Gli innovatori sociali? Possono imparare dall’opera di San Benedetto

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Circa un anno fa alcune persone vicine a Edgeryders e a me si sono inventate una cosa chiamata unMonastery. L’idea si è sviluppata nel prototipo di un progetto davvero radicale: più o meno costruire un’istituzione per annidare competenze globali in una comunità locale e aggredirne i problemi sociali, e farlo in modo che duri almeno un paio di secoli. La sostenibilità del progetto non è affidata a un modello di business (improbabile che un modello di business possa durare così tanto), ma a una specie di simbiosi tra l’unMonastery e la città che lo ospita. Incredibilmente, quest’idea è divenuta realtà: puoi diventare unMonasterian anche subito.

Questo viaggio mi ha portato a esplorare le origini del monachesimo in occidente alla ricerca di storie interessanti e ispirazione – anche i non credenti possono ispirarsi alle vite dei santi! Mi sono concentrato su San Benedetto, considerato da molti come il fondatore del monachesimo occidentale.

In effetti, la sua vita e i suoi tempi sono una miniera di buoni consigli per chiunque voglia fondare un unMonastery (e forse anche un hackerspace). Basta uno sguardo per capire che:

  1. Benedetto ha un metodo evidence-based. Fa esperimenti e ne accetta i risultati. Non è arroccato nelle proprie convinzioni, e sembra lontanissimo da uno stile burocratico in ciò che oggi chiameremmo management: al contrario il suo stile di leadership è adattivo. Secondo san Gregorio, prima prova a vivere in una grotta, da eremita; poi accetta di diventare l’abate di un monastero vicino, ma senza successo (“l’esperimento fallì: i monaci tentarono di avvelenarlo” – fonte). Più tardi fonda il suo primo monastero a Subiaco, frammentando la comunità di monaci in dodici mini-monasteri indipendenti con dodici monaci ciascuno; ancora più tardi, organizza il monastero di Monte Cassino su principi completamente diversi, con tutti i monaci sotto lo stesso tetto.

    Gli unMonasterians moderni, e gli innovatori sociali in genere, hanno molto da imparare dalla sua euristica prova-fallisci-correggi-riprova.

  2. Benedetto valorizza e dà priorità all’azione sulle dispute sterili. Ora et labora, prega e lavora, è il suo precetto. Il lavoro è, per lui, il solo sentiero che conduca a una vita buona e ricca di senso; qualunque altra strada è interrotta da tentazione e irrequietudine. Quando i suoi seguaci si trovano nel dubbio, vengono forniti di attrezzi, gli viene mostrato un prato da falciare o un albero da abbattere e gli viene detto di darsi da fare. La gente capace e solida non si mette in cammino per Cambiare Il Mondo: sarebbe una posizione arrogante, certamente ispirata dal diavolo (sto guardando te, Silicon Valley).

    Dio può abbattere l’opera dell’uomo in qualunque momento, colpendo il pianeta Terra con una cometa o qualcosa del genere; la squadra di Benedetto lo sa, e quindi lavora per il piacere e il significato intrinseco di costruire cose buone, belle e intelligenti. Questa strategia, al capo di vari secoli, ha finito per dare ai benedettini (e al mondo occidentale) una rete globale di monasteri come centri di produzione, guarigione, sapienza e ospitalità; i monaci sono arrivati ad essere concepiti come l’incarnazione dell’ideale cristiano. Oggi, unMonasterians e innovatori sociali lavorano non perché credano davvero che il loro lavoro possa ricacciare indietro l’apocalisse, ma perché è la cosa giusta da fare. E non si sa mai, potremmo perfino vincere.

  3. Benedetto costruisce protocolli. Durante la permanenza a Monte Cassino scrive la Regola, un manuale utente per le persone che vogliono vivere insieme in un monastero. La Regola è un documento straordinario, che gli unMonasterians (soprattutto quelli che fondano nuovi insediamenti) farebbero bene a studiare a fondo. Se hai qualche esperienza con le comunità online, troverai la Regola stranamente familiare: ha ruoli con livelli diversi di accesso e autorizzazione (abate, cellario, confratello); una moderation policy per prevenire conflitti che potrebbero distrarre i monaci dal compiere il lavoro di Dio (e il loro); un’idea molto moderna dei vertici della gerarchia come servizio alla base dei monaci ordinari, e non come loro colonnelli. La cosa più importante è che la Regola non specifica obiettivi e le attività che servono per conseguirli: non dice mai “costruite una biblioteca e uno scriptorium e cominciate a copiare manoscritti, in modo da conservare il sapere quando l’Impero Romano crollerà”, o “costruite spazio extra per ospitare i viandanti, visto che l’Alto Medio Evo non ha abbastanza locande”. Eppure, i monasteri benedettini hanno finito per fare quelle cose e altre ancora: seguire la Regola può risultare in molte attività, tutte benefiche dal punto di vista di Benedetto e del suo gruppo. Per la maggior parte, queste sarebbero state del tutto impossibili da prevedere per Benedetto stesso. Ma questo si spiega: poiché è un documento di istruzioni da eseguire, la Regola è software; poiché non svolge un compito specifico, ma abilita un insieme di esiti coerenti gli uni con gli altri, non è un’app. La Regola è un protocollo. E quale protocollo! Si è diffuso su tutto il mondo conosciuto; ha trasformato l’Europa medievale (e si può sostenere che l’abbia cambiata in meglio); è ancora in uso dopo quindici secoli; e si è diffusa oltre la chiesa cattolica (viene usata anche in contesti ortodossi e perfino luterani). Non mi vengono in mente molti altri protocolli che abbiano ottenutio questi risultati. Benedetto è un candidato forte per il titolo di Ninja Protocol Hacker Supremo di tutti i tempi.
  4. Benedetto decentralizza. Coerentemente con la natura di protocollo della Regola (e probabilmente della sua mentalità da hacker esperto in protocolli), Benedetto non fonda un ordine. I benedettini non sono un ordine in senso stretto: ciascun monastero è un’istituzione sovrana, senza una gerarchia a collegarlo agli altri monasteri. La Regola funziona come un protocollo di comunicazione tra un monastero e l’altro. Risultato: molti tipi di abbazia benedettina sono evoluti nel corso dei secoli (per esempio i Camaldolesi) per mutazione e selzione naturale. Questo è esplicitamente abilitato dalla Regola, che si dichiara “solo un inizio” nel suo capitolo finale, più o meno come TCP/IP è “solo un inizio” per applicazioni come lo streaming video. La mutazione non è sempre arrivata alla speciazione, e la maggior parte delle abbazie benedettine si sono federate in modo abbastanza lasco in congregazioni nazionali o sovranazionali a partire dall’inizio del XIV secolo; per questo, Papa Leone XIII è stato in grado di montare una Confederazione benedettina presieduta da un Abate Generale senza che le differenze tra monasteri risultassero imgestibili. Questo succede nel 1893 – oltre milletrecento anni dopo la scrittura della Regola!
  5. Benedetto evita i conflitti sterili – e così diventa virale. La mia ricerca su questo è stata dilettantistica – letteralmente il lavoro di un giorno – ma non sono riuscito a trovare tracce di lotte di potere tra il nascente movimento monastico del sesto secolo e la gerarchia ecclesiastica. Invece di scendere nell’arena della politica vaticana, Benedetto sembra concentrarsi nel fare funzionare Monte Cassino e distribuire copie della Regola a chiunque ne volesse una. Risultato: sempre più persone adottano la Regola per i propri progetti di impiantare monasteri. In questo modo, nessuno doveva perdere tempo a negoziare chi sarebbe entrato nell’ordine di chi, chi sarebbe stato Abate Generale e chi abate semplice e roba del genere. La Regola era (ed è ancora) ottimo, solido software open source. La gente ne “scaricava” una copia di Monte Cassino o da un altro monastero che ne avesse il manoscritto e la usava come credeva. La gente che la usava aveva più probabilità di successo nel fondare e gestire un monastero della gente che non la usava; e così, al tempo di Carlo Magno, l’intera Europa era infrastrutturata da monasteri di successo basati sulla Regola. Al contrario di ciò che accade, per esempioi, con i francescani, non c’è bisogno di fare politica per ottenere che la gerarchia vaticana accetti il nuovo movimento. Anzi, Papa Gregorio I Magno (ottiene la promozione nel 590, appena 50 anni dopo la morte di Benedetto) viene egli stesso da un’esperienza di monaco, e sostiene senza reticenze il monachesimo (spesso è chiamato il co-fondatore del monachesimo occidentale). Questo pattern di adozione dovrebbe suonare familiare ai findatori di progetti open source più vicini a noi, come Linus Torvalds (di Linux) e Jimmy Wales (di Wikipedia).

Sì, c’è qualcosa nello studio delle vite dei santi, dopo tutto. Gli unMonasterians (e non solo) farebbero bene a dedicare una congrua quantità di tempo a studiare l’approccio benedettino come protocollo per avere impatto nell’innovazione sociale. Questo significa studiare almeno tre cose: il software, cioè la Regola; l’hardware, cioè l’organizzazione dello spazio fisico nei monasteri (per esempio, le celle singole per i monaci sono una parte del protocollo che governa la vita monastica che è incorporata in mura di pietra anziché nella Regola), e la storia di come hardware e software hanno interagito per guidare il percorso del movimento monastico. Per secoli, la chiesa ha avuto la sua agiografia (letteratura sulle vite dei santi) come guida per l’ispirazione, e può essere che anche i non-monaci trovino guida e conforto nella loro non-agiografia. Sono curioso di esplorare questo percorso, e capire dove porta.

ALBERTO COTTICA

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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