Lorenzo Benussi: le 5 cose che cambiano con l’Agenda Digitale

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Habemus Agenda Digitale. Ieri la Camera ha votato e approvato, dopo la discussione e un’avventurosa votazione in Senato, il decreto Crescita 2.0 che comprende le norme sull’ Agenda Digitale Italiana.

Finalmente, dopo quasi un anno di lavoro e dopo molti anni di attesa, anche il nostro Paese ha un’Agenda Digitale, un pacchetto di norme o meglio un insieme di politiche per lo sviluppo del digitale che dovrebbero ridurre l’arretratezza accumulata in questi ultimi 15 anni e rilanciare i settori più vitali dell’economia, promuovendo innovazione e crescita.

La genesi e la stessa approvazione del Decreto sono state rocambolesche e particolarmente faticose.

Quasi un anno fa è stata creata una Cabina di Regia interministeriale per tracciare la rotta da seguire, sono stati attivati sei tavoli di lavoro che hanno prodotto i contenuti, sono stati attivati quattro uffici legislativi di altrettanti ministeri per la scrittura delle norme e, cosa più importante, sono state coinvolte amministrazioni centrali e locali, associazioni di imprese e di cittadini che hanno contribuito in modo fondamentale alla definizione delle norme.

Per me e per i mie compagni – innanzitutto Donatella Solda-Kutzmann, Damien Lanfrey, Dario Carrera del MIUR e Alessandro Fusacchia del MISE – ma anche per gli staff di tutti i Ministeri coinvolti è stata una navigazione pericolosa, a tratti entusiasmante a tratti allucinante, condita da notti insonni al lavoro, sacrifici personali e famigliari, riunioni interminabili, battaglie feroci, vittorie e sconfitte inaspettate, momenti di sconforto e attimi di euforia. Un viaggio che ci ha cambiato e che ci porteremo dietro come esperienza professionale e di vita.

Con l’approvazione di questa piccola grande legge cambieranno molte cose in Italia:o vviamente non sarà la panacea dei mali che abbiamo accumulato in vent’anni di scandaloso disinteresse politico all’innovazione, ma rappresenta, comunque, il punto di partenza per un nuovo inizio.

Provo a riassumerne alcuni punti salienti.

Comunità Intelligenti (Smart Cities)

Da domani le città e le comunità italiane che decideranno di intraprendere un percorso d’innovazione “smart” potranno contare su una piattaforma nazionale che le aiuti a condividere le esperienze, a mettere in comune i dati e i servizi informativi, a riusare le soluzioni realizzate.

Sarà creato un sistema di monitoraggio nazionale nuovo e avanzato con lo scopo di controllare con precisione l’efficacia e l’impatto delle politiche adottate per migliorarle e renderle sempre più efficienti. Sarà scritto, in comunione tra PA centrale e locale, lo Statuto delle Comunità intelligenti, una carta dei diritti che dovranno avere i cittadini delle comunità intelligenti e che definisce un nuovo spazio d’inclusione sociale, accessibilità e apertura.

La norma descrive perciò un contesto di progresso tecnologico e sociale in quanto le città intelligenti non migliorano soltanto la puntualità dei mezzi pubblici ma devono, come principale obiettivo, avvicinare le periferie al centro, favorire l’innovazione e offrire opportunità nuove a chi ne ha più bisogno.

Dati di tipo aperto (Open Data). Da oggi le pubbliche amministrazioni e gli organismi pubblici devono pubblicare i propri dati in formato aperto, cioè in modalità che ne permettano l’accesso e il riutilizzo, anche a fini commerciali, senza costi per i cittadini.

I dati e le informazioni diventano perciò un patrimonio collettivo, un bene pubblico digitale. I dati pubblici divengono in modo esplicito un diritto dei cittadini che in questo modo hanno accesso ad un’importante risorsa per costruire una migliore consapevolezza civica e per creare una nuova generazione di servizi. In un paese in deficit cronico di credibilità questa riforma ha lo scopo di promuovere innanzitutto la trasparenza – noi tutti sappiamo quanto ne abbiamo bisogno – ma soprattutto è il primo passo per creare un vero governo aperto che sappia collaborare con i cittadini e attivare percorsi di partecipazione alla gestione delle cosa pubblica.

Chiaramente la norma prevede delle eccezioni quando i dati sono personali e/o sensibili, riguardano la sicurezza nazionale o, in alcuni limitati casi, sono alla base di modelli di business consolidati. Si tratta di un’innovazione in linea con la normativa europea e con gli standard internazionali ma che in Italia ha un significato particolare perché frutto di una collaborazione tra interno ed esterno dell’amministrazione.

L’articolo 9 del decreto è stato discusso con le comunità online e le sue componenti derivano da proposte dirette di associazioni di cittadini o imprese che promuovono il modello open data; esso è frutto di un’innovazione di processo che potrebbe essere adottate in modo sistematico in futuro.

Startup. Grazie all’ ottimo lavoro della Task Force sulle startup abbiamo un contesto normativo finalmente favorevole al cambiamento, finalmente favorevole alle giovani imprese innovative. Tutti ne parlano e tutti vorrebbero che fiorissero nel nostro paese ma mai fino ad ora si era deciso di promuoverle in modo organico. Sono molte le facilitazioni introdotte: dalle misure per la nascita, a quelle per rendere più flessibile il lavoro nelle startup, a quelle per favorirne il finanziamento, alla promozione degli acceleratori sia privati sia universitari, alla definizione di un contesto normativo in cui il fallimento sia considerato fisiologico e non patologico.

Con queste norme sono state create le fondamenta di un nuovo settore industriale, cercando anche qui, come in tutti i punti dell’Agenda Digitale, di colmare il ritardo accumulato e di offrire strumenti e coraggio per il rilancio del sistema. Uno degli elementi caratteristici di questa parte del decreto, che rappresenta probabilmente l’innovazione più importante, è stato l’utilizzo di un modello aperto o, come si dice, multi-stakeholder che è partito della creazione di un gruppo di lavoro di esperti, esterni all’amministrazione pubblica, che hanno definito il contesto di intervento con un rapporto – bello, chiaro e ben scritto – che poi si è tradotto, nelle parti per cui era possibile, in norma.

Crowdfunding e innovazione sociale. Anche se nel decreto non compaiono tutte le proposte di innovazione sociale su chi abbiamo lavorato e che speravamo venissimo incluse, esso presenta comunque il primo importante passo per attivare nuovi strumenti. Su tutti il crowdfunding che facilita la raccolta di capitali in modo diffuso attraverso internet e ha lo scopo di permettere a chiunque di investire anche piccolissime somme in un’idea che lo convince.

E’ interessante notare che una norma di questo tipo è stata di recente adottata dall’ amministrazione Obama, forse non siamo così indietro. Infine il lavoro iniziato su strumenti come gli impact bonds e la finanza ad impatto sociale sta producendo, con dei tempi naturalmente più lunghi di quelli del resto dell’Agenda, un incremento di consapevolezza e di attenzione anche all’ interno delle istituzioni, segnando la strada per realizzare nuove misure in futuro.

Politiche per la ricerca. S’introducono alcuni cambiamenti importanti nelle politiche sulla ricerca e l’innovazione che offrono strumenti innovativi alla PA per dialogare con il mercato.

In particolare è introdotto il Procurement Pre Commerciale che permette di attivare partnership tra pubblico e privato su problemi emergenti, in cui i due attori collaborano nella definizione di soluzioni innovative. Si definisce un ruolo nuovo della PA che non solo investe ma diventa un acquirente intelligente catalizzando i bisogni dei territori e della società con lo scopo di aumentare la qualità delle soluzioni adottate e di aggregare la domanda di soluzioni innovative. Una PA che è capace di sopportare il peso di una maggiore discrezionalità necessaria per fluidificare il processo di approvvigionamento e renderlo più consono alla materia specifica (le idee non sono bulloni). Si vuole creare un’amministrazione pubblica in grado di assumere un ruolo di traino e di essere leader nell’ecosistema innovativo nazionale.

Il decreto sull’agenda digitale presenta anche molte altre innovazioni che cito soltanto ma che riguardano elementi strutturali del funzionamento dello Stato e sono indispensabili per il rilancio del paese.

Ci sono nuove norme su amministrazione, sanità e giustizia con la creazione di una nuova anagrafe unica nazionale, l’accelerazione nella distribuzione del documento d’identità digitale, le misure sui processi telematici e sulla sanità digitale che permetterebbero di risparmiare miliardi alle casse delle stato. Vi sono risorse importanti, sicuramente non sufficienti ma comunque utili, per allargare la rete in banda larga nazionale. Si promuovono i pagamenti elettronici che sono un elemento indispensabile per dare il via a nuovi servizi che facilitino la vita dei cittadini – ad esempio la possibilità di pagare i biglietti dell’autobus o i parcheggi con il telefonino. Si promuovono le competenze digitali e si è tentato di introdurre i libri digitali nelle scuole anche se il conservatorismo di una parte del mondo editoriale e intellettuale non hanno permesso di essere efficaci quanto e come ci si aspetterebbe.

Sono introdotte novità importanti per l’accessibilità e l’inclusione digitale, grazie al lavoro delle associazioni coordinato da Roberto Scano che sono un elemento cardinale delle politiche digitali se si vuole creare un contesto innovativo capace di facilitare la vita di tutti.

Chiaramente non è una legge perfetta e non cambia tutto con la sua approvazione perché ci sono un gran numero di decreti e regolamenti attuativi da fare, perché siamo molto in ritardo e perché la cultura e le mentalità non si cambiano con una legge.

Abbiamo bisogno di esempi concreti che dimostrino le potenzialità del digitale senza i quali le norme sono solo buone intenzioni. Abbiamo bisogno di cultura e di competenze digitali che permettano a tutti di utilizzare proficuamente le tecnologie e abbiamo bisogno di un grande e strutturale cambiamento organizzativo perché – come diciamo spesso con i colleghi del MIUR – “informazione è organizzazione” e ogni innovazione nella gestione dei processi informativi deve necessariamente cambiare il modo in cui funzionano le organizzazioni.

Non si può pensare che le persone continuino a fare le stesse cose, bisogna introdurre funzioni nuove, modificare gli organici e i concorsi, definire nuovi percorsi di carriera, lasciar perdere alcuni impegni ormai poco significativi per concentrarsi su attività diverse.

A questo proposito ormai da un po’ lancio una provocazione: perché non sostituiamo i PC delle amministrazioni con tablet e thin client?

L’informatica è cambiata, è diventata più leggera e diffusa e poiché c’è una generazione di dipendenti pubblici che non hanno mai imparato a usare il computer – ma probabilmente hanno in tasca uno smartphone – sarebbe probabilmente il caso di osare, di introdurre un elemento di discontinuità strutturale che forzi il percorso innovativo; con consapevolezza ma senza compromessi.

Proprio su questo dobbiamo cominciare, o meglio continuare, a lavorare da oggi perché l’innovazione non si fa nei Ministeri o nei laboratori di ricerca delle università o delle grandi aziende, l’innovazione è un disegno collettivo, un puzzle che componiamo insieme, ognuno ha nelle proprie mani il suo piccolo pezzo d’innovazione.

Da oggi però qualcosa è cambiato, l’Italia per la prima volta ha una politica organica sul digitale che è stata composta in grande parte da outsider, persone che non erano organiche alla politica o all’ amministrazione, ragazzi di varie età (o “ragazzini” come alcuni ci chiamano con disprezzo) che senza pensarci troppo e con un po’ di incoscienza hanno accettato la sfida di rendere questo paese un po’ più normale.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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