Ecco perché il futuro della vostra azienda dipende solo da voi (e una guida per la trasformazione digitale)

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Negli ultimi tempi mi succede sempre più spesso di trovarmi in una situazione piuttosto specifica: nella mia professione di esperto (sic!) e consulente – o coach, se preferite – mi capita spesso di incontrare i rappresentanti, che siano essi fondatori, manager o lavoratori di aziende di ogni dimensione (soprattutto medie e grandi aziende) e di avere la possibilità di esporre loro cosa significa e qual è l’impatto che la, ormai sulla bocca di tutti, trasformazione digitale sta avendo e avrà sulla loro realtà, sul loro mercato e sul mondo in generale.

Credits: mc.capgemini.de

Quello che succede talvolta è che questi meeting, spesso pianificati per un’ora o meno, finiscono per durare ore; tipicamente il tutto comincia con un mio lungo riassunto, una spiegazione piuttosto dettagliata prima dei quatto o cinque macro trend di cui tutti dovrebbero essere a conoscenza e poi dei modelli (di Systems Thinking) di descrizione dell’innovazione che meglio si prestano a descrivere gli effetti di questo incontrollabile trend della trasformazione digitale.

Tipicamente il tutto finisce con i miei interlocutori persi in un silenzio di riflessione, con tante di quelle domande sulle labbra e una vena di sensazione di impotenza e di preoccupazione, spesso con la certezza più che l’impressione, di non essere in grado di muovere un solo passo per andare dallo status quo verso quel futuro già presente che sembra scritto e che sembra vedere altri come protagonisti.

Quello che vorrei fare in questo pezzo è proprio spiegare è che non è così e che se non muoverete un passo sarà solo per colpa vostra

Da dove si parte? Iniziate dalla mappa

Come in ogni viaggio che si rispetti, prima di partire occorre una mappa. Mappare (brutta ma efficiente parola) è oggi, in un presente così turbolento e vario, un potente mezzo per aumentare la vostra comprensione dei fenomeni ed è una pratica sostanzialmente fondamentale.

Anche se il punto di vista sul mondo può cambiare tra azienda e azienda, è importante evidenziare che esistono un buon numero di trend oggi che sono comuni a tutti i mercati. Innanzitutto esistono alcuni trend che riguardano la società in generale e di solito io ne individuo alcuni, fondamentali, legati alla maggiore maggiore accessibilità della tecnologia: sempre più pervasiva (il black mirror che ognuno di noi ha in tasca), sempre più modulare e aperta (col cloud e l’open source), sempre più connessa (con l’internet NELLE cose – come dice il mio amico Claudio, più che DELLE cose) e sempre più legata al mondo della produzione reale.

L’automazione sta raggiungendo nuovi livelli (curiosi di sapere qualcosa di più delle potenzialità dell’Intelligenza Artificiale? Leggete qui) e la fabbricazione digitale ci regala sempre nuovi approcci e macchine con sempre maggiori potenzialità nella nuova manifattura, a costi sempre minori.

In seconda battuta faccio sempre riferimento ad almeno tre trend che riguardano maggiormente la sfera “sociale”, il primo dei quali è senz’altro la grande consapevolezza del cambiamento climatico in atto, e attendiamo decisioni importanti dalla conferenza internazionale sul clima di Parigi. Il secondo fortissimo trend è quello dell’“urbanizzazione” che secondo i dati dell’ UN World Urbanization Prospects vede 1.5 milioni di persone ogni settimana andare ad alimentare le mega-città, sempre più epicentro dello sviluppo. Infine il tema generazionale, oggi al centro del dibattito tanto che non solo entità particolarmente sensibili al tema come OuiShare si occupano della questione (con il report Sharevolution, pubblicato di recente, disponibile anche in inglese) ma anche giganti dell’economia tradizionale come Goldman Sachs (che ha recentemente rilasciato uno splendido report sulle abitudini di consumo dei “millennials”) lo indicano come momento chiave.

Dopo aver mappato i mega-trend sarà per voi ora di capire come mappare i mercati e le dinamiche degli stessi e la vostra attuale posizione.

Per fare questo consiglio sempre due modelli chiave: il modello di evoluzione delle attività umane di Simon Wardley, che vi aiuterà a capire lo stadio evolutivo in cui sono i vostri prodotti e servizi e se potete ancora pensare di farci qualche soldo, e lo splendido e molto comprensibile modello a tre livelli che Deloitte ha egregiamente introdotto lo scorso anno in questo bellissimo pezzo. Ho avuto modo di presentare entrambi i modelli in dettaglio in passato e vi rimando alla lettura di questi pezzi e questo per maggiore chiarezza.

Può risultare particolarmente utile, soprattutto per chi di voi è occupato nel fornire servizi al mercato, fare lo stesso esercizio non sul vostro mercato di riferimento, ma su quello dei vostri clienti ai quali,come a voi,è richiesto oggi un enorme sforzo trasformativo che potete aiutarli a intraprendere.

In ultima analisi una condizione che un po’ riunisce gli effetti di questi macro-trend è quello della post-industrializzazione. Si passa infatti oggi, gradualmente e con enormi differenze tra diverse industrie, da una prospettiva industriale, di mercato lineare, dove l’azienda (il capitale) possiede i mezzi di produzione e i lavoratori accedono a essi e producono allo scopo di porre prodotti e servizi sul mercato, a una prospettiva post-industriale di mercato-società reticolare, in cui i mezzi di produzione sono dispersi nella società e accessibili a tutti e dove le aziende hanno il principale obiettivo di connettere domanda e offerta e facilitare il cittadino produttore. Anche di questo abbiamo parlato citando vari studi (tra cui Gafanomics di FaberNovel e lo studio di Deloitte con Open Matters) in un pezzo, già segnalato in precedenza, di qualche settimana fa che vi invito a rileggere.

Cosa fare poi?

Una volta compreso meglio dove siamo – o meglio come spesso dico io, quando siamo – sono due i passaggi fondamentali da fare prima di scoraggiarsi di fronte all’entità del cambiamento che probabilmente sarà necessario.

Prima di tutto, la vostra organizzazione dovrà acquisire dei nuovi elementi di base da inserire nella cultura aziendale.

Si tratterà di certo di studiare, “do your homework” come dicono gli americani: ma di che compiti e di che competenze si tratta?Oggi quando ci si approccia a ogni tema, e in particolare all’innovazione, non c’è modo di scampare dall’apprendimento di elementi condivisi e dibattuti che,di fatto,rappresentano un corpo di esperienze e conoscenze troppo utilizzato e consolidato per essere trascurati. Un po’ come l’utilizzo del Business Model Canvas è diventato uno standard nella modellazione dei Business Model (tanto da avermi spinto a farne una piccola modifica per la progettazione delle piattaforme), altre competenze chiave sono “lo standard” quando si tratta di innovare prodotti, servizi e organizzazioni.

Dovrete affacciarvi al corpo di conoscenze che costituiscono la base del pensare “Lean”.

Di solito consiglio sempre di partire dal, molto accessibile, “The Lean Startup” (tradotto in italiano con l’infelice “Partire leggeri”) e poi approfondire passando a “The Four Steps to The Epiphany”, testo seminale della cultura start-up californiana, ma soprattutto bibbia degli imprenditori frugali e efficaci. Il testo di Steve Blank fornisce una guida per il cosiddetto processo di “Customer Development” chewikipedia definisce efficacemente come:

“Un approccio scientifico che può essere applicato da start-up e imprenditori per migliorare il loro prodotti attraverso una migliore comprensione dei loro utenti/consumatori […] un equilibrato rapporto tra lo sviluppo di un prodotto e comprensione del cliente”.

Per chi non avesse le energie per affrontare quello che, al contrario di Lean Startup,è un tomo di una certa complessità (non ne esiste peraltro traduzione italiana) c’è questa bella presentazione (del 2008) dello stesso Blank e anche un vero e proprio “bignami”: “The Entrepreneur’s Guide to Customer Development”.

E poi approcciate il tema, complesso e molto dibattuto, della gestione agile.

Il movimento per la gestione Agile, che ho avuto modo di richiamare più volte su questo blog, è ormai piuttosto maturo: nato nel 2001 con il Manifesto Agile, l’approccio è ormai quasi universalmente adottato nel campo dello sviluppo software. Metodologie come Scrum,una delle incarnazioni principali dei principi del manifesto, hanno acquisito sul campo un’adozione così importante che ormai sappiamo molto dei limiti e delle potenzialità di questi stessi principi. Negli ultimi anni grazie al lavoro della Scrum Alliance e di qualche pioniere come Joe Justice e la sua Wikispeed, l’approccio agile è stato utilizzato sempre di più anche in contesti non centrati sul software. Oggi ci troviamo, proprio per citare Scrum Alliance, con “un framework agile per […] progetti complessi, […] originariamente formalizzato per progetti di sviluppo software, ma che funziona bene per qualsiasi progetto di portata innovativa”. Proprio su Scrum Alliance e altri siti potrete trovare le storie di chi ha portato avanti esperienze e tentativi di usare questi approcci nelle industrie più varie.

Imparate inoltre a dare al lavoro di gruppo e alla co-creazione un’importanza tale da rendere queste pratiche la vostra scelta primaria quando si tratta di identificare strategie e prendere decisioni.

Un buon punto di partenza per capire cosa significa co-creare sul posto di lavoro può essere trovato nel fondamentale GameStorming di Dave Gray. Quelli di voi che a questo punto saranno già disperati per l’ennesimo libro da leggere, potranno fare riferimento a una validissima alternativa: gamestorming è infatti anche un portale web dove trovare le descrizioni di decine di “business innovation games” e metodologie di co-creazione da usare come mattoni nel costruire i vostri workshop e le vostre sessioni di lavoro partecipativo.

Credits: phase2technology.com

Non solo. Di certo non potrete fare a meno di qualche fondamento di Design Thinking e, specialmente se operate nel settore dei servizi, di quello che è universalmente conosciuto come “Service Design”. Anche qui, esistono online numerose risorse che possono servire il vostro istinto di curioso e sperimentatore,come questi Service Design Tools,e anche testi di riferimento come il molto usato This is Service Design Thinking. Se poi volete sporcarvi le mani e provare a capire di cosa si tratta lavorando con designer volontari, e se siete così fortunati da averne una vicino casa vostra, potrete partecipare alla prossima Global Service Jam del 2015 o magari alla più vicina GovJam di Giugno: sarà un modo semplice di entrare in contatto con una cultura di design che, con tutta probabilità, cambierà radicalmente il vostro modo di guardare alla progettazione.

Questo approccio vi sarà molto utile: aumenterà la vostra capacità di progettazione multi-canale, la vostra capacità di comprendere veramente fabbisogni e obiettivi dei clienti e, in ultima analisi, vi aiuterà a progettare servizi più sensati, apprezzati e usati.

Dunque le informazioni ci sono, ci sono i link, le storie da cui imparare e i testi di riferimento: quando cominciate a sperimentare?

Un buon consiglio per iniziare, quando si sperimenteranno nuove metodologie di gestione e progettazione è di farlo in un progetto, un contesto e poi espandere queste esperienze,sulla base del feedback e delle lezioni apprese nel testarle, alla più sfidante dimensione della totalità dell’organizzazione.

Credits: markskilton.com

Oltre la cultura aziendale verso il ripensamento organizzativo

In un bellissimo recente pezzo di Derrick Bradley intitolato “Rendere lo Scopo applicabile”, egli spiega come a volte nelle organizzazioni ci sia scarsa chiarezza su quale sia lo scopo del lavoro e quale sia quello che guida le attività dei team e dei singoli. Secondo Bradley, lo scopo (il “purpose”) perfetto in un’organizzazione dovrà essere:

  • Durevole. Tale da coinvolgere un team senza limiti temporali.
  • Frattale. Tale da poter essere decompresso e personalizzato a ogni livello organizzativo e per ogni team.
  • Orientato a favorire le decisioni. Per consentire ai team di prendere decisioni in base al loro scopo.
  • Onesto. Tale da mantenere l’ethos dell’organizzazione.

Se ripensiamo la missione della nostra organizzazione in questo modo, essa sarà maggiormente pronta ai cambiamenti organizzativi di cui, il già citato su questo blog, Frederic Laloux indica i principi base in autogestione e stigmergia, completezza e missione evolutiva (qualche dettaglio in più qui).

Esistono senz’altro modelli di base da cui partire per ripensare l’organizzazione: tra i più utilizzati Holacracy, recentemente adottata dal gigante dell’e-commerce Zappos, tra più innovativi (vincitore del premio MixPrize) Liquido (TM), rilasciato in licenza Creative Commons da Cocoon Projects. L’approccio consigliabile credo, dal mio piccolo osservatorio, in un contesto così ancora sperimentale, è quello di prendere ispirazione dai modelli esistenti e costruire il proprio partendo come detto da un contesto specifico (un progetto, uno stream di attività) espandendolo in seguito e costruendolo sulla base dei feedback, in modo tale da creare un metodo specifico, adatto all’ambiente aziendale.

Non si tratta di scrivere nuove regole, piuttosto di dimenticarne qualcuna

Come scriveva qualche giorno fa Domenico Nicolò citando il filosofo Austriaco Feyerabend, “le invenzioni e le scoperte scientifiche sono spesso precedute da violazioni intenzionali o accidentali delle regole comunemente accettate” .In un certo senso leggendo, solo qualche giorno dopo, questa splendida intervista a Peter Thiel ho ritrovato nelle parole dell’autore e imprenditore americano simbolo della Silicon Valley alcuni riflessi dell’anarchismo che proprio Nicolò avocava per l’innovazione e lo sviluppo dell’impresa. Quando Thiel dice – “non sono d’accordo con la visione del futuro in cui tutto ciò che dobbiamo fare è sederci, mangiare popcorn, e guardare il film del futuro svolgersi” – quello che dobbiamo leggere in queste parole è un’esortazione a non dare nulla per acquisito, a pensare che un solo nostro gesto,magari un gesto creativo e rivoluzionario,può cambiare tutto, incluso il futuro della nostra azienda, comunità , organizzazione e, in fin dei conti, dell’intera umanità.

Da un altro punto di vista tuttavia, questa fusione tra l’atto creativo, la ricerca dello scopo e l’espressione personale vivrà sempre una frizione con l’esigenza di creare qualcosa che il mercato possa volere: qualcosa che, a modo suo, rientri negli schemi. La riflessione che dovrebbe dunque sempre accompagnarci quando, con la consapevolezza del cambiamento oggi in atto, contribuiamo le nostre energie all’impresa e al mercato è che le cose si possono, sempre, fare diversamente,stravolgendo le regole.

Credits: Lee Bryant (slideshare.net)

Qualche anno fa, Zadie Smith, proprio a Roma, durante il festival della Letteratura disse che: “Al cuore della creatività si trova un rifiuto. Perché un’opera veramente creativa evita sempre di vedere il mondo come lo vedono gli altri, o come viene generalmente descritto. Rifiuta le opinioni convenzionali e generiche: “rinnova”. […] E se la cosa più creativa da fare in questo momento fosse dunque rifiutare? Dimostrarci scontenti di introdurre le nostre energie nel meccanismo ben oliato dell’ordine attuale? Immaginare un mondo diverso appare oggi come un dovere creativo”.

Che siate un singolo, un individuo, un team o un’organizzazione complessa non limitatevi a guardare il futuro accadere, piuttosto, decidete di farne parte.

SIMONE CICERO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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