Sharing economy: mappa delle mille realtà che costruiscono ogni giorno l’economia della felicità

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La sharing economy sta vivendo i suoi 15 minuti di fama, come direbbe Andy Warhol. Ma, prima ancora di un fenomeno di folclore, si tratta di un cambiamento epocale su cui vale la pena riflettere e che sta portando enormi benefici.

La prima considerazione è legata alla narrazione. Sì, perché in questa fase di iper-produzione dell’informazione, spesso le trasformazioni socio-culturali esistono più come slogan rimpallati incessantemente dai media che come esperienze effettive.Lo dico perché sono convinto che dietro alla rappresentazione mediatica del paese esistano mille altre piccole realtà che costruiscono valore ogni giorno in perfetto equilibrio tra le regole e gli spazi che ci sono stati finora e le nuove opportunità dell’innovazione.

L’economia collaborativa è, prima di tutto, questo: un comportamento collettivo che riporta il valore della collaborazione nella pratica della cooperazione.

Soprattutto, è un modo per integrare e ridistribuire socialità al di fuori della categorizzazione della natura specifica di un’organizzazione.

Il valore sociale della collaborazione

Si parla di aziende profit che sviluppano valore sociale, in tal senso è uscito da poco per Egea un libro sulle imprese ibride (a cura di Paolo Venturi e Flaviano Zandonai); si ipotizzano applicazioni degli schemi collaborativi in ogni aspetto della vita delle persone fino a un ruolo più attivo, partecipato e consapevole dei cittadini alla governance pubblica. Eccoci, dunque, a parlare del cambiamento che investe le professioni, le relazioni, l’identità civile e le azioni civiche, il turismo, la cultura e l’intrattenimento.

Un nuovo approccio alla complessità di questa fase storica che ogni giorno che passa ci salva dal rischio di rimanere isolati, immobili e inermi.

C’è, poi, un’altra considerazione da fare sulla narrazione: l’approccio econometrico dei fenomeni legati al cambiamento ha una doppia valenza.

La prima è scongiurare la psicosi della precarietà; in questo senso ragionare per numeri e percentuali tende ad avere la stessa forza che ha contare le righe per chi soffre di fobie ossessivo compulsive.

Siamo malati di insicurezza e non crediamo nel mondo che cambia se non siamo da subito messi in grado di misurarne e controllarne gli effetti. È accaduto e accade anche per la sharing economy.

Siamo da tempo a caccia di dati che servano a convincerci che qualcosa stia accadendo. La bella ricerca di TNS Italia dimostra che il campione percentuale di chi si sta avvicinando alla sharing economy è in crescita.Ma i dati chiamano altri dati e, se in parte è giusto trovare un fondamento di calcolo a dimostrazione delle benefiche ricadute microeconomiche degli approcci collaborativi, dall’altro si rischia di mettere ai margini quelle esperienze (magistralmente registrate dal lavoro di Daniel Tarozzi e del suo L’Italia che cambia) fatte di centinaia di attività di volontariato, di associazioni e imprese che lavorano nelle realtà locali generando valore sociale e favorendo fenomeni di riqualificazione del territorio.

La mappa della felicità

Basta consultare la mappa messa a disposizione dal sito ufficiale del progetto di Daniel per rendersi conto della ricchezza di queste risorse.

Ci sono progetti come Casa Netural di Matera, o come Farm Cultural Park di Favara o, ancora, come Ex Fadda vicino Brindisi, che costruiscono ogni giorno comunità ispirate alla collaborazione, alla convivenza e alla cooperazione, nate per realizzare e promuovere innovazione in territori spesso considerati difficili e isolati.

Ci sono persone che stanno riconfigurando le necessità primarie come alimentarsi, spostarsi, avere un alloggio o un’attività di lavoro in termini di sostenibilità e di attenzione al beneficio della collettività.

Last minute sotto casa, di Francesco Ardito, sta reinventando la ridistribuzione delle eccedenze alimentari per evitare lo spreco; L’Alveare che dice sì, coordinato in Italia da Eugenio Sapora, sta creando una rete di distribuzione user generated di alimenti sani tramite un rapporto diretto con i produttori locali; c’è il Co-housing di San Giorgio che da tempo sta promuovendo i vantaggi del co-living. Ci sono spazi, luoghi e non luoghi nei quali nascono e crescono movimenti di idee sul futuro. C’è tutto questo e molto molto altro.

L’urgenza è costruire un racconto che contenga una visione e che sia in grado di fornire una prospettiva.

Il festival di ferrara

Dal 20 al 22 maggio si svolgerà la prima edizione del Ferrara Sharing Festival, organizzato da Sedicieventi in collaborazione con il Comune di Ferrara, l’Università di Ferrara e la Regione Emilia Romagna. Per tre giorni la città emiliana sarà la speciale quinta teatrale di un ricco programma di seminari, workshop, incontri, spettacoli ed eventi.

Piuttosto che parlare dei vari appuntamenti, che comprende molti dei nomi citati nella prima parte dell’articolo (vale la pena sfogliare con attenzione il programma), credo sia utile sottolineare alcuni aspetti che ci hanno spinto a organizzare questo ambizioso e necessario evento. L’idea, che abbiamo discusso attentamente con tutti gli attori del territorio, anche partendo dalla conoscenza del settore, è stata come poter raccontare il mondo che sta arrivando. Ne sono nati spunti davvero interessanti.

Con il Dipartimento di Economia dell’Università di Ferrara, ad esempio, abbiamo progettato alcuni workshop: dai modelli tecnici di progettazione della sostenibilità, con cenni sul business inclusivo e design thinking, all’evoluzione del concetto di Smart Cities come città sociale e accessibile, dai nuovi modelli creditizi come Liberex ai finanziamenti solidali del crowdfunding, dall’economia della felicità, in cui si parlerà di modelli di vita slow, agli approcci dell’economia civile.

Il filo conduttore resta lo stesso. Offrire nuove prospettive per vivere meglio e in modo più consapevole le trasformazioni in atto nonostante le nostre resistenze.

Accettare e partecipare a una società che si sta rinnovando e che potrebbe restituire alle persone la fiducia nel futuro.

Gianfranco Franz, Professore di Politiche Urbane, coordinerà il 20 maggio una sessione sul tema della Città Intelligente con interventi – tra gli altri – di Francesco Musco (IUAV), Daniela Galvani (Founder di Whataspace) e Gregory Delaune (Urbanista di Berkley e Founder di FreeSpace); Massimiliano Mazzanti, Professore Associato di Economia e Management, racconterà il 21 maggio in cosa consiste l’approccio del design nella progettazione sostenibile con Rodolfo Lewanski (Presidente dell’Associazione Italiana della Partecipazione Pubblica) e Lucia Dal Negro (Founder di D-Lab ed esperta di Business inclusivo), Sebastiano Miele (Etnografo) e Carlo Frinolli (Founder di Nois3). Fulvio Fortezza, Professore di Marketing Unife sarà il 22 maggio il moderatore di una sessione sul tema della felicità, tra economia, comportamento e cultura, con testimonianze illuminanti di Bruno Contigiani (Founder di Vivere con lentezza), Andrea Bettini (Storyteller), Luciano Manzo (Ad di Smartika).

Sharing economy: una costruzione complessa

In questa complessa costruzione del mondo che collabora non potevano mancare le giuste riflessioni su alcuni temi spesso trascurati. La sostenibilità della cultura, ad esempio – nonostante la leggenda metropolitana che destina gli operatori culturali a una vita di sacrifici e frustrazioni – trova negli schemi partecipativi della sharing economy alcuni esempi felici nel progetto TeatroCasa di Raimondo Brandi e Serenella Tarsitano, che organizza spettacoli nelle abitazioni private, in Citofonare Interno 7 di Rossano Astremo che promuove reading di scrittori conosciuti in case e salotti privati, e in Superfred, social network di prossimità sui libri ideato da Giacomo Sbalchiero. Tra creatività, cultura e sostenibilità economica questi ospiti descriveranno le loro attività in un workshop coordinato il 22 maggio da Giulio Costa, responsabile produzione del Teatro Off di Ferrara.

Non è possibile riassumere qui tutti gli appuntamenti del Ferrara Sharing Festival. Basti sapere che ci saranno tavole rotonde durante le quali si discuterà di nuovi modelli economici e organizzativi, di nuove competenze e di cambiamenti del mondo professionale, di servizi di sharing economy. Ci saranno oltre 110 relatori coinvolti e la presenza di piattaforme nei settori vitali dell’economia collaborativa come VizEat e Gnammo (social eating), Bla Bla Car e GogoBus (mobilita’), HomeAway e Guide me right (travel e turismo), Tabbid e Timerepublik (time to rent), iCarry (delivery), Cocontest (codesign), Smartika (social landing) e Produzioni dal Basso (crowdfunding) e molti molti altri.

Non potevamo, naturalmente, aprire un festival senza un saluto benaugurale di una voce di particolare rilievo e abbiamo scelto Alessandro Bergonzoni, geniale inventore di linguaggi e pensieri.

Così, mentre riflettevo su questo evento, su come potrebbe diventare edizione dopo edizione allo scopo di farne un momento importante di dibattito sul futuro, ho avuto l’intuizione di girovagare nei giochi di parole di Alessandro e mi è venuto in mente che nel tempo ci siamo predisposti al micidiale (più micidiale di quello che ci circonda in questo momento di crisi) e che ormai urge immaginare nuovi nessi.

A buon intenditor…

p.s. alcuni spettacoli di Alessandro Bergonzoni si chiamano, appunto, Predisporsi al micidiale, Urge e Nessi.

DAVIDE PELLEGRINI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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