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Scopri il lato nascosto dell’AI e il suo impatto umano

Non crederai mai a cosa si cela dietro la magia dell'intelligenza artificiale. I lavoratori invisibili pagano un prezzo altissimo per la nostra comodità.

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In un mondo in cui l’intelligenza artificiale (AI) sembra dominare ogni aspetto della nostra vita quotidiana, ci sono verità scomode che rimangono nell’ombra. La narrativa venduta dai giganti della tecnologia ci racconta di macchine intelligenti e algoritmi straordinari, ma la realtà è ben diversa e, a dir poco, scioccante. Questo articolo esplorerà il lato oscuro dell’AI, rivelando come i lavoratori che alimentano questa tecnologia subiscano condizioni disumane per garantire il suo funzionamento.

1. La realtà dietro il mito dell’AI

Quando pensiamo all’AI, tendiamo ad immaginarla come una rete di codici e algoritmi, un’entità astratta che opera nel cloud. Ma cosa significa veramente “cloud”? Quella nuvola di dati che ci sembra così eterea ha un impatto ambientale devastante, superando perfino l’industria aerea.

I centri dati, che consumano enormi quantità di acqua ed energia, rappresentano solo la punta dell’iceberg. Ma cosa c’è dietro a questa tecnologia? La risposta è semplice: persone. E queste persone spesso lavorano in condizioni disumane.

Il lavoro di etichettatura dei dati, essenziale per l’addestramento dell’AI, è svolto da esseri umani e non da macchine. Questi lavoratori, spesso sottovalutati e sottopagati, sono principalmente situati nei paesi del Sud del mondo, come le Filippine, dove le condizioni di lavoro sono a dir poco estenuanti. Nonostante la loro importanza nel sistema, non vengono considerati lavoratori tecnologici e non godono dei benefici del settore. Molti di loro vivono in situazioni precarie, lavorando per meno di due dollari all’ora in case o caffè internet, spesso senza avere accesso a un computer privato.

Ma ti sei mai chiesto quali siano gli effetti di tutto ciò?

2. Le voci silenziose dei moderatori di contenuti

Negli ultimi anni, alcuni di questi lavoratori hanno cominciato a farsi sentire, protestando contro le loro condizioni di lavoro. Una lettera aperta firmata da moderatori kenyoti al presidente Biden ha messo in luce le dure realtà di chi lavora nell’ombra della tecnologia. Hanno descritto il loro lavoro come un compito che implica la visione di contenuti orribili, dai crimini violenti all’abuso infantile, per garantire che le piattaforme come Facebook e TikTok rimangano sicure. La loro testimonianza è un grido d’allerta su un mercato del lavoro che sfrutta le persone più vulnerabili.

Un documentario intitolato “The Cleaners”, presentato al Sundance Film Festival, getta luce su queste esperienze.

Racconta le storie di cinque moderatori di contenuti nelle Filippine e mostra le implicazioni geopolitiche del loro lavoro. Una delle protagoniste parla con calma delle centinaia di decapitazioni a cui ha assistito, evidenziando la disumanizzazione a cui sono sottoposti. Nel frattempo, le immagini di Mark Zuckerberg che esalta le meraviglie di Facebook appaiono in contrasto con il dolore e la sofferenza di questi lavoratori, un esempio perfetto di come la disconnessione tra le élite tecnologiche e la realtà quotidiana delle persone comuni sia diventata insopportabile. Non credi che sia giunto il momento di riflettere su tutto ciò?

3. Il prezzo umano della tecnologia

Ma non è solo un problema che riguarda i paesi in via di sviluppo; anche negli Stati Uniti esiste una forza lavoro invisibile che subisce le stesse ingiustizie. Un videografo di Google ha rivelato un sistema gerarchico in cui i lavoratori di colore sono relegati a mansioni umili, con accesso limitato agli spazi aziendali e privati di tutti i benefit aziendali. Queste ingiustizie non sono nuove, ma continuano a persistere, mentre i giganti della tecnologia si concentrano su profitti e innovazione.

Nel suo libro “Behind the Screen: Content Moderation in the Shadows of Social Media”, l’autrice Sarah T. Roberts esplora a fondo le vite di questi lavoratori, descrivendo le condizioni disumane e il loro sfruttamento sistemico. Una delle intervistate si identifica con la figura del “sin eater”, un simbolo di come i più poveri della nostra società siano costretti a “mangiare” i peccati degli altri, accettando lavori degradanti per il bene di una tecnologia che non riconosce il loro valore.

Quando usiamo piattaforme digitali, dobbiamo chiederci: a che costo? La comodità che ci offrono nasconde un prezzo umano inaccettabile. È tempo di alzare la voce e chiedere giustizia per coloro che lavorano nell’ombra, affinché il progresso tecnologico non avvenga a spese dei più vulnerabili. Dobbiamo essere consapevoli e responsabili, non possiamo più ignorare questa realtà. È ora di agire!

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Scritto da Staff

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