La soluzione della crisi sta a noi genitori: si chiama “Education”

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Questo non è un saggio. Né tratta di ciò di cui parlo sempre tutto l’anno. Niente ambiente, né sostenibilità, né smart city. Non ho la presunzione di proporre nemmeno un’idea risolutiva per il 2014. Offro, perché mi è stato chiesto, una mia riflessione, che spero possa essere utile a qualcuno in questo anno che viene.

L’Italia, la terra della creatività per eccellenza, di una creatività così varia da essere capace di mostrare sostanziali differenze culturali nella lingua, nei cibi, nell’arte e nell’architettura a distanza di pochi chilometri, anche tra due città limitrofe. L’Italia, una terra che rappresenta il made in Italy, il secondo brand (dopo Coca Cola) più conosciuto al mondo. L’Italia, culla di civiltà meravigliose del passato. L’Italia, patria di ingegni e di molte fondamentali invenzioni.

Ecco, questa Italia potrebbe farcela a superare la crisi facendo leva sulla sua creatività.

La creatività, quello che permette di avere l’idea che innesca l’innovazione. Tanto è vero che ricordiamo di ogni innovazione chi l’ha pensata e non certo chi è poi riuscito a realizzarla. Ed è quindi ciò di cui oggi ha bisogno il mondo, poiché le tecnologie esistono e sono e saranno sempre di più in grado di permetterci di realizzare idee nuove che si riveleranno utili a qualcuno: l’innovazione, appunto.

Difronte ad un anno che inizia si ha davanti il futuro e per questo a me viene voglia di pensare che ci troviamo difronte alla possibilità di creare un futuro migliore per l’Italia. E questo lo immagino per le nuove generazioni, i nostri bambini, che potremo stimolare a partire da oggi a saper innescare l’innovazione.

Come? Attraverso la creatività, da imparare ogni giorno e sui banchi di scuola.

Education diviene quindi l’auspicio per il 2014. In inglese perché così sottende il duplice significato di formazione e di educazione intesa come comportamento. (Benché io creda che le due cose non si possano scindere, mi smentiscono tuttavia i 9 nelle diverse materie presi da mio figlio corredati ogni primo quadrimestre da un bel 7 in condotta…).

Il rettore del Technion di Haifa in Israele, uno dei politecnici più famosi del mondo soprattutto per il numero di premi Nobel conseguiti (molti dei quali in chimica senza avere chimica nella loro università! Così tanto per sottolineare l’importanza di una mente libera dalla conoscenza di settore per creare innovazione), in occasione di un incontro a Roma disse che loro, diversamente da altri, non hanno l’obiettivo di fare soldi o avere successo, ma di cambiare il mondo! Ecco, questo è l’obiettivo che deve avere l’education: l’innovazione.

“Education is the most powerful weapon which you can use to change the world” (Nelson Mandela). Io credo che sia assolutamente vero. E non in Africa, perché pensiamo che la percentuale di analfabetismo sia alta (attenzione che sta crescendo anche da noi e lo scollamento con il termine educazione nel comportamento italiano è poi talmente alto che sinceramente credo ne abbiamo bisogno molto di più noi italiani di tutto il resto del pianeta). Ecco, Mandela non lo diceva, secondo me, perché pensava di avere un popolo ignorante. Lo diceva perché qualunque popolo può essere tenuto ignorante (proprio a sua insaputa) per poterlo controllare. Così opera la religione, con lo spettro dell’inferno, così i poteri autoritari, così anche tanti specialisti, che complicano volutamente i loro discorsi proprio per paura di divulgare la loro conoscenza.

Ma come fare a produrre la giusta educazione? Poiché solo una mente sufficientemente libera dalle conoscenze specialistiche di settore è in grado di esplorare nuovi campi alla ricerca di una soluzione innovativa, io sarei favorevole ad inserire nell’educazione l’immaginazione, per permettere alla creatività infantile di liberarsi e prendere parola.

Invece sempre più assistiamo ad un’inversione del concetto di educazione. Quello che un tempo erano i mezzi oggi ne sono diventati i fini e i bambini non sono più liberi di creare. Lingue e computer sono diventati i contenuti della formazione dei nostri figli, protesi verso una gara a chi parla più idiomi, a chi usa meglio il mouse, a chi sa sfogliare più velocemente un iPad, a chi fa più punti alla play station.

Piccoli automi, tutti uguali, incasellati in mille esercizi da grandi, non più capaci di inventare un gioco o di arrampicarsi senza farsi male.

Recenti studi dicono che i bambini di oggi corrono più lentamente di quanto correvamo noi alla loro età. Lo spettro Wall-E si aggira e credo che mai un film abbia meglio messo in luce il futuro verso cui tendiamo.

Ma se perdere l’agilità fisica ci accomuna al mondo occidentale, perdere l’identità nazionale alla rincorsa di storie e culture diverse penso possa aprire scenari altrettanto fantascientifici quanto aberranti.

Questo mi preoccupa della nostra Italia, che guarda fuori per cercare speranza per i suoi figli. Io credo invece che proprio quelli, tra i nostri bambini, cui oggi verrà concesso di poter giocare (invece di stare sull’iPad), di poter possedere completamente la lingua madre (anziché di parlarne tre), di poter leggere (anziché guardare la TV) avranno domani la possibilità di cambiare il nostro paese e di riportarlo alla creatività che lo ha reso famoso: “non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo” (Gianni Rodari, Grammatica della fantasia, Einaudi, 1973).

E si tratta di un’education che possiamo gestire noi tutti, genitori, senza eccezioni, ogni giorno.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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Scritto da chef

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