Telecom Italia, scorporo ergo sum

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Ignorata, nelle sue richieste, da Agcom. Messa sotto indagine, ripetutamente, dall’Antitrust. Falliti gli accordi con H3G per la partecipazione alla nuova società della rete. Azionisti furenti. No, non deve essere un buon momento per chiamarsi Telecom Italia. Né lo è per il suo presidente, Franco Bernabè, che negli anni precedenti era invece sempre stato in grado di gestire al meglio i rapporti istituzionali. Eppure il gigante non china il capo. Ha ancora una carta da giocare e c’è da scommettere che la giocherà, nonostante tutto e tutti: lo scorporo della rete. Non a caso proprio da questo fronte vengono le ultime – e sole – buone notizie recenti, con il primo e super preliminare “via libera” Agcom.

Bernabè ci crede fortemente, come mossa estrema – forse l’ultima rimasta – non solo per risollevare le sorti di Telecom, ma anche per svegliare un mercato in caduta libera, dove anche la telefonia mobile è in declino (perde ricavi più di quella fissa, ormai).

È una questione molto complessa, ma vediamo di semplificare per capirci qualcosa. Nelle ultime due settimane è caduto una specie di tabù. L’inviolabilità del prezzo dell’unbundling, cioè il costo dell’affitto delle linee Telecom da parte dei concorrenti, che così possono offrirci telefono e Adsl. Erano cinque anni – dati alla mano – che continuava a crescere, dal 2008 al 2012, in piena crisi, quando di solito i prezzi calano, soprattutto quelli di cose telefoniche. L’unbundling no, in controtendenza, è aumentato. Lo avevamo più basso della media europea (7,64 euro al mese nel 2008), poi è stato normalizzato e portato pian piano ai 9,28 euro al mese nel 2012. Ora Agcom l’ha tagliato a 8,68 euro al mese, riportandolo a livelli di poco inferiori a quelli del 2010.

È stato fatto notare che l’altro sconto deciso da Agcom negli stessi giorni, sulle tariffe Telecom all’ingrosso, pesa di più: -22 per cento sui costi di bitstream rispetto al 2012 (quanto pagano gli operatori nelle zone in cui non hanno l’unbundling).

Ma il taglio dell’unbundling ha un potere più simbolico. E non solo perché prima è sempre aumentato. Ma anche per una storia che c’è dietro questo taglio dei costi. Va detto che questa non è ancora chiara e sta indagando l’Antitrust. Una cosa, però, è certa: Agcom ha ridotto l’unbundling perché si è accorta che Telecom spendeva meno in manutenzione della linea (ben 60 centesimi in meno su 2,10 euro al mese), nel 2013 rispetto al 2012. E quindi anche i concorrenti dovevano spendere di meno affittando la linea.

Sì, ma perché questo calo? Maggiori efficienze dell’operatore, minori guasti, certo. Ma questa potrebbe essere solo una parte della verità. Se non ci fosse questo dubbio, l’Antitrust non avrebbe aperto un’indagine a luglio su Telecom Italia intorno ai costi di manutenzione.

Per l’esattezza si tratta dell’estensione di un’indagine in corso da marzo sui manutentori usati da Telecom e sospettati di fare un cartello per tenere prezzi più alti del mercato. Adesso invece Telecom è sospettata di coordinare quest’azione dei manutentori. Cioè avrebbe fatto sì che i manutentori dichiarassero ad Agcom costi più alti di quelli effettivi (pagati dalla stessa Telecom), in modo da gonfiare di riflesso i prezzi di unbundling. La storia in realtà parte ancora da più lontano, a conferma che da tempo c’era il sospetto di qualcosa di anomalo dei costi di manutenzione. Nel 2012 il governo aveva tentato di disaggregare i costi della manutenzione dell’unbundling, permettendo insomma agli operatori di scegliersi propri manutentori, diversi da quelli di Telecom.

A marzo il Consiglio di Stato aveva annullato delibere riguardanti prezzi di unbundling degli anni precedenti, su ricorsi Wind e Fastweb, appunto perché non riteneva che Agcom avesse ben valutato gli effettivi costi pagati da Telecom ai manutentori. Sentenza passata del tutto inosservata sui giornali. Per completezza, ricordiamo che solo a maggio l’Antitrust ha deciso di multare per 110 milioni di euro Telecom, per comportamenti anticoncorrenziali. Questi sarebbero risalenti agli anni precedenti al 2010, ma è adesso che Telecom sarà costretta a reagire. Da una parte, formalmente, èer respingere le accuse (ci sta provando con ricorso al Tar del Lazio); dall’altra, informalmente, per soffocare il sospetto di essere tuttora d’ostacolo alla concorrenza.

Ultimo tassello del quadro: i vertici di Agcom sono cambiati a luglio 2012 e ora, per la prima volta, si sono pronunciati sui prezzi di unbundling; in precedenza hanno ridotto di tanto altri costi all’ingrosso che i concorrenti dovevano pagare. Addirittura hanno dimezzato il prezzo della banda.

Delle due l’una, logicamente: o i costi reali a monte si sono ridotti tutti di colpo nel 2013 (ed è una coincidenza il cambio di vertici Agcom…) oppure prima erano più alti di quello che avrebbero dovuto essere e la nuova Agcom se n’è accorta. Ricordiamo che secondo la normativa ci dovrebbe essere un collegamento più o meno diretto tra quanto spende Telecom per la rete e quanto devono pagarle i concorrenti. Il tipo di modello di calcolo scelto, però, incide sul risultato finale (anche al netto di eventuali prezzi gonfiati all’origine).

Oltre i costi nudi sostenuti da Telecom, l’Agcom deve riconoscerle un rendimento per il lavoro che svolge in quanto gestore della rete: è un valore percentuale che si esprime con il Wacc (costo medio ponderato del capitale). Telecom sperava che Agcom lo aumentasse, nel 2013, per minimizzare il calo dei costi di unbundling e bitstream. Ma così non è stato: l’Autorità ha stabilito che prima di rivedere il Wacc dovesse fare altre analisi di mercato. Non tutti gli esperti sono d’accordo che Agcom fosse obbligata ad agire in tal senso.

Sembra insomma che il vento propizio sia girato per Telecom, presso le Authority, sotto tanti punti di vista. Ma, come si è detto, non è finita qui. Telecom – dopo qualche incertezza dopo le brutte notizie sull’unbundling – ha ripreso a remare fortemente nella direzione dello scorporo e a confidare nell’ingresso di Cassa Depositi e Prestiti (cioè lo Stato) nella nuova società della rete che ne verrebbe. Cassa sembra insomma, adesso come non mai, l’ago della bilancia per il futuro di Telecom e del mercato tlc. Ne verrebbe da desumere che nelle mani della politica e del governo c’è una partita importante.

Cassa però deve rispondere ai risparmiatori (usa i fondi del risparmio postale) per i propri investimenti. Il quadro politico è ora particolarmente incerto, difficilmente potrà pesare molto sulle decisioni di questa portata. Però le ultime notizie sono incoraggianti. Telecom ha passato il primo test di Agcom, secondo cui la proposta di scorporo “risponde ai requisiti previsti”, in altre parole si può andare avanti su questa strada, ma Telecom deve fornire all’Autorità ulteriori dettagli. Nel contempo anche da Cassa arrivano segniali di avvicinamento, dopo mesi di stasi.

È una fase di grandi incertezze. Ma Telecom può affrontare le vacanze di agosto sotto ultimi buoni auspici riguardo la sua carta più importante da giocare nei prossimi mesi. Che saranno – c’è da scommetterci – pieni di sorprese per la rete telefonica italiana.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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