Copyright e scienza, cosa cambierà con l’Open Access

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Mi inserisco nella discussione sul copyright introducendo un altro punto di vista, quello degli scienziati che pubblicano i loro risultati su riviste internazionali cedendo alla rivista il copyright di quanto hanno scritto. Non stiamo parlando quindi del diritto d’autore ma piuttosto del diritto dell’editore. In altre parole, gli scienziati non guadagnano nulla dal successo editoriale del loro lavoro, il loro stipendio non dipende dal numero di downloads o dalle citazioni che i loro articoli fanno registrare. Produrre molti articoli di buon livello aiuta nella carriera, ma questa è un’altra storia. Tutti i guadagni ( o le perdite) dell’editoria scientifica ricadono sulle case editrici che devono sopravvivere (possibilmente con un margine di guadagno più o meno consistente).

Come funziona l’editoria scientifica

Vediamo come si dipana la filiera dell’editoria scientifica.

Gli scienziati inviano i loro lavori alle riviste specializzate in un determinato settore e aspettano di ricevere il giudizio di valutatori anonimi. Una volta superato lo scoglio della valutazione (cosa che può essere più o meno difficile a seconda dell’importanza della rivista scelta), il lavoro viene pubblicato senza costi per gli autori (salvo qualche contributo per la pubblicazione di foto a colori). Tuttavia, gli editori delle riviste non fanno beneficienza: se pubblicare è gratuito, consultare l’articolo richiede un pagamento il cui ammontare varia da rivista a rivista. Ogni anno le biblioteche delle università e dei centri di ricerca valutano a quali e quante riviste abbonarsi. Gli abbonamenti sono, naturalmente, sia al cartaceo sia al digitale che è esteso a un numero più o meno grande di indirizzi IP.

Curiosamente, non sono le riviste più importanti quelle più care. Proprio perché importanti, possono contare su molti abbonamenti e, a volte, su introiti pubblicitari.

Le riviste più specializzate, invece, sono decisamente più costose e non tutte le biblioteche si possono permettere l’abbonamento

Così, se ho proprio bisogno di una rivista alla quale la mia biblioteca non è abbonata scrivo ad amici che afferiscono ad altre biblioteche fino a quando la trovo. Ovviamente, questo non succede spesso, il mio istituto mi garantisce l’accesso a tutte le maggiori riviste nel mio settore. In molte parti del mondo, però, questo non è vero e ricercatori faticano molto a trovare gli articoli che devono leggere per poter svolgere la loro ricerca.

Science Hub, i ricercatori e i costi delle riviste

Senza i finanziamenti per gli abbonamenti si può chiedere aiuto via Twitter, sperando di convincere colleghi più fortunati a scaricare l’articolo richiesto, oppure ci si organizza per superare il muro degli abbonamenti e mettere in rete i preziosi articoli.

Così, dalla frustrazione di Alexandra Elbakyan, una studentessa kazaka povera di mezzi ma ricca di idee basate su una profonda conoscenza dei sistemi di sicurezza informatici, è nato Sci-hub (Chefuturo ne ha già parlato), una approssimazione della biblioteca universale a disposizione di tutti. Dato il titolo di un articolo, Sci-hub recupera il testo e lo archivia a beneficio di altri che potrebbero averne bisogno.

La brillante Alexandra non fa magie, è semplicemente riuscita a convincere un consistente numero di ricercatori a fornire le loro credenziali legittime per entrare nei siti a pagamento. La versione non è univoca, alcuni sostengono che le credenziali siano state carpite con l’inganno. Sia come sia, Sci-hub ospita 50 milioni di articoli scientifici che spaziano su tutte le discipline e sono sempre più richiesti. Come si vede nelle figura, il numero dei downloads, pur con oscillazioni chiaramente settimanali (i minimi sono presumibilmente i fine settimana), mostra un chiaro trend in salita. Il buco di novembre 2015 è conseguenza di un cambio di dominio di natura “legale”, come vedremo tra poco.

I più assidui frequentatori sono gli Iraniani, seguiti da Cinesi, Indiani, Russi con gli USA che si attestano ad un incredibile quinto posto. Mentre è chiaro perché il sito venga usato da scienziati o studenti in nazioni che hanno problemi a pagare gli abbonamenti, non si capisce perché si registrino decine di migliaia di download da campus universitari USA che garantiscono ai loro affiliati l’accesso a tutte le riviste.

Forse è solo una scelta di convenienza? Chiedere le credenziali in biblioteca e seguire l’iter legittimo è più lungo che cercare in Sci-hub? Lasciando da parte gli studenti pigri, non si può dimenticare che la pratica, pur nella sua valenza utopica volta a condividere la conoscenza, è chiaramente illegale e l’ideatrice, se mettesse piede in occidente, sarebbe passibile di galera e multe salatissime.

La casa editrice Elsevier, notoriamente molto cara, è di gran lunga la più piratata. Per questo ha chiesto e ottenuto la condanna del sito

Una vittoria dagli scarsi risultati pratici dal momento che Sci-hub è basato in Russia, fuori dalla giurisdizione delle leggi del copyright e l’ideatrice non ha una fissa dimora. Chiuso un server, se ne apre un altro e, ovviamente il sito ha molti mirror sparsi per il mondo. È una situazione che ricorda i mitici siti della pirateria musicale, tipo Napster e Pirate Bay, più volte condannati dai tribunali, più volte chiusi e altrettante volte risorti altrove perché un sito come Sci-hub ha la forza nei numeri degli utilizzatori, che si attestano su circa 6 milioni al mese. Bisogna dire che, indipendentemente dalle dispute sul copyright, gli scienziati hanno grande simpatia per Sci-hub e per tutti i mezzi di rendere la conoscenza più open possibile.

Come evolverà il copyright nell’editoria scientifica? E’ meglio battersi contro Sci-hub, e impedire ai meno abbienti l’accesso alle informazioni, oppure sarebbe il caso di trovare soluzioni alternative?

Di sicuro, sia in Europa che negli Stati Uniti, ai ricercatori che ricevono fondi pubblici viene chiesto di rendere open access i loro risultati e le pubblicazioni ce ne derivano

Fino ad ora era una richiesta generica senza una tempistica precisa, ma, venerdì 27 maggio, il Competitiveness Council europeo (che riunisce i ministri di ricerca, innovazione, commercio e industria della UE) ha deciso che entro il 2020 tutti i risultati ottenuti con finanziamenti europei dovranno essere Open Access da subito. Ovviamente ci sono diversi mezzi per rendere pubblici i propri articoli. Si può ricorrere a database aperti dove si possono depositare i testi degli articoli dopo che sono stati pubblicati da riviste più o meno prestigiose, oppure ricorrere a riviste “open access”, dove il costo di pubblicazione è coperto degli autori e nulla è chiesto ai lettori.

Purtroppo, però, nel mondo dell’open access sono poche le riviste di grande impatto mentre sono moltissime quelle di infima qualità pronte a pubblicare ogni schifezza pur di incassare le spese di pubblicazione.Il Competitiveness Council non ha detto quale strada intenda supportare, ma sicuramente si tratta di una decisione epocale, definita a life-changing move. Rendere tutti i lavori pubblicamente disponibili annullerà la ragione di esistere della pirateria scientifica, ma sarà anche un problema non facilmente gestibile dalla case editrici classiche che dovranno cambiare il loro modello di business.

PATRIZIA CARAVEO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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