SOS come Scuola Open Source, quella delle utopie realizzabili

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Alla fine i pirati mi hanno colorato di viola. La mia foto, quella che sbuca dalla galleria dei docenti e tutor di SOS, la Scuola Open Source, è diventata viola. Bellissima.

C’è un posto dove si sogna e attraverso il terzo occhio la visione è sorprendentemente reale e luminosa

Stamattina la mia amica Lori mi faceva notare che il viola, nella tradizione orientale, è il colore del sesto chakra. Ajna infatti rappresenta l’evoluzione della spiritualità, la forza della sapienza che possiamo ricavare dentro di noi, il terzo occhio che si apre alla visione, all’intuizione, che aiuta a vedere oltre la realtà per imparare a trasformarla. Ognuno di noi ha una visione, un proprio modo di vedere e intendere la realtà, ma è solo usando quello spazio tra le nostre sopracciglia, con il superamento della visione personale, che ci si apre alla dimensione sociale.

E’ la capacità di ascolto e di empatia che ci porta a trascendere i nostri limiti e ad avvicinarci a comprendere gli altri. C’è un posto dove si sogna e attraverso il terzo occhio la visione è sorprendentemente reale e luminosa. Un posto dove sogno, visione e capacità di sorprendersi provano a rendere reale un’utopia.

Una Scuola Open Source

E siccome le utopie si nutrono dei sogni e delle idee delle persone, ma anche dello scambio, del confronto e dell’incontro tra loro, in questo posto sta nascendo una scuola per riuscire a realizzarla. Una vera e propria Scuola Open Source, SOS appunto (e non a caso).

L’utopia è la ricerca della costruzione di senso, il lavoro sulla connessione delle intelligenze, delle attività, dei processi; unisce e raccorda le energie positive, risollevandole dal torpore in cui si erano spente, suggerendo una via accessibile per costruire un’etica praticabile dalle persone.

E’ un po’ quello che succede quotidianamente con Internet, che ci ha permesso di entrare in relazione dinamica con individui anche lontani fisicamente, che ha aumentato le nostre possibilità di accesso al sapere, che ha smontato i dogmi accademici di un’educazione dall’alto e sotto un controllo strettamente trasmissivo. E’ una rete in continuo divenire, che ci fornisce informazioni ma anche la capacità di collaborare ed entrare in relazione con gli altri. Ormai rappresenta un modello educativo, che di fatto corre parallelo alla scuola tradizionale evidenziandone i limiti e suggerendo l’opportunità di una scelta pedagogica forte, innovativa, necessaria.

Il gruppo dei visionari di SOS ha seguito una logica di rete e sono riusciti a fare incursione nei campi più disparati del sapere

A Bari, nel cuore della Città Vecchia, tra gli incontri al Politecnico e le riunioni dello staff al porto sotto la bandiera corsara, il gruppo dei visionari di SOS ha seguito una logica di rete e sono riusciti a fare incursione nei campi più disparati del sapere, dal design alla grafica, dalla filosofia all’arte, dalla programmazione alla didattica.

Scuola Open Source nasce prima di tutto come disegno educativo del gruppo barese di designer e grafici FF3300 formatosi dentro e intorno al Politecnico, al quale si sono via via aggiunti i ragazzi di XYLAB, Barimakers, 3dNest e molti altri. Lo scopo è quello di costruire una scuola sempre aperta e innovativa. Si ispira ad esempi illustri, come la Bauhaus o il movimento americano dei Roycrafters, proponendosi come “centro di ricerca, didattica e consulenza artistica e tecnologica per l’industria, il commercio e l’artigianato (digitale e non)”.

TRE LABORATORI

Il grande lavoro si è concentrato moltissimo anche sulla costruzione della comunità SOS, prima per supportare la candidatura della Scuola al bando CheFare, dal quale è uscita vincendo, poi per riempire di senso e contenuto i laboratori e le attività, infine per coinvolgere il gruppo dei docenti e tutor che dalla seconda metà di luglio 2016 si divideranno nei tre laboratori X – Identity, Y – Tools e Z – Processes.

I partecipanti hanno chiesto di essere ammessi inviando un curriculum, un racconto personale che spiegasse in che modo avrebbero potuto portare contributo o valore al progetto. Ne sono stati scelti 60 su 199, saranno sessanta menti dall’Italia – e non solo – pronte a collaborare, a conoscersi, a conoscere.

Del team di SOS ho notato subito la grandissima cura nel seguire tutti i dettagli, scelta che prima di essere forma dimostrava di essere soprattutto sostanza, ma che dalla forma nasceva e voleva svilupparsi: gli strumenti, i processi, i nomi dei laboratori. I pirati avevano scelto di costruire in modo artigianale un modello educativo, di trasformare la loro visione in qualcosa di tangibile e accessibile, di coinvolgere le intelligenze creando una rete che le interconnettesse, anche dove poteva sembrare un azzardo.

Una community pazzesca che comprende designer, performer, artisti digitali, hacker, grafici, umanisti, programmatori, maker, insegnanti, innovatori

Questo è quello che ha convinto me, ma soprattutto questo è quello che porterà a Bari una community pazzesca che comprende designer, performer, artisti digitali, hacker, grafici, umanisti, programmatori, maker, insegnanti, innovatori sociali. Dai grandi teorici e studiosi italiani famosi in tutto il mondo fino al contributo più piccolo e apparentemente insolito, tutte le donne e gli uomini che prenderanno parte alla Scuola metteranno in rete le loro idee, gli strumenti, gli approcci per una nuova didattica.

La determinazione con cui i pirati hanno radunato più di trenta tra docenti e tutor, secondo me non è casuale. Credo che tutte queste menti si siano lasciate convincere docilmente, che davvero cercassero un luogo, soprattutto fisico, nel quale provare a confrontarsi. In Italia purtroppo non abbiamo l’abitudine di valorizzare le nostre eccellenze, a volte nemmeno le vediamo, cercandole all’estero come se il solo fatto di stare lì le rendesse necessariamente migliori. Non diamo spazio alla cultura che crea e genera senso, alla riflessione che nasce dal nostro passato splendido e che costruisce il futuro. Qui invece si intravede la forza dirompente della creatività che abita il nostro presente e che libera la scuola e l’educazione dal letargo. Serviva un posto per mettere in pratica tutto questo.

Quando circa un anno fa Alessandro Tartaglia, che si definisce hacker e che oltre ad essere un designer è anche direttore della Scuola, ha iniziato a parlarmi di SOS e a chiedermi un contributo alla costruzione di una visione comune per la Scuola, gli presentavo CoderDojo come ambiente informale di apprendimento creativo mentre lui lo vedeva anche come esempio di innovazione sociale dal basso, autentica e dirompente. Il mio contributo, che a me sembrava e sembra ancora poco, oggi se ne sta sul sito di SOS insieme a quelli di Carlo Ratti, Salvatore Iaconesi, Salvatore Zingale ed Eugenio Battaglia. Così, in logica pienamente orizzontale.

Ci interessa il rapporto dei bambini con la programmazione. Vogliamo anche lavorare con loro, perché sono loro che cambieranno il mondo

A distanza di tempo, e dopo tante altre esperienze, quando mi ha proposto di raggiungere il gruppo dei tutor a Bari per 12 giorni di full immersion, mi sono chiesta cosa avessi a che fare io con tutto questo, e perché un pirata e la sua ciurma avessero individuato proprio me per collaborare con un gruppo così prestigioso e per un’idea così innovativa. Allora gliel’ho chiesto, e lui mi ha risposto “Cercavamo qualcuno che avesse dimestichezza con l’apprendimento e l’innovazione tecnologica, ma che fosse comunque ancorato saldamente ai rapporti umani e alla dimensione fisica dell’innovazione, quella fatta di puzza di sudore e sguardi profondi” e poi “Ci interessa il rapporto dei bambini con la programmazione. Vogliamo anche lavorare con loro, perché sono loro che cambieranno il mondo”. Convinta, si parte.

Tempo fa, in un mio post, mi auguravo che la scuola venisse rasa al suolo. La scuola istituzione prima di tutto, la sua burocratizzazione, i suoi ingolfamenti, il suo gattopardismo. Mi auguravo che venisse rifondata su basi nuove, vitali, indispensabili adesso. Un po’ anarchica come visione, anzi direi libertaria per chi ne conosce i princìpi pedagogici, ma serviva a provocare – prima di tutto in me stessa – una riflessione sul senso profondo dell’educazione. Un cambiamento necessario e non più differibile di un sistema che ormai fatico a riconoscere.

Forse i pirati hanno colto in me proprio questo, colorandomi inconsciamente di viola: il desiderio e l’aspirazione verso qualcosa che sto ancora cercando, dopo tanti anni di attività in trincea. Per questo la scuola me la vado a cercare mentre di fatto sarei già in vacanza, quando la scuola ufficiale è già chiusa per gli studenti, gli insegnanti e i presidi. Il modello obsoleto di educazione che ancora stenta ad annientarsi mi ricorda che prima di essere insegnante sono soprattutto mentor, per ruolo e per scelta, che sono dalla parte di chi aiuta, supporta, ascolta, insegna a tirar fuori da sé. Immagino che lo sarò tutta la vita, perché non riesco a vedere un altro modo di fare scuola ma soprattutto di imparare. Per questo alla Scuola Open Source andrò per imparare.

AGNESE ADDONE

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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