La dieta del blog: così ho perso 40 chili e ho trovato un lavoro

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Quando nel 2005 ho aperto Panzallaria.com, quello che chiamo un progetto di “personal storytelling”, l’ho fatto perché volevo testare di persona la possibilità di agire all’interno di un grande laboratorio condiviso di storie, di cui allora i blog erano la massima espressione online.

L’ho fatto senza pensarci troppo: non avevo una strategia, non avevo un obiettivo professionale. Allora già mi occupavo di comunicazione web ma il blog non era ancora percepito come uno strumento strategico di personal branding e anzi mi guardavo bene dall’esplicitare la mia identità reale quando scrivevo.

Francesca Sanzo, dimagrita di 41 chili in un anno.Foto: Federico Borella

Avevo solamente delle storie e avevo voglia di condividerle anche al di fuori della mia cerchia di conoscenze personali.

Nella mia testa il blog Panzallaria altro non era che un contenitore di passioni (scrittura, lettura, aneddoti, attivismo) e demandavo a un sito professionale tutto ciò che aveva a che fare con la mia promozione e il lavoro.Panzallaria e Francesca Sanzo erano, allora, due entità distinte. Poi qualcosa è cambiato: ho scritto uno spettacolo teatrale che prendeva spunto da alcuni post sul mio blog e il mio nome, quello dato alla nascita, ha cominciato ad essere associato anche a quel progetto.

Inizialmente non avevo la percezione reale di quante implicazioni ci fossero nell’evoluzione del mio profilo digitale, né nel bene, né nel male. Quando si scrivono delle storie, specialmente se prendiamo spunto dal nostro vissuto, il nostro sguardo sul mondo diventa il nostro curriculum vitae.

Quando ho ricevuto il primo contatto professionale in cui si chiariva che a quella persona piaceva come gestivo Panzallaria, ero molto orgogliosa, narcisisticamente felice ma anche un po’ spaventata. Come dovevo comportarmi? Io, in fondo, gestivo quel blog per gioco, ma nella realtà agivo come Francesca.

Una volta, era il 2007, ho fatto un terribile scivolone. Ero stata a un appuntamento per un probabile lavoro e al rientro avevo scritto un post in cui raccontavo ironicamente alcuni aneddoti legati a un anonimo e singolare personaggio incontrato in quella occasione.Il giorno dopo avere pubblicato la mia storia, ho ricevuto una telefonata – offesissima – da parte della persona che me lo aveva ispirato (che dal mio punto di vista non poteva certo sapere che io ero “anche” blogger) e mi sono resa conto che il mio paradigma doveva essere modificato: tutto quello che avevo imparato e sapevo circa la possibilità di rivestire tante identità anonime e virtuali doveva essere rivisto.

Io ero la mia storia, anzi: io ero le mie storie, quelle che raccontavo ogni giorno. Da allora sono successe a me e al mondo digitale molte cose e alcuni parametri sono stati metabolizzati ma noi rimaniamo, sempre, ciò che raccontiamo, almeno agli occhi degli altri.

Oggi, a differenza del 2005, siamo in tanti a raccontare storie e lo possiamo fare attraverso molte piattaforme e con modalità, ognuno, differenti

Il modo in cui ci narriamo online, le parole che scegliamo, la nostra capacità di ascoltare gli altri, condividere suggestioni e partecipare al flusso dello storytelling collettivo ci certifica come professionisti e persone.

L’ascolto e una scelta precisa delle persone a cui ci vogliamo rivolgere è fondamentale: se ci narriamo professionalmente non ha per esempio senso puntare alla massa, ma occorre capire bene chi sono i veri destinatari del nostro messaggio? A chi vogliamo parlare? Chi può avere più voglia di ascoltarci?

Identificare le personas che vogliamo coinvolgere è solo uno degli ingredienti importanti per una buona narrazione online, perché se ognuno di noi è la sua storia, è anche vero che una storia può essere raccontata bene o male, può suscitare noia o interesse, dipende da come la gestiamo, dove decidiamo di puntare l’obbiettivo e in che modo utilizziamo gli strumenti e le piattaforme a nostra disposizione.

Una buona storia si sviluppa come una favola: con il mio background di umanista, mi piace pensare che oltre alle Lezioni americane di Calvino, di cui scrive bene Luisa Carrada, un buon narratore online deve fare tesoro di quanto elaborato da Propp nel suo schema di analisi delle favole, ben sintetizzato in Morfologia della fiaba.

In ogni storia che si rispetti c’è sempre un protagonista (che potremmo essere noi o il nostro progetto), un’evoluzione da un inizio a un obiettivo, degli antagonisti (che spesso sono tutte quelle cose che ancora non sappiamo e desideriamo imparare) e un magico aiutante (nel mio caso, spesso, il magico aiutante è il lettore o l’opinion leader che mi aiuta a superare l’ostacolo).

Penso a tutto questo quando faccio storytelling per me (ad esempio quando ho raccontato la mia dieta durante la quale ho perso 40 kg) o per i miei clienti e ho deciso di raccontare la mia esperienza di narratrice online anche in un ebook che è uscito per Area51 Publishing e si intitola “Narrarsi online: come fare personal storytelling” focalizzato sulla nostra possibilità di essere narratori nomadi, a cavallo tra blog e social media.

FRANCESCA SANZO *

(* Francesca Sanzo è una consulente digitale e si occupa di comunicazione e storytelling)

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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