Donne con più di 50 sfumature

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Anche questa volta voglio fare delle riflessioni insieme a voi. Ormai ci ho preso il vizio. Dovete sapere che mi sono avvicinata al mondo dell’editoria. Ho scritto un libro. L’ho fatto perché volevo portare la testimonianza di una donna italiana che, nonostante tutto, è riuscita ad affermarsi a livello internazionale in campo scientifico. E poi c’erano delle cose che volevo dire, sul merito, sul talento, sulla ricerca e soprattutto sulle donne. Ho cercato di lanciare un grido di speranza per tante donne italiane, nonostante le salite durissime e le sberle che ti aspettano. Credo nel talento femminile e penso che un paese che non lo sfrutta pagherà un conto salato.

L’ultima volta ci siamo lasciati con Anne Marie Slaughter ed il suo dilemma.

Donne-carriera- fatica- rinunce. Lei, è diventata famosa sostanzialmente per lo sfogo su The Atlantic nel quale racconta che ha dovuto lasciare il suo lavoro nello staff di Hilary Clinton, per riprendere il suo lavoro precedente di professoressa all’Università di Princeton. Sceglie di seguire i suoi figli adolescenti e dice “noi donne non possiamo avere tutto” ovvero essere madre implica delle rinunce che ti penalizzano la carriera. Volevo stare a Washington nella stanza dei bottoni e ho dovuto ripiegare su Princeton.

Da allora ad oggi si è parlato tanto del fenomeno editoriale dell’anno: la trilogia delle 50 sfumature. Ben 400mila copie vendute in Italia e ben 31 milioni in tutto il mondo. 31 milioni. Ora vi snocciolo qualche numero. Il mio editore mi ha detto, senza troppi rigiri di parole: cara Ilaria, del tuo libro, per adesso ne stampiamo 2000 copie.

Se ne vende 4000 sarà un grande successo, con 8000 un fenomeno editoriale. Buono a sapersi.

Dato che sono una persona curiosa, mi faccio prestare dalla mia amica Milena il primo volume della trilogia (50 sfumature di grigio) per leggerlo. Ma che ci avrà questo libro che ha stregato milioni di lettori (sì, lo leggono anche gli uomini), ma soprattutto donne di tutte le età? Lo ammetto, sono arrivata al primo amplesso, poi a pagina 120 l’ho mollato. A mio parere, non c’è sostanza da 31 milioni di copie. Non capisco proprio cosa ci sia di così magnetico in quelle pagine. La componente soft-porn? Se la risposta è questa c’è bisogno di un esercito di sessuologi per salvare il mondo.

Ci deve essere dell’altro.

Certo, potrete rinfacciarmi il fatto di non essere arrivata neppure a metà del primo volume della trilogia. È vero, non ce l’ho fatta. Però volevo capire e allora ma mi sono fatta un’idea sulla trama completa leggendo qua e là sul Web. Uno dei riassunti più efficaci e taglienti è senz’altro quello raccontato sul blog di Domitilla Ferrari. Asciutto finché vuoi, ma almeno va dritto al punto. E il succo di tutta la storia è proprio questo: le 50 sfumature sono l’antitesi totale dell’idea di indipendenza femminile. L’asse portante della trilogia è quella dell’amore che cura tutti i mali specialmente con l’ausilio della crocerossina che è in noi.

E ora vengo al punto. Se il sogno di tutte noi è quello di identificarsi nella protagonista – ragazza sprovveduta e svampita che trova il principe azzurro con qualche turba, che però si trasforma nell’uomo possessivo che le compra azienda in cui lei sogna di lavorare (lui licenzia pure il capo di lei, visto che lei non ci va d’accordo) ma che poi grazie all’amore si risolve tutto, turbe sessuali comprese – allora va bene, il fenomeno editoriale ci sta tutto.

Ho una domanda per voi: perché negli ultimi anni sono spuntati così tanti eventi incentrati sulla Womanomics, l’economia a partecipazione femminile? Ha davvero senso raccontare alle donne e agli uomini che un altro mondo è possibile? Il prossimo 23 novembre sarò a Venezia per partecipare a uno di quegli incontri sulla Womanomics di cui sopra: Crescita Economica e diversità di genere. A Ca’ Foscari ci saranno donne italiane e straniere pronte a scardinare i luoghi comuni e a mostrare una strada diversa. Ma se questa strada non è interessante, non è accattivante e soprattutto non è desiderata, è inutile che ci impegniamo per dare messaggi di speranza e di cambiamento. Se non ci sono orecchie per ascoltare una musica diversa è inutile comporla e suonarla. Non bastano i solisti, ci vuole l’orchestra ed il pubblico per far vibrare gli animi.

Se il desiderio di cambiare non c’è perché la stragrande maggioranza di noi desidera una vita sostanzialmente vissuta a gestire un rapporto amoroso condito da un uomo dominatore, è meglio che ci risparmiamo le critiche, la fatica della gestione dei problemi complessi e le salite durissime e ce ne stiamo casa a leggere un bel libro.

Venezia, 13 ottobre 2012ILARIA CAPUA

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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