uribu, sostiene che i signup ottenuti attraverso Facebook sono per il “70% mai direttamente interessati a quello che stanno per fare”, motivo per cui con la stessa rapidità con cui si avvicinano al servizio se ne allontanano anche.

Francesco Baschieri, CEO di Spreaker, servizio per creare stazioni radio e condividere contenuti audio, sostiene che “la motivazione con cui questi utenti si approcciano a un prodotto/servizio è sicuramente minore rispetto a chi ci è arrivato tramite altri canali (ad esempio chi ha letto una recensione del prodotto).

La difficoltà è perciò mantenere attivi tali utenti una volta che li si è acquisiti.”

La domanda perciò sorge spontanea: vale la pena di attivare e spingere meccanismi di viralità allo scopo di fare numeri, senza una strategia lungimirante di mantenimento?

A volte può essere perfino controproducente avere un boom di utenze se il prodotto non è all’altezza del livello di successo raggiunto.

Si veda il caso di Turntable.FM di un paio di anni fa: 360.000 utenti nei primi tre mesi, era sulla bocca di tutti. Eppure come una meteora in poco tempo è sparito dai radar dei prodotti “hot”, anche perché ha dovuto interrompere il servizio in diversi Paesi per problemi di royalties musicali.

La verità però è che i numeri continuano a fare colpo, sia sugli investitori che sulle grandi società.

Se si punta a un finanziamento o ad un’acquisizione, perciò, sicuramente la viralità può aiutare. Si pensi a casi come Hipster o Wander. Hipster ha avuto una vita certo breve ma intensa: una landing page con un nome invitante, 10.000 signup in due giorni, un round di finanziamento, un’acquisizione da parte di AOL e nel giro di meno di due anni il servizio era già chiuso.

Per Wander la partita è ancora aperta: una landing page con un contest e una leaderboard gli hanno portato non solo circa 50.000 pre-registrazioni ma anche un round di finanziamenti milionario ancora prima del lancio.

Viralità, quando?

L’obiettivo di ottenere finanziamenti in poco tempo o di essere comprati è sicuramente un motivo più che valido per puntare a un boom virale, anche se ciò non determina il successo del servizio stesso. In ogni caso, nel ciclo di vita di una startup, sembra essere estremamente importante capire la tempistica con cui sfruttare la componente virale. Si veda il caso di OMGPOP, che con il gioco DrawSomething ha ottenuto 35 milioni di download in un paio di mesi e ha venduto a 210 milioni di dollari a Zynga pochissimo prima di avere un crollo drastico di utenza. Certamente si parla in parte di vodoo, ma rientra nei punti di forza di una startup il trovare il momento giusto per trarre vantaggio da una crescita così rapida.

La questione della tempistica si applica anche all’utilizzo dei canali che permettono di aumentare la viralità stessa. Francesco di Spreaker mi racconta come nella prima metà del 2012 abbiano raggiunto un picco di utenze approfittando di una straordinaria apertura, temporanea purtroppo, dell’Open Graph di Facebook. “Tante volte serve un po’ di fortuna e di velocità” dice Francesco ”nello sfruttare un nuovo canale di acquisizione prima che si saturi o venga chiuso”.

È sicuramente stato il caso di Socialcam, che ha utilizzato appieno l’Open Graph anche se in modo piuttosto discutibile, postando video virali di YouTube sulle bacheche di Facebook dei propri utenti, facendoli passare per video prodotti sulla loro piattaforma. Questa strategia li ha portati a raggiungere 55 milioni di utenti in pochissimi mesi e a essere aquisiti da Autodesk per 60 milioni di dollari a un anno e mezzo di vita della startup.

Il potenziale di Facebook di amplificare il potenziale virale di un prodotto digitale è senz’altro innegabile, anche se resta comunque difficile farsi notare tra le migliaia di applicazioni che ogni giorno ormai entrano nel mercato. Daniele di Stereomood sostiene che “oggi l’affollamento dei contenuti offerti dai social network e l’accavallarsi di social verticali rendono più difficile conquistare visibilità per la propria realtà rispetto a soli due anni fa”. Una battaglia dura insomma quella per la viralità. Anche perché, come dicevo prima, una ricetta sicura per ottenere utenti gratis o a basso costo ancora non l’ha inventata nessuno.

Viralità, come?È spesso necessario usare un approccio “trial and error” per capire quale strategia virale può davvero funzionare, e misurare i risultati di volta in volta e a brevi intervalli. Aiutano poi senz’altro l’esperienza (quasi tutti i servizi menzionati prima hanno team di startupper seriali), la tempistica giusta e la fortuna. E ci sono sicuramente delle formule che vale la pena sperimentare.

Un aspetto importante è incentivare i propri utenti a far registrare altre persone. Spreaker ad esempio ha regalato abbonamenti premium a chi invitava un certo numero di persone a iscriversi al sito. Stereomood, invece, ha lanciato una competition in cui premiava gli utenti che invitavano più amici a registrarsi, ottenendo 5.000 nuovi utenti in 12 giorni.

Questio tipo di incentivi vengono pianficati dal team come strategie di marketing a basso costo, mentre altri sono inseriti direttamente come componenti tecniche del servizio, in modo tale da creare dei “loop virali” automatici. Rendere il più semplice e gratificante possibile la condivisione di contenuti sui social network attraverso bottoni di sharing ad esempio può aiutare la viralità, anche se non è sempre scontato. Daniele, per esempio, racconta come “la nuova versione di Stereomood è molto più ‘virale’ di quella precedente: la condivisione è stata automatizzata e lo share è stato esteso da una singola canzone a intere playlist. Ma queste nuove implementazioni non hanno dato un boost particolarmente impressionante alla viralità del servizio, pur mantenendone la continuità”.

A volte ci si chiede se davvero sia necessario utilizzare strategie eticamente poco condivisibili, come quella di Socialcam prima menzionata, per ottenere al giorno d’oggi un certo livello di viralità. D’altra parte casi come Instagram, e più in piccolo gli stessi Spreaker e Stereomood, ci confermano che è possibile raggiungere risultati ottimi usando tecniche diverse ma molto meno estreme, in grado di garantire anche una certa durata nel tempo della componente virale.

La cosa importante da ricordare è che il marketing bisogna anche pagarlo, e che gli utenti, una volta attirati, bisogna poi mantenerli attivi.

Quello delle startup che non devono fare marketing è un falso mito” –sostiene Francesco- “in un modo o nell’altro di soldi se ne spendono sempre tanti. Certo, ci sono aziende che non hanno mai fatto Ads, però hanno magari una decina di ‘tech evangelist’ che girano il mondo andando alle hackaton e cercando di fare integrare le proprie API nei servizi di altri. Non è marketing questo?”

ARIANNA BASSOLI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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