La collaborazione fa bene se praticata con metodo. Perché l’innovazione è utile se non è di facciata!

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Il coworking rimane un fenomeno poco compreso, si leggono molti instant articles e pochi approfondimenti.Luoghi in continuo mutamento, difficilmente conoscibili, se non con analisi di tipo qualitativo che per fortuna cominciano a circolare.È il caso del paper, Spazi di apprendimento emergenti: il divenire formativo nei contesti di coworking, FabLab e università. Una ricerca che ha alcuni pregi: un’indagine sul campo, finanziata e di durata triennale. Quindi con dati verificabili nel tempo e un vero lavoro di progettazione. Dodici casi studio con video reportage, interviste in profondità e l’osservazione di processi di lavoro e apprendimento.

La tesi suffragata dai dati è che l’apprendimento di tipo esperienziale, empatico e collaborativo praticato in questi luoghi stimola la pro-attività nelle persone.

Un apprendimento utile per l’inserimento lavorativo, l’aggiornamento professionale e una leva per cambiare il nostro sistema formativo.

Questo ci da lo spunto per guardare al laboratorio coworking.

Coworking Italia

I coworking in Italia continuano a moltiplicarsi, 350 nel 2015 in diverse forme e contesti territoriali. Personalmente ne conosco almeno altri 15 che sono nati in questo inizio d’anno. Quelli più avvertiti si specializzano e s’ibridano, differenziando le proprie attività, come nel caso in cui coworking e fablab nascono all’interno di una cornice condivisa. Ancora più marcata, è la crescita di percorsi formativi plurimi (master, school, campus, workshop) rivolti all’innovazione nelle aziende e alla formazione di dipendenti, professionisti e manager.

La questione interessante riguarda la proiezione di queste pratiche collaborative nell’ecosistema sociale più generale.

Un’innovazione sistemica che potrebbe (il condizionale è d’obbligo) rivoluzionare gli ambiti formativi, l’assetto urbanistico delle città e la cultura d’impresa, quindi la nostra vita! 
Qualche settimana fa ho partecipato a un convegno organizzato dall’ordine degli Architetti di Prato dal titolo: Coworking smartworking e spazi di rigenerazione urbana.Il taglio operativo della discussione mi ha fatto capire che qualcosa sta cambiando.

Imprese, start up professionisti e amministratori locali con un obiettivo comune; riattivare l’economia di un territorio come quello pratese che ha molti capannoni in stato di abbandono e il necessario rinnovamento della legislazione ancora legata a una struttura produttiva novecentesca.

In quella sede è stato presentato il progetto Fabbricone 1500 mq di creatività per imprese ed eventi, di cui faremo parte con la rete Multiverso, gestendo un coworking al suo interno. In tal senso da segnalare il road book di Giovanni Campagnoli, che parte da una ricerca sulle buone pratiche di riuso degli spazi in Italia. Alcuni dati dalla Global Coworking Survey sono in linea con quello che stiamo dicendo.

Global Coworking Survey (2016)

La ricerca fotografa una situazione in cui gli spazi hanno in media il 48 per cento in più di membri rispetto all’anno precedente e in prevalenza hanno piani di espansione.

Entro la fine dell’anno ci saranno più di 10.000 spazi e nel 2017 arriveremo sopra il milione di membri.Il 62 per cento dei proprietari di coworking, ha riferito di voler ampliare gli spazi o ha in programma di spostarsi in altri luoghi. Uno su cinque si è spostato almeno una volta perché i vecchi locali erano troppo piccoli.

Alcune criticità segnalate dai coworkers ci fanno capire come tali questioni possano riverberarsi anche nella dimensione collaborativa della società. Una connessione Internet insufficiente, il rumore, la difficoltà di concentrazione e la mancanza di privacy sono gli elementi critici principali. Nessuno di questi singoli aspetti porta però le persone a decidere di cambiare spazio.

Innovazione praticata vs innovazione dichiarata

Ho citato questa parte della survey perchè la diversificazione degli spazi è un processo in atto nei coworking italiani, che serve a migliorare anche le possibilità del lavoro individuale.

Le strutture si stanno dotando di spazi per evitare le continue interruzioni e il multitasking, che non aiuta di certo la concentrazione. Un cambiamento che riguarda anche gli spazi, adibiti al lavoro di gruppo e alle startup, separati, ma connessi con il resto dell’ecosistema.

Un recente articolo dell’Harvard Business school, Collaboration overload, sostiene che la collaborazione fa male alla produttività. La mia risposta è che in verità esistono due tipi d’innovazione, un’autentica, praticata e declinata e un’altra di facciata, generica e dichiarata.

Per un’innovazione del primo tipo la conformazione degli spazi va cambiata in profondità e per gradi assieme all’organizzazione del lavoro. Non basta fare del proprio luogo un open space per pensare che la condivisione attraversi menti e procedure consolidate:

la collaborazione ha bisogno di esser organizzata fuori e dentro il coworking: ci vuole metodo.

Ad esempio con una gestione produttiva del lavoro in team, (time management e metodi come il lean startup) delle procedure e dei ruoli, che non spariscono, ma cambiano di segno. Il capo è la voce autorevole capace di valorizzare i propri collaboratori e di solito parla poco e fa lavorare al meglio gli altri! La gerarchia verticale lascia spazio a un’organizzazione orizzontale con ruoli definiti che cambiano secondo i contesti.

Per usare le parole di Mariano Corso responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working: “Le organizzazioni devono però evitare l’errore di farsi trascinare dall’effetto moda, introducendo un cambiamento solo superficiale, senza cogliere l’opportunità̀ di ripensare profondamente cultura e modelli organizzativi per liberare nuove energie dalle persone […] è un percorso lungo e profondo di continua evoluzione. Significa andare oltre l’introduzione di singoli strumenti e creare un’organizzazione orientata ai risultati, fondata su fiducia, responsabilizzazione, flessibilità̀ e collaborazione”.

Le organizzazioni che hanno intrapreso questo cammino comunque sono sempre di più̀ ma non esiste una ricetta valida per tutti.

In Italia solo il 20 per cento delle grandi organizzazioni e il 22 per cento delle PMI, hanno introdotto innovazioni nel layout fisico degli spazi di lavoro, indubbiamente la leva meno utilizzata.

È il momento di attrezzarsi, la collaborazione sarà lo stile di apprendimento e lavoro del futuro prossimo, se sapremo realizzarlo!

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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