Bruxelles: perché restare normali è l’unica risposta al terrorismo

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Mentre scrivo sono in treno. Sto andando alla laurea della mia ragazza. Sono in Italia e sono salvo. Quello che doveva essere un giorno di gioia è iniziato nel peggiore dei modi, con una notifica del Guardian sull’esplosione di due bombe all’aeroporto centrale di Bruxelles.

Un tuffo al cuore. Sono in Italia da soli due giorni e anche se normalmente parto da Charleroi, in quell’aeroporto potevo esserci io. E ancora una volta, proprio come quel 20 novembre 2015 quando occasionalmente ero a Torino per il Digital Day, la paura sta prendendo il sopravvento. La paura di tornare a fare la propria vita.

Vivo a Bruxelles da settembre, per fare un master in diritto dell’ICT. Non c’ero mai stato prima ma mi è piaciuta da subito.

Una città piena di popoli e culture, dove, come faccio io, si può sopravvivere benissimo senza conoscere il francese perché l’inglese è abbastanza conosciuto e i cittadini sono abituati a questo calderone di nazionalità. Del resto è la capitale d’Europa.

La sera di Parigi ero lì, era appena finita la partita Italia – Belgio, e mentre aspettavamo il nostro kebab, abbiamo dato uno sguardo alle news. E lì il gelo. Attentato a Parigi, diversi morti. Un po’ come l’11 settembre, non puoi non ricordarti dov’eri quando succedono queste cose. Ti lasciano il segno. Capisci in modo irrimediabile che il terrorismo è dietro casa. Non è più lontano, in paesi esotici. Non è più un servizio in coda al tg dopo la politica italiana. E’ vero, tangibile, fa vittime come ragazzi a un concerto, quei concerti che ti piacciono tanto, che hai regalato alla tua ragazza per andarci assieme.

Quando dopo Parigi a Bruxelles è arrivato l’esercito, abbiamo capito che la cosa era grave. Il weekend dopo il livello di allerta fu alzato a 4, il massimo. Metro ferma, negozi in centro chiusi. Io ero a Torino e dovevo partire la domenica. Ma dopo aver letto la notizia sabato mattina ho iniziato a pensare che magari potevo scendere in Romagna e andare a salutare genitori ed amici, tanto non c’era fretta e l’università sarebbe stata chiusa per precauzione. Ma è lì che ho capito. Mi stavo facendo prendere dalla paura. Dal terrore. Per quello si chiama terrorismo.

Non sono solo le bombe il problema, è la paura che ne deriva. La paura che non ti fa prendere più la metro, che non ti fa più andare ai concerti, al cinema, ai musei.

La paura dei luoghi affollati. La paura di chi ha la barba lunga e la pelle scura.

E allora ho deciso che non avrei cambiato programmi, a costo d’annoiarmi a morte in una città bloccata. Quella è l’unica cosa che le persone normali possono fare, non aver paura.

Ma stamattina è stata più dura. Stamattina non era un rischio attentati, stamattina l’attentato c’è stato ed è stato in uno dei posti più a rischio, un aeroporto. L’aeroporto è anche un simbolo di libertà, libertà di spostamento, di conoscere nuove culture, paesi, genti.

Ancora una volta, non dobbiamo aver paura. Sarà scontato ma è l’unica risposta che possiamo dare al terrorismo, a chi combatte non delle persone, ma un modo di vivere, il nostro.

Perciò sorridete a chi è diverso da voi, diverso per aspetto, lingua, religione. Siate gentili perché l’antisemitismo è dietro l’angolo.

Non sarà facile. Anch’io, quella domenica in aeroporto a Torino, quando dovevo scegliere su quale panchina sedermi al gate, per un attimo ho esitato a sedermi a fianco alle signore col velo, lo ammetto. Poi ho pensato che stavo diventando la persona che non voglio diventare. E allora non ho esitato più e ho sorriso a quei bambini che stavano giocando con le loro mamme perché siamo tutti uguali, anche se ci vogliono convincere del contrario.

VINCENZO TIANI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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