I 3 versanti della neutralità della rete per utenti, provider e OTT

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Nuovi diritti ‘costituzionali’ per gli utenti della Rete. E’ questa la prospettiva avanzata, nelle diverse versioni, inclusa quella italiana, dell’Internet Bill of Rights. La Rete come elemento essenziale di partecipazione sociale nell’era digitale.

Si tratta di una visione che ben si sposa con la nozione di universalità dell’accesso alla Rete – recentemente fatta propria dalla FCC statunitense – e che coinvolge tanto la capacità di accesso fisico alle piattaforme trasmissive quanto la capacità di accesso ai contenuti, inclusa ovviamente la capacità di generare e diffondere i propri contenuti.

La nozione di “neutralità della rete” si riferisce ad un concetto che, nel corso degli ultimi dieci anni, si è evoluto nella letteratura e nel dibattito di policy. Al punto che da più parti si propongono nuove definizioni, anche per superare taluni equivoci che impediscono, spesso, un confronto intellettuale ‘neutro’ ed onesto.

L’origine della questione ha riguardato un complesso insieme di concetti e di suggestioni che si sono focalizzate, innanzitutto, sui rapporti tra utente e accesso alla rete, attraverso la mediazione del fornitore del servizio di accesso. I sostenitori della neutralità di “questo tipo di rete” possono essere accomunati da un principio di fondo: occorre non ostacolare l’accesso alla Rete, per come esso si è evoluto fino ad oggi, vietando forme di discriminazione esplicita o implicita, di prezzo o di qualità.

Vista da questo (primo) versante, il tema della neutralità attiene alla ‘universalità’ del servizio e quindi alla non discriminazione non solo tra utenti in un dato momento storico, ma anche tra lo stesso utente di ieri e di oggi. Come dire che la crescente ‘dipendenza’ dei cittadini dalla Rete non deve tradursi nella pratica di “alzare i prezzi” dei servizi e/o “ridurne”, in caso contrario, “la qualità”, in ragione dell’accresciuta disponibilità a pagare per accedere ai medesimi livelli correnti di un servizio nel frattempo diventato essenziale.

Esistono però almeno tre lati dell’ecosistema rispetto ai quali il tema della ‘non discriminazione’ è stato posto: il rapporto tra utente e provider, il rapporto tra utente e Over the Top, il rapporto tra Provider e Over the Top.

Tre modi di vedere la neutralità della rete

Il primo di questi versanti è quello nel quale si può manifestare la strategia di “consumer paid prioritization” per la quale il provider, ad un certo momento, discrimina la qualità dell’accesso in funzione del prezzo (e il prezzo in funzione della quantità di banda allocata), circostanza che porta al fenomeno dell’ “Internet a diverse velocità”. Una parte del dibattito qui si è divisa tra passato e presente o se si vuole tra offerte base e offerte a valore aggiunto.

In particolare tre posizioni si sono confrontate: quella del divieto totale di discriminazione (ovvero di rivalità nel consumo di capacità e di velocità di fruizione, perché ‘i bit sono uguali per tutti’ come l’aria che respiriamo); quella della non discriminazione rispetto al livello d’uso passato o ad un’offerta base; quella della libertà piena di discriminare sul prezzo in presenza di una crescente scarsità di capacità di banda che imporrebbe un criterio di selezione tra utenti. Come si deve, tre questioni simili, ma con importanti elementi di distinzione.

Un’ulteriore complicazione a questo quadro deriva dalla circostanza che, secondo alcuni, i vincoli al comportamento del provider non dovrebbero essere indipendenti dal grado di concorrenza tra provider. Non a caso, alcune prime indagini antitrust in Europa, negli anni passati, hanno colpito forme di prioritization come casi di abuso (da sfruttamento) di una posizione dominante, legate quindi alla speciale responsabilità dell’incumbent e non (necessariamente) alla fornitura del servizio indipendentemente dalla posizione ricoperta sul mercato.

Un corollario di questa impostazione risiede nel grado di (dis)eguaglianza territoriale nell’accesso a reti broadband da parte dei cittadini. Qui, il digital divide sarebbe la cifra di un democratic divide in quanto l’accesso alla Rete perderebbe le caratteristiche ‘costituzionali’ di universalità per ragioni tecniche e non solo economiche.

Non c’è solo la paid prioritizazion, come sappiamo. Ci sono anche tutta una serie di forme di degradazione della qualità, di rallentamenti, di messa in coda, di strozzature del traffico. Anche queste sono forme di discriminazione latente che non necessariamente si manifestano nei prezzi ma che, a differenza di questi ultimi, sono molto più difficili da monitorare.

I giganti della rete e il consumatore

Un secondo versante riguarda il rapporto Over the Top-utente. Gli Over the Top costituiscono un versante tutt’altro che omogeneo e univoco. Essi vengono definiti più per esclusione, per ciò che non sono rispetto ai tradizionali operatori telco, piuttosto che attraverso chiare caratteristiche. Ciò in quanto essi appartengono al versante più innovativo, di innovazione disruptive e continua, che caratterizza l’ecosistema della Rete. Per quello che qui interessa, possiamo ‘restringere’ (per così dire) il campo agli OTT i cui servizi necessitano di un accesso mediato alla Rete, cioè a quei fornitori di servizi cui l’utente perviene attraverso l’intermediazione di un telco provider. Si tratta quindi di un’analisi che individua layers distinti e condizioni di non integrazione verticale tra connessione alle reti e accesso ai servizi offerti nella Rete.

I ‘consumatori’ di servizi OTT sono generalmente utenti che, semplicemente, fruiscono della Rete, visitano siti, a volte acquistano prodotti, caricano i propri contenuti, partecipano a social network e così via. Nella maggior parte dei casi lo fanno gratuitamente, senza pagare un prezzo up front. Il prezzo implicito – come già nel free broadcasting – è il prezzo (nullo) al quale l’utente ‘vende’ il tempo di fruizione, l’attenzione. Ma con una rilevante distinzione rispetto al free broadcasting: la scia della navigazione lascia dietro di sé dati, profilazioni, tracciature che creano valore per coloro che raccolgono, in via esclusiva questi dati.

Più libera e profonda è la navigazione nella Rete, comprensiva dei tanti contenuti che produciamo e ‘carichiamo’ in essa, maggiore è il valore catturato da altri per il tramite dei dati che contribuiamo a generare. Dati che riguardano noi stessi, che sono il frutto della nostra libertà di espressione ma la cui proprietà è separata da quella libertà. E’ questo lo scambio implicito, il ‘contratto’, che si realizza sulla rete tra utente e OTT: libertà in cambio di proprietà. Non c’è dunque da meravigliarsi se il prezzo è spesso pari a zero: il prodotto siamo noi.

D’altra parte, questo scambio implicito genera grandi possibilità di accesso a informazioni altrimenti disperse, produce effettivamente una conoscenza comune e globale, della cui qualità e del cui destino siamo responsabili come fruitori. Il paradigma è quello del free marketplace of ideas che è al tempo stesso il risultato e l’origine della nostra libertà di espressione. I vantaggi sono indubbi. In pochi minuti si possono trovare contenuti altrimenti indisponibili se non attraverso costi economici (di tempo e di denaro) altissimi e a volte proibitivi.

Secondo alcuni questo ‘nuovo mondo’ è tuttavia esposto al rischio di nuove forme di dominanza che si manifesterebbero su ‘mercati’ globali, attraverso forme da un lato di standardizzazioni non più disciplinabili dalla concorrenza e dall’altro attraverso il monopolio dei dati. Se è vero che nessun pasto è gratis, alcuni si pongono la domanda di quale sarà il prezzo di questa libertà e se non si debba affrontare il tema di una neutralità della rete anche dal lato dell’accesso concorrenziale ai dati, degli algoritmi che governano le interazioni, dei limiti alla profilazione, della personalizzazione delle interfacce e così via.

C’è anche chi, rimettendo al centro l’utente, pone il tema – che rappresenta un superamento del ‘vecchio’ standard della privacy – dell’appropriabilità e della portabilità del dato profilato, ovvero della capacità dell’utente di recuperare un proprio potere contrattuale nei confronti tanto del provider quanto dell’OTT, partecipando – magari ricevendo bitcoin – alla redditività generata dalla propria partecipazione alla Rete. Si tratta di un tema che, fino ad oggi, è quasi del tutto mancato nel dibattito sulla net neutrality.

Il punto che emerge, dunque, è che – dal punto di vista economico – c’è spazio anche per una discussione circa la ‘neutralità’ nei rapporti tra OTT e utente (e per le forme implicite di discriminazione) e non solo nei rapporti tra quest’ultimo e il provider. Questa discussione è oggi ancora allo stato primordiale perché ‘nascosta’ nella strategia di zero pricing pagato (d)all’utente e dalla mancata esplicitazione del costo opportunità sostenuto dall’utente (in tema di profilazione e cessione gratuita del dato e così via).

Il terzo versante della net-neutrality

Resta un altro versante da analizzare, quello del rapporto contrattuale tra OTT e provider. Due temi rilevano in questo caso: l’ipotesi che l’OTT possa pagare il provider per rendere più veloce l’accesso ai propri servizi (third party paid prioritization) e l’ipotesi che l’OTT possa chiudere accordi di zero rating con il provider attraverso i quali l’OTT raggiunge l’utente finale senza che quest’ultimo debba pagare al provider il traffico ‘speso’ per fruire dei servizi dell’OTT.

Il caso del third party paid prioritization è speculare a quello del consumer paid prioritization, ma a differenza di quest’ultimo (dove è il consumatore che paga per una capacità sufficiente a fruire di determinati servizi OTT rispetto ad altri utenti connessi al medesimo provider) qui è l’OTT che paga per essere avvantaggiato rispetto ad altri OTT nel connettersi all’utente finale. Il vantaggio di questo meccanismo è che il carico economico della prioritization non è posto al carico dell’utente finale; lo svantaggio è che, con esso, può venir meno un altro tipo di ‘neutralità’ in quanto alcuni OTT – quelli che fissano accordi con il provider – risultano avvantaggiati rispetto ad altri e ciò potrebbe creare effetti distorsivi nel versante di mercato degli OTT.

Il caso del cosiddetto zero rating, in quanto sganciato da third party paid prioritization, dovrebbe in apparenza risolvere il problema di strade privilegiate per alcuni OTT rispetto ad altri e, di fatto, finirebbe per generare benefici per l’utente finale, il quale non pagherebbe per l’extra traffico generato dall’accesso ad alcuni OTT. D’altra parte non avverebbe alcuna transazione economica (perlomeno con prezzo esplicito) nemmeno tra OTT e provider.

Nel caso dello zero rating c’è tuttavia chi ha posto la stessa domanda avanzata a proposito del zero pricing dell’utente finale e cioè “chi paga” per il pasto gratuito? In altri termini, alcuni osservatori si sono chiesti se la pratica di zero rating per quanto diversa dal third party paid prioritization sia davvero neutrale o non possa generare forme di discriminazione in altro versante, in questo caso tra OTT? E per evitare questo rischio è sufficiente assicurarsi che il provider non concluda accordi di esclusiva con alcuni OTT, oppure occorre verificare che il provider non discrimini tra OTT che vogliano offrire analoghi accordi di zero rating per servizi analoghi? Per alcuni osservatori queste misure non sono sufficienti e le pratiche di zero rating andrebbero perciò vietate del tutto anche se non comportano forme di prioritization.

Il punto che emerge oggi nel dibattito, rispetto agli anni passati, è la consapevolezza che la neutralità della rete riguarda le relazioni che avvengono in ciascun versante e tra i versanti stessi. Magari la ‘neutralità’ in un versante genera esternalità in altri, relazioni di potere economico, barriere all’entrata e così via. L’approccio che allora va seguito è quello di non basarsi su relazioni bilaterali, ma percepire la ‘questione della rete’ come una transazione (nel senso definito a suo tempo dal premio Nobel Oliver Williamson): un rapporto complesso tra utenti, provider e OTT. L’approccio transazionale aggiunge al contesto dei multi-sided markets la consapevolezza che la regolazione deve essere complessiva e puntare a disciplinare l’emersione di relazioni di potere economico nella transazione complessiva, tutelando le garanzie di accesso al mercato e alla rete e incentivando concorrenza e innovazione.

E quindi?

In conclusione, la questione della neutralità della Rete nata in prevalenza sull’analisi del versante utente-provider è in realtà assai più complessa e riguarda i tre versanti sopra richiamati. Il problema che si pone è che la regolazione di un versante ha effetti di adattamento sugli altri due.

Occorre, allora, prima di disegnare le regole (inclusa l’assenza di regole), comprendere fino in fondo le relazioni di interdipendenza che possono manifestarsi ai diversi livelli e gli scenari di sviluppo ad esse associati. Solo in questo modo potremmo assicurare un sistema di governance che garantisca una rete aperta, concorrenziale e accessibile.

ANTONIO NICITA*

*Commissario dell’Autorità Nazionale per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom)

Nota: il testo è un estratto dell’e-book: #questianni. domande digitali in cerca di regole.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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