Le donne nella pubblicità e perché occorre andare oltre gli stereotipi

innovaizone

È stata presentata oggi alla Camera dei Deputati un’importante indagine sulla parità di genere nella pubblicità italiana. La ricerca è stata condotta da Massimo Guastini (Presidente dell’Art Directors Club Italiano) e Giovanna Cosenza, con Jennifer Colombari ed Elisa Gasparri del Dipartimento di Filosofia e Comunicazione dell’Università Alma Mater di Bologna.

Grazie al contributo di Nielsen è stato possibile mettere in relazione migliaia di annunci pubblicitari pianificati su TV, stampa, radio, affissione e banner con i relativi investimenti economici per provare a valorizzare quanto valga la diffusione degli stereotipi a dispetto della proposta del Parlamento Europeo che già sei anni fa approvava con 504 voti favorevoli l’abolizione della pubblicità sessista e degradante per l’universo femminile.

Alla luce dei dati rilasciati da IAP, l’Isitituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria che dal 1966 regolamenta la nostra pubblicità, sarebbero stati solamente 143 i casi di pubblicità sessista esaminati nel periodo 2011-2012, quindi una frazione davvero poco rilevante (meno dello 0,05%) rispetto alle oltre 100 mila campagne di comunicazione che escono in Italia ogni anno.

Eppure, stando alla ricerca presentata a Montecitorio alla presenza di Laura Boldrini e Matteo Renzi, sarebbero oltre 65 milioni di euro al mese gli investimenti pubblicitari riversati su spot e annunci per supportare categorie femminili facilmente ascrivibili all’universo degli stereotipi più abusati sull’immagine delle donne.

È sì che già da qualche anno i guru della professione riempiono pagine di letteratura per introdurre il famigerato storytelling come nuovo ingrediente della comunicazione pubblicitaria, capace di dare nuova linfa creativa e nuovi slanci al mio mestiere. Ma nonostante le buone intenzioni riportate dai manuali della pubblicità, la nostra Presidente della Camera ha affermato recentemente l’inaccettabilità che in questo paese ogni prodotto, dallo yogurt al dentifricio sia veicolato attraverso il corpo della donna.

Se lo storytelling è la nuova panacea della comunicazione pubblicitaria, è così difficile passare dagli stereotipi agli archetipi?

Nella tradizione narrativa la donna è madre, musa, creatività, intuizione, pace, intelligenza, forza, amore, bellezza, empatia, rischio, ispirazione, arte, ingegno… perché la pubblicità non riesce a uscire dal ricatto della raffigurazione “pre-orgasmica” – per dirla con le parole della ricerca – o della disponibilità sessuale?

Qui è possibile vedere quali siano le tipologie femminili (e maschili) più ricorrenti nella narrazione pubblicitaria italiana e – soprattutto – leggere lo spaventoso ammontare di investimenti economici che vengono spesi per supportare questo scempio.

Un’indagine come quella che viene presentata oggi all’interno del rapporto Rosa Shocking (violenza, stereotipi e altre questioni del genere) di WeWorld Intervita dovrebbe essere resa obbligatoria dalle nostre istituzioni. Dovrebbe essere presa in carico dalle associazioni di categoria, da una qualsiasi azienda che ha il pubblico femminile come suo principale interlocutore, da una rete di crowdfunding che provi a difendere l’immaginario collettivo come ultimo baluardo per tornare a usare la pubblicità come ingrediente culturale.

E invece si continuerà a dire che il sessismo è negli occhi di chi guarda, a fare i brillanti nei manuali di comunicazione con lo storytelling digitale, mentre fuori da Internet il pattume sessista continuerà a riempire manifesti, pagine stampa e spot televisivi.

PAOLO IABICHINO – @IABICUS

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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