Perché la fusione nucleare può essere l’energia del futuro

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Nel 1956 Walt Disney decise di spiegare alle giovani generazioni i benefici dell’energia atomica, l’energia del futuro rilanciata dall’allora presidente Eisenhower nel programma Atoms for Pace, producendo un libro illustrato, poi trasformato in cortometraggio, dal titolo Our friend the Atom – il nostro amico atomo. Nonostante questo e altri imponenti sforzi divulgativi (a volte anche propagandistici), l’opinione pubblica è rimasta scettica sui reali vantaggi dell’energia atomica nei decenni a seguire. Uno scetticismo acuitosi con gli incidenti di Three Mile Island, di Chernobyl e di Fukushima. Oggi esistono 434 reattori nucleari attivi nel mondo, che generano il 12,3% dell’elettricità mondiale, e altri 69 sono in costruzione.

Paesi come la Francia, che hanno investito massicciamente sul nucleare, hanno avviato la dismissione di numerosi reattori, con l’intenzione di scendere dal 75 al 50% di elettricità prodotta da nucleare entro il 2025.

La Germania ha deciso di rinunciare al nucleare, così come da tempo ha scelto di fare l’Italia. Gli Stati Uniti non hanno ancora preso una decisione chiara in tal senso, analogamente al Giappone, ma c’è da credere che, in entrambi i paesi, la quota di energia prodotta dalla fissione nucleare sia destinata a ridursi significativamente nei prossimi anni.

Da energia del futuro in grado di spalancare all’umanità orizzonti sconfinati di sviluppo, la fissione nucleare si è rivelata insomma un abbaglio. I limiti di questa fonte di energia sono sostanzialmente tre, in ordine crescente di problematicità:

  1. Rischi della radioattività
  2. Rifiuti nucleari
  3. Esaurimento dell’uranio

Come fa notare Richard A. Muller, docente di fisica all’Università di Berkeley, nel suo libro Energia per i presidenti del futuro, le paure legate a fughe di radioattività a seguito di incidenti nucleari sono decisamente esagerate.

Nel più recente caso di Fuskushima, le persone maggiormente esposte a radiazioni hanno assorbito al massimo 0,22 sievert, laddove la dose considerata pericolosa è pari a 1 sievert e quella mortale a 5-6. E si tratta comunque di quelle – poche – persone che hanno assorbito radiazioni prima di essere evacuate dalle aree a rischio. La stragrande maggioranza dei giapponesi dell’area di Fukushima ha assorbito la stessa quantità di radiazioni di quella che produce una TAC.

Il peggior incidente nucleare della storia, quello di Chernobyl, ha prodotto circa 24mila casi di tumori. Nella maggior parte dei casi si tratta di tumori alla tiroide, oggi curabili. Comparando i danni causati dagli incidenti nucleari (che possiamo contare sulle dita di una mano) con quelli prodotti da incidenti di impianti elettrici a combustibili fossili, come gli impianti chimici, la sicurezza della fissione nucleare diventa evidente.

Anche l’impatto ambientale di incidenti come quelli delle piattaforme petrolifere è incomparabile con i danni ambientali limitati prodotti da Chernobyl o Fukushima. Oltre 250mila animali morirono nei giorni immediatamente successivi all’incidente della Exxon Valdez, circa 10mila nei giorni successivi all’incidente della Deep Water Horizon. I numeri, naturalmente, sono ben maggiori sul lungo periodo. All’interno della zona rossa di Chernobyl, per confronto, è registrata la presenza di un fitto ecosistema.

Ciò non vuol dire minimizzare i rischi degli incidenti nucleari, quanto piuttosto porli in una necessaria comparazione con i rischi prodotti dalle altre fonti energetiche. La radioattività è senza dubbio letale per la salute umana e gli incidenti delle centrali a fissione nucleare sono eventi che, per quanto rari, comportano comunque un rischio per la nostra salute e per l’ambiente che non va sottovalutato.

Il secondo problema, quello delle scorie nucleari, è più problematico sul lungo termine. Anche se le centrali nucleari non inquinano l’atmosfera, producono pur sempre combustibile esausto altamente radioattivo che non può essere liberato nell’ambiente finché permane la radioattività. Purtroppo, plutonio e uranio hanno un tempo di dimezzamento lunghissimo. Per il plutonio-239 è di 24mila anni, per l’uranio-235 di 710 milioni di anni e per l’isotopo uranio-238 di ben 4,5 miliardi di anni, quanto l’attuale età della Terra. Le scorie nucleari prodotte dalle centrali come scarto dei propri processi di produzione di energia restano radioattive per tempi “biblici”, cosa che impone politiche di lunghissimo termine per la loro gestione. Solo l’industria nucleare americana ha prodotto finora circa 70mila tonnellate di scorie radioattive, senza una reale soluzione di stoccaggio di lungo periodo. La costruzione di un deposito definitivo nelle viscere della Yucca Mountain in Nevada, sito considerato sicurissimo dal punto di vista geologico, è stata abbandonata dall’amministrazione Obama.

Tuttavia, quello delle scorie è un problema potenzialmente risolvibile, alla lunga. Sia perché possono essere sepolte in luoghi sicuri per centinaia di migliaia di anni senza produrre danni, a differenza delle emissioni di gas serra prodotte dai combustibili fossili che, rilasciate nell’ambiente, lo stanno radicalmente trasformando; sia perché nuove generazioni di reattori nucleari sembrano in grado di poter riutilizzare il combustibile radioattivo esausto e, al tempo stesso, produrre meno scorie.

Il problema principale per cui non possiamo definire la fissione nucleare come l’energia del futuro – a differenza di quanto sostenevano anche tanti scrittori di fantascienza negli anni del secondo Dopoguerra – è che l’uranio è ormai prossimo all’esaurimento. Un recente studio pubblicato su Science of the Total Environment a firma di Michael Dittmar del Politecnico di Zurigo rivela che già l’anno prossimo, nel 2015, sarà raggiunto il picco dell’uranio. Dalle 58.000 tonnellate del 2015 si scenderà alle 41.000 del 2030, contro le 68.000 tonnellate impiegate ogni anno. Scenari futuri di sostenibilità dell’industria nucleare includono l’utilizzo del torio come combustibile, dieci volte più abbondante dell’uranio e molto meno radioattivo, con scorie che resterebbero radioattive per poche decine di anni. Anche il torio, tuttavia, è un elemento esauribile. Nel giro di un paio di centinaia di anni, il problema tornerebbe.

In un’ottica di lungo periodo, la fissione nucleare non è l’energia del futuro. Ma può esserlo la fusione. Se nella fissione un atomo di uranio, bombardato da neutroni, si scinde generando energia (e una gran quantità di isotopi radioattivi di scarto, che costituiscono le “scorie”), nella fusione l’energia si ottiene ad elevatissime temperature, che portano due nuclei diversi di idrogeno (deuterio e trizio) a fondersi, producendo un atomo di elio e una certa quantità di energia, derivante dal fatto che il nuovo atomo di elio ha una massa inferiore a quella dei due atomi di partenza; poiché, come diceva Einstein, E=MC2, la massa mancante (M) si trasforma in quell’energia (E) tanto bramata. Energia potente, perché è con quella che il Sole brucia da quattro miliardi di anni e continuerà a farlo per altrettanti; e perché è con la fusione, sebbene di tipo “incontrollato”, che si realizzano le bombe H, con una potenza fino a quattromila volte quella che distrusse Hiroshima. Energia pulita, inoltre, perché non produce scorie.

Nell’elencare i 10 “long-term trends” del 2013, ossia i dieci eventi dell’anno passato che potranno avere un maggiore impatto sul lungo periodo, noi dell’Italian Institute for the Future abbiamo indicato nei passi avanti della fusione nucleare uno degli scenari più promettenti. L’anno scorso è finalmente partito il cantiere di Cadarache, in Provenza, dove sarà costruito ITER, il reattore a fusione nucleare sperimentale finanziato da un consorzio che comprende Europa, USA, Cina e Giappone, e che proverà a ottenere la fusione attraverso il processo di confinamento magnetico del plasma; mentre nei laboratori nazionali di Livermore, negli Stati Uniti, la National Ignition Facility ha per la prima volta ottenuto un output di energia superiore all’input utilizzando come procedimento per innescare la fusione nucleare l’ignizione attraverso la potenza dei laser.

Non sappiamo quale di queste due soluzioni ci permetterà, auspicabilmente intorno alla metà di questo secolo, di entrare finalmente nell’era della fusione nucleare. Sappiamo però che, a differenza della civiltà dei combustibili fossili e di quella della fissione nucleare, la fusione non si baserà su risorse esauribili. Deuterio e trizio sono ottenibili a partire dall’idrogeno, che può essere ricavato dall’acqua. Finalmente, dopo aver sfruttato per produrre energia tutte le risorse più scarse presenti in natura, la nostra civiltà inizierebbe a produrla dalla sostanza che è alla base della nostra vita.

Napoli, 19 marzo 2014Roberto PauraItalian Institute for the FuturePresidentehttp://www.instituteforthefuture.it/

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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