Il miracolo della scuola avviene ad Ancona: la nostra aula 3.0

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Nel nostro cammino, iniziato dall’anno scolastico 2010/11, il motto di riferimento è stato «Non c’è tempo da perdere!».

Abbiamo ricevuto in eredità una scuola povera, demotivata, rassegnata ad essere un passo indietro rispetto al resto del mondo e le strade possibili erano due: restare rassegnati ed attendere che qualcosa o qualcuno dall’alto intervenissero a modificare la nostra condizione; oppure non darsi per vinti e inventarsi tutti i modi possibili per dare ai nostri ragazzi una scuola all’altezza e lasciare il bene ricevuto in condizioni migliori a chi sarebbe venuto dopo di noi.

Ci siamo interrogati e abbiamo deciso che, rispetto a una scuola come quella descritta dai diversi rapporti dell’OCSE, attendere sarebbe stato pericoloso e ci avrebbe fatto correre il rischio che nell’attesa si sarebbe accumulato altro gap e sarebbe stato impossibile riallinearsi.

Per questo siamo partiti con molta incoscienza ma anche tanto entusiasmo, decidendo subito di portare tecnologia nelle aule. Non per moda, ma perché una ricerca, che abbiamo studiato con attenzione, la ritiene importante nella misura in cui favorisce l’approccio all’apprendimento attivo, attraverso il metodo della scoperta, del confronto, del lavoro in gruppi collaborativi.

Attraverso un patto di collaborazione con le famiglie, i contributi volontari versati dai genitori sono stati finalizzati per oltre il 50% all’acquisto di dotazione tecnologica, permettendoci di portare un computer e una LIM in ogni aula, per tre anni.

Ma non era sufficiente, perché per fare le cose sul serio anche gli alunni avrebbero dovuto disporre di un device e non poteva essere l’Istituto ad acquistarlo a tutti i 1200 alunni.

C’era bisogno di generare risparmio per non gravare ulteriormente sulle famiglie e lo abbiamo ricavato dalla diminuzione dei tetti di spesa dei libri testo. Su questo si potrebbe aprire una lunga parentesi: i libri di testo in Italia sono fra i più cari del mondo, non esistono, se non in minima parte, in edizione digitale, seguono un’impostazione manualistica che è obsoleta nei paesi più avanzati. Pensando a come fare abbiamo incontrato l’amico Salvatore Giuliano di Brindisi e condiviso spirito e finalità del progetto Bookinprogress, che ci ha permesso per molte materie l’acquisto di materiali didattici a costi ridottissimi (max 7 € a volume). Per le materie non disponibili nel Bookinprogress non abbiamo fatto adozioni, abbiamo incoraggiato all’acquisto di materiali usati, consentendo l’uso non più di un unico manuale, ma di tante risorse diverse che permettono anche una visione plurale del sapere.

I ragazzi sono abituati a studiare su libri di edizioni e autori diversi e gli insegnanti integrano la loro preparazione con materiali propri che vengono messi a disposizione liberamente sulla piattaforma didattica.

Dalla “rivoluzione tecnologica” all’evoluzione degli spazi il passo è stato naturale e conseguente, in quanto l’apprendimento attivo, lo sviluppo di competenze e la capacità di risolvere problemi, sono favoriti, oltre che dal metodo didattico e dalla tecnologia, anche da ambienti appositamente configurati, sia dal punto di vista della destinazione che degli arredi e delle risorse che integrano al loro interno.

Un team motivato ed affiatato di docenti ha cominciato a studiare i modelli architettonici delle scuole più evolute, scontrandosi naturalmente con la differenza abissale fra l’impostazione architettonica delle scuole svedesi e finlandesi e i limiti posti dai plessi che si avevano a disposizione. Anche qui che fare? Rassegnarsi e restare immobili o provare a cambiare? Abbiamo optato per provarci. L’anno 2012 è stato dedicato ad uno studio di fattibilità per passare dalle aule-classe alle aule-laboratorio, anche attraverso visite e contatti con organizzazioni scolastiche europee ed italiane che adottano questo modello.

Da quest’anno una parte del nostro Istituto – l’indirizzo Liceo Scientifico (ma dal prossimo anno il modello sarà diffuso anche al resto degli indirizzi) ha adottato nuovi modelli di aule laboratorio.

In questi ambienti abbiamo spazi non più dedicati ad un singolo gruppo classe, sempre quello, ma alle discipline che vi si insegnano. Sono aule con nomi di scienziati, artisti, poeti, filosofi, con librerie dove stiamo gradualmente dislocando i testi della vecchia biblioteca centrale dove nessuno andava più, rendendoli consultabili liberamente e disponibili al prestito, aule dove si scrivono formule matematiche e versi di poeti sui muri; alcune di esse hanno banchi di nuova generazione, colorati, leggeri, scomponibili e ricomponibili in configurazioni diverse in base al lavoro che si vuole fare. I banchi non sono tutti così belli e così leggeri, abbiamo anche molte aule con quelli tradizionali, ma non serve avere tutto e subito; cambiare si può, anche con poco, soprattutto interrogandosi su come le cose vecchie possano essere viste con un nuovo sguardo e piegate ad usi nuovi. Le aule laboratorio fanno perdere gradualmente la posizione centrale al docente che trasmette ad un gruppo che ascolta e stimolano invece la costruzione di gruppi di studenti che attivamente costruiscono la conoscenza mediante la discussione, il confronto, la produzione di oggetti più o meno concreti, sotto l’occhio e la guida vigile di un docente regista dell’apprendimento.

Non abbiamo il merito di aver inventato nulla, ma solo quello di avere studiato, creduto nella ricerca didattica internazionale, osservato i modelli di scuole di eccellenza e del MIT di Boston e di averci creduto.

Forse abbiamo il merito dell’umiltà, per aver guardato agli innovatori, ai dirigenti di scuole in Italia che si erano prima di noi incamminati nella via giusta, essere andati a scuola da loro e aver cercato di fare rete, promuovendo scambio e aiuto reciproci.

L’altro merito è di aver compreso che innovare la scuola italiana è questione vitale, che non può più attendere. Non sono sufficienti i piani speciali di finanziamento ministeriali, ma occorre l’applicazione di quel principio di sussidiarietà che è enunciato anche nella Costituzione e che vede la collaborazione tra pubblico e privato come elemento virtuoso. Attendere che la scuola si digitalizzi attraverso interventi dall’alto, per quanto questi rappresentino uno sforzo meritorio e importante da parte del Ministero, espone la scuola italiana al rischio di sviluppare un pericoloso divario tra scuole di serie A, ipertecnologiche e scuole di serie B, che restano indietro perdendo un tempo prezioso che nessuno ridarà più loro.

Al culmine di questo processo, il 25 Ottobre inaugureremo il prototipo di una tipologia di aula che potremmo definire ipertecnologica e massimamente flessibile, destinata ad un modo di fare lezione profondamente diverso da quello a cui siamo abituati oggi, si tratta dell’aula ideale per l’apprendimento attivo assistito e potenziato dalla tecnologia, da tutti i tipi di tecnologia, da quella più tradizionale a quella più innovativa. Per questo tipo di aule è stato coniato il termine “Aule 3.0”, in quanto vanno oltre il concetto di 2.0 che è strettamente collegato alla tecnologia. Il concetto di 3.0 collega la tecnologia all’apprendimento che questa può favorire negli spazi più idonei a promuoverlo in forme che esaltino il ruolo attivo dello studente nella costruzione della sua personale conoscenza.

Il modello non l’abbiamo inventato, perché è importato dal MIT di Boston, dove si chiama TEAL (Technology Enabled Active Learning) e in Italia non siamo i primi ad averne una, anzi, veniamo in coda, dietro l’osservazione di quelli che chiamiamo i nostri maestri, i presidi Salvatore Giuliano, che ne ha già una a Brindisi, Giuseppe Strada a Crema, Cristina Bonaglia a Mantova, Rita Coccia a Perugia, Daniele Barca a Cadeo.

Quello che abbiamo inventato sono piuttosto i modi che abbiamo escogitato per riuscire a costruirle, perché queste aule sono molto costose e molti di noi hanno in comune il fatto di non aver mai beneficiato di finanziamenti speciali dedicati e la scuola italiana è notoriamente povera.

Nel nostro caso ad Ancona il miracolo si è compiuto grazie ad alcune aziende del territorio, Kubedesign e Fala, che hanno creduto nel progetto che abbiamo loro proposto e ci hanno aiutato a realizzarlo.

L’Architetto Roberto Giacomucci ha messo gratuitamente a disposizione la sua grande competenza per progettare l’aula e disegnare in esclusiva gli arredi. Le aziende ci hanno fatto pagare solo il costo dei materiali di realizzazione.

E c’è di più. La nostra aula risponde ad una filosofia green, di basso impatto ambientale. Kubedesign infatti ne ha realizzato in esclusiva gli arredi in cartone riciclato e Fala l’ha sapientemente illuminata con la tecnologia Ultraluce a basso consumo energetico e alto potere illuminante con led prodotti proprio negli stabilimenti di Ancona. Siamo poi stati affiancati da un partner tecnologico di fiducia, attento e scrupoloso, come l’azienda C2 Group, che non pensando solo a fatturare ci ha fornito gratuitamente tutta la consulenza e i suggerimenti che servono alla scuola per poter disporre di tecnologia e strumenti sviluppati ad hoc per il settore educational.

Ieri, nel tardo pomeriggio, abbiamo terminato il montaggio e l’allestimento. Eravamo come un gruppo di bambini o forse un gruppo di amici che ha compiuto un’impresa inimmaginabile. Ci veniva da ridere per la gioia e da piangere per la commozione perché l’aula era bellissima ed era per i nostri ragazzi, non per noi. Un gruppo affiatato di persone motivate ed entusiaste, dal collaboratore scolastico Luca che l’ha seguita e messa in piedi come una sua creatura, ai tecnici Davide e Laura, al vicepreside Paolo, ai docenti che ci hanno creduto. In questo anno tutti hanno dato cuore, testa e passione a questo progetto, lavorando senza risparmio, senza occhio ai mansionari o all’orologio.

E’ una linea in controtendenza rispetto al diffuso disinteresse generale che aleggia intorno alla scuola, lo sappiamo e questo ci sembra il vero miracolo.

P.S. Tutti abbiamo letto il libro di Riccardo Luna Cambiamo tutto! E ci sentiamo molto debitori per l’entusiasmo, la forza e la fiducia che ci ha trasmesso, quindi la creatura è anche un po’ tua. Grazie

Alessandra Rucci

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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