Mancano le competenze digitali, ed è colpa della scuola

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“Sono uscita dall’istituto professionale alberghiero un anno fa. Ora mi sono iscritta alla facoltà di tecnologia alimentare”.“Quindi sai cucinare bene?”“Sì ma perché me l’ha insegnato mia madre. A scuola mancavano i laboratori”.

Beatrice, 19 anni, bergamasca fa parte di quel 50% dei giovani che non vedono nel loro percorso scolastico una risorsa per costruire il proprio presente e un futuro professionale.

L’allarme è stato lanciato nei giorni scorsi dal rapporto 2016 presentato dall’istituto “Giuseppe Toniolo” sulla “Condizione giovanile in Italia”. Una fotografia “scattata” prendendo in esame oltre 9 mila giovani tra i 18 e i 33 anni con titolo di studio, condizione lavorativa e residenza diverse.

La sentenza data dai ragazzi è grave: solo il 41% dei giovani (con una punta del 44,5% tra gli studenti che hanno fatto studi tecnici) ha dichiarato di essere d’accordo sul fatto che l’istruzione serva per trovare più facilmente lavoro.

I giudizi in merito alla fruibilità nel mondo del lavoro di quanto imparato a scuola non sono per nulla ottimisti.

Il 9,2% dichiara persino che l’istruzione scolastica non serve a nulla.

Una percezione dettata dall’esperienza dei nostri giovani che sono rassegnati di fronte alle falle del nostro sistema d’istruzione: “Riguardo alla possibilità di trovare un adeguato lavoro e realizzare i propri progetti di vita – ha spiegato Alessandro Rosina, professore di demografia e statistica sociale, direttore del Laboratorio di statistica applicata alle decisioni economico-aziendali – i giovani italiani sono diventati consapevoli negli ultimi anni soprattutto dell’importanza di due aspetti:

  1. rispetto all’atteggiamento individuale è richiesta una maggiore disponibilità ad adattarsi;
  2. rispetto alla scuola è aumentato il riconoscimento dell’utilità di acquisire solide competenze al di là del titolo di studio.

Per lavorare bisogna avere competenze specifiche e poterle applicare

I ragazzi stessi hanno compreso che per trovare un lavoro servono competenze specifiche, serve non solo sapere bene la matematica, la fisica, l’informatica ma saperla applicare, sapere a cosa serve. Non è un caso che il 55% degli intervistati considera infatti la capacità di adattarsi l’elemento più utile per trovare lavoro, seguito dalla solida formazione di competenze avanzate (20,1%) e solo al terzo posto il titolo di studio (15,1%).

Una questione ben conosciuta dalle aziende come la “Zucchetti”, leader in Italia per la fornitura di software, hardware e servizi.

La società lodigiana è da oltre dieci anni il primo gruppo italiano di software. Nonostante questi anni di crisi, caratterizzati purtroppo, anche nel settore informatico, da numerosi dissesti e chiusure di società, ha mantenuto continui e regolari programmi di assunzioni, soprattutto di giovani, tutti con contratti a tempo indeterminato.

Un successo targato Italia costretto a fare i conti con le difficoltà dei nostri ragazzi: “Il 2015 si è chiuso con 202 nuove assunzioni e, contando anche le acquisizioni, il gruppo Zucchetti è cresciuto di 343 persone rispetto al 2014, arrivando a 3.150 addetti. In merito ai neoassunti, 93 sono stati neodiplomati/neolaureati, ossia il 46% del totale, e 64 donne, il 32% del totale. Puntiamo molto sui giovani – spiega Cristina Zucchetti, responsabile delle risorse umane – perché sono portatori di creatività e nuove idee; purtroppo, però, anche noi troviamo delle difficoltà a reperire determinati profili sul mercato del lavoro e riscontriamo spesso la necessità di un lungo periodo di formazione e di training on the job per trasferire ai giovani le competenze che non acquisiscono durante il loro periodo di studi nelle scuole superiori o all’università. Non si tratta solo di un gap di competenze tecniche, ma anche dei processi che caratterizzano le attività di imprese e studi professionali, nozioni indispensabili per chi vuole lavorare nel mondo del software applicativo”.

Una carenza colmata da ‘Accademia Zucchetti’, un servizio interno dedicato alla formazione che organizza e coordina tutti i corsi formativi destinati al personale, dal momento dell’assunzione ai percorsi personalizzati di aggiornamento professionale sulla base del ruolo ricoperto in azienda.

La causa dello skill shortage nelle professioni legate al digitale, tuttavia, non va ricercata negli atenei e nemmeno nelle scuole secondarie di secondo grado ma alla primaria.

Lì, dove si formano le menti, dove si apprende un metodo di studio, dove nascono l’interesse e le curiosità per il sapere, c’è ancora una grave carenza nei confronti del digitale.

Il mancato accesso alla Rete in molte scuole, l’assenza di una formazione adeguata agli insegnanti, la carenza di strumenti (personal computer, tablet, lim), non ha permesso alla scuola italiana di dare l’Abc dell’alfabeto digitale ai nostri ragazzi. Le conseguenze le pagano dieci, quindici anni più tardi.

Cosa si può fare e cosa si sta facendo e si può fare meglio

Una risposta a questo problema il Governo Renzi ha provato a darla con l’alternanza scuola – lavoro ma i risultati non sono quelli sperati.

Secondo un’indagine fatta dal portale Skuola.net su un campione di 2.800 studenti iscritti al terzo anno di licei, istituti tecnici e professionali, l’86% ha preso o prenderà parte ad un percorso di alternanza ma il 52% non ha mai messo piede fuori dalla scuola.

E se lo scopo dell’alternanza scuola–lavoro è quella di “incrementare le opportunità di lavoro degli studenti” l’obiettivo è stato raggiunto solo parzialmente.

Più del 72% dei liceali non ha ricevuto dall’azienda la richiesta di restare in contatto per possibili opportunità di lavoro degli studenti, percentuale che scende al 52% circa degli studenti tecnici e al 43% dei ragazzi dei professionali.

Ma non basta. Lo skill shortage nelle professioni digitali non sarà certo risolto da questo provvedimento.

In questi anni qualche passo è stato fatto per facilitare l’accesso alla Rete e alla didattica digitale alla scuola secondaria di secondo primo e secondo grado ma la primaria resta la Cenerentola del sistema d’istruzione.

Fin quando un solo bambino uscirà dalla scuola elementare senza conoscere cosa si nasconde dietro il programma del suo videogioco preferito non riusciremo a colmare questo vuoto.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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