Agenda digitale: finora solo parole mentre l’Ue boccia il Governo

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Caro Matteo Renzi, ma quando comincerai a occuparti davvero dello sviluppo dell’Italia grazie al digitale, tema di cui finora hai solo parlato (e tanto)? Possiamo riassumere così il senso degli interrogativi che in questi giorni stanno attraversando al testa di molti addetti ai lavori; esperti e politici che si sono occupati a vario titolo dell’Agenda digitale. Già, perché Renzi non ha ancora affrontato questo dossier. Il quale però diventa sempre più scottante: da più parti arrivano segnali che direttamente o indirettamente puntano il dito sul nuovo premier, perché questi dia una svolta all’impasse dell’Agenda digitale italiana. Per riassumere le notizie delle ultime settimane: la Commissione europea ha bocciato- con una lettera formale che possiamo pubblicare in anteprima la bozza di piano (scritta dal precedente Governo) con cui l’Italia voleva stanziare per l’Agenda i miliardi dei nuovi fondi europei (2014-2020).

Pochi giorni prima c’era stato un mea culpa del ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi: «il Governo è consapevole dei ritardi» sull’Agenda digitale e «l’impegno sarà massimo per sbloccare il processo di digitalizzazione a vantaggio dei cittadini e delle imprese», ha detto nel question time alla Camera. «Senza un intervento pubblico a sostegno – prosegue Guidi – avremo due Italie a velocità distinte e una sarebbe esclusa dalla competizione globale. Dunque l’impegno del mio ministero è di portare a termine i piani infrastrutturali già avviati e questo è un impegno prioritario».

Non c’è certo però solo la questione della banda larga. L’intera Agenda digitale italiana è in grave ritardo sulla tabella di marcia, secondo quanto rilevato a marzo da uno studio della Camera. È un monitoraggio periodico, secondo cui delle 55 misure previste da vari decreti cardine dell’Agenda (Crescita, Crescita 2.0, “del Fare”) solo 17 (meno di un terzo) risultano attuate.

Ci sono insomma 38 misure non emanate, anche se previste dai decreti, e di queste il 55 per cento aveva una scadenza i 45 e i 60 giorni. È in generale un ritardo sulla trasformazione digitale dello Stato, delle infrastrutture e della società, rispetto agli altri Paesi europei, come rilevano le classifiche della Commissione UE.

C’è un punto di fondo, comune a tutte queste critiche, provenienti dalla Commissione e dalla Camera: finora è mancato un vero impegno del Governo per l’Agenda digitale. Un impegno cioè di sufficienti risorse e con una governance forte, centrale e organica. In altre parole, ci sono stati parecchi indizi secondo cui l’Agenda digitale finora non è stata considerata prioritaria (nei fatti, non a parole) da nessun Governo della Storia italiana.

Renzi potrebbe fare la differenza, ma è ancora da dimostrare, appunto. Anche il precedente Governo Letta- che pure era stato il primo a porre direttamente sotto la Presidenza del Consiglio l’Agenda digitale, dandole quindi un’attenzione speciale- per alcuni aspetti ha mancato di focus. Secondo alcuni, lo dimostrerebbe anche il semplice fatto di aver affidato i lavori dell’Agenda a esperti e tecnici impegnati solo part time, pro tempore e pro bono: il commissario Francesco Caio e la sua squadra (“Unità di Missione”). Tanto che da qualche giorno il mandato di Caio è scaduto e uno dei problemi di Renzi sarà come dare continuità alla governance. Sul lavoro svolto da Caio e i suoi non c’è però un giudizio unanime, visto che almeno hanno sbloccato i lavori su tre pilastri portanti dell’Agenda, necessari per fare avanzare tutti gli altri temi. I ritardi segnalati dalla Camera non sono una prova del mal lavoro dell’ultimo governo, perché potrebbero essere spiegati semplicemente con il ritardo strutturale dell’Italia su questi temi. L’Unità di Missione avrebbe insomma trovato nella pubblica amministrazione italiana una situazione più grave di quanto previsto e quindi i tempi indicati dalle norme precedenti, per attuare le misure dell’Agenda digitale, si sarebbero rivelati irrealizzabili.

Tuttavia, almeno un indizio forte di disattenzione del precedente Governo c’è ed è appunto quest’ultima lettera della Commissione. Dice due cose:

  1. che i fondi europei previsti per la banda larga, nella bozza (1,260 miliardi di euro, di cui metà nazionali e metà comunitari), sono troppo pochi per colmare le lacune italiane sullo sviluppo delle reti di nuova generazione.
  2. Non solo: dice che l’Italia sbaglia a non affidare questi fondi (e in generale quelli dell’Agenda digitale, in tutto 3,6 miliardi di euro previsti nella bozza) a un piano strategico nazionale. Secondo la bozza infatti dovrebbero essere le Regioni, con i propri piani, a gestire questi fondi europei. Così è stato fatto finora, negli ultimi anni, con tutti i ritardi burocratici che ne sono derivati.

Lo stesso Caio, nel proprio rapporto sulla banda larga consegnato a Letta a febbraio, premeva per un piano nazionale di utilizzo dei fondi, per ottimizzarne la gestione ed evitare sprechi o lungaggini. L’Italia deve correre, per recuperare il ritardo. Non può più permettersi ritardi (come ha detto Guidi), come quelli che hanno afflitto il piano nazionale per dare la banda larga a tutti gli italiani tramite i fondi europei 2007-2013. Obiettivo che doveva essere raggiunto nel 2013 (secondo il decreto Crescita 2.0), poi slittato al 2014 e ora al 2015, per la comunicazione non sempre facile tra Stato e Regioni sulla gestione dei fondi.

A quanto risulta, il precedente Governo non ha deciso scientemente di continuare ad affidare la partita alle Regioni; piuttosto se n’è disinteressato, non portando il tema all’ordine del giorno della Conferenza Stato-Regioni. Si è così andati avanti di inerzia, con i precedenti accordi. Ecco, appunto: disattenzione, mancanza di focus e non-priorità del digitale nell’agenda di Governo.

Tutte le frecce di questo puzzle puntano su Renzi. Lui sì potrebbe, in accordo con le Regioni, imporre una svolta e fare un piano nazionale su cui concentrare i fondi europei (e anche quelli nazionali che arriveranno). Servirebbero almeno 10-15 miliardi di euro per tutta l’Agenda, l’Agenzia per l’Italia Digitale. Almeno 2,5 miliardi per la banda ultra larga, secondo il ministero dello Sviluppo economico.

Sì, è vero. Ci sono anche diversi indizi positivi. Lo stesso mea culpa di Guidi è indicativo e inedito. Notevole anche che il commissario alla Spending Review Carlo Cottarelli abbia appena stimato in 2,8 miliardi di euro i risparmi ottenibili solo con le misure già in pole position di attuazione, nell’Agenda (fatturazione elettronica, razionalizzazione dei datacenter della Pa, pagamenti elettronici). Siamo però ancora nel regno delle parole.

Un fatto avrebbe potuto indicare l’impegno del Governo Renzi per il digitale: la nomina di un ministro o un sottosegretario ad hoc. Ma così non è avvenuto, nonostante le richieste di tutti gli addetti. C’è ancora tempo perché Renzi dimostri di credere all’importanza del digitale per lo sviluppo italiano. Ma questo tempo sta ormai per finire. E l’appuntamento determinante, che ne rivelerà le carte, sarà nei prossimi giorni quando sapremo che cosa deciderà Renzi per la futura governance dell’Agenda, dopo Caio; e se vorrà concentrare le nuove risorse in un piano strategico nazionale, coerente e organico.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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Scritto da chef

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