A morte i “fighi patinati”! Alcuni consigli per avere successo (cambiando il nostro storytelling)

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Quante volte, scorrendo la nostra bacheca di Facebook, ci siamo sentiti “invasi” da un po’ troppi aggiornamenti/lamento delle persone che seguiamo? Quante volte invece non abbiamo sentito un leggero senso di inadeguatezza di fronte a post talmente entusiastici da farci sentire piccoli, noiosi e inani di fronte alla nostra quotidianità?

Nell’era della condivisione, il confronto con gli altri è ormai parte costante delle nostre vite: inutile fare finta che non sia così, ci condiziona, anche quando pensiamo che non lo faccia. Perché ciò che siamo e ciò che facciamo si trasforma in senso compiuto nel momento in cui lo narriamo; a noi e agli altri. Perché una bella vacanza lo è di più se abbiamo la possibilità di mostrare una foto, condividere un aneddoto o trasformarla in qualcosa che – raccontato – la aumenta di significato.

Credits: thelittlechimpsociety.com

Da un po’ di tempo a questa parte rifletto molto su quanto la narrazione sia centrale nella nostra vita e su quanto il modo in cui ci narriamo, privatamente e pubblicamente, possa innescare cambiamenti positivi e non solo nella nostra singola esistenza.

PERCHE’ DIPENDE DA NOI STESSI

In una normale quotidianità che è flusso e sviluppo di eventi che dipendono anche da noi, molto spesso ci dimentichiamo di cercare il senso di quello che facciamo, di quello che siamo come persone e professionisti e ci sembra che tutto scorra senza potere essere agenti attivi di cambiamento.

Ogni tanto occorre fermarsi e districare la matassa, facendo uno sforzo per nominare le cose, trovando in esse narrazioni trasversali che ci aiutino a mutare il nostro punto di vista.

Se – per esempio – il lavoro non ci piace, non ci soddisfa e i giorni sembrano scorrere tutti uguali e al mattino l’unica cosa che ci viene in mente è che stiamo sperperando altro tempo della vita per qualcosa in cui non ci riconosciamo, continueremo a sperperare il nostro tempo all’infinito. Quel personale racconto che ci facciamo, nel momento in cui sentiamo un disagio crescere in noi, diventa l’umore “stabile” di quel giorno.

Se, non contenti, oltre a dircelo davanti allo specchio, decidiamo di condividerlo anche con follower e amici sui social network, cosa succede?Succede che non solo “cristallizziamo” ancora di più uno stato d’animo immobile, ma che contribuiamo anche a fare emergere in chi lo legge un sentimento simile o anche solo il disagio di chi si ritrova a “subire” il nostro lamento, con la frustrazione di non potere fare nulla per noi.

E se invece di focalizzarci sulla noia e sull’insoddisfazione, ci concentrassimo su quanto possiamo fare per cambiare il nostro stato attuale? Se invece che come professionisti frustrati da un carico di lavoro che non ci interessa e ci stressa, ci concentrassimo sul fatto che abbiamo idee, passione e professionalità ed è arrivato il momento di metterle a frutto degnamente?

Cambiare il personale punto di vista sulle cose, cercando sempre di essere propositivi, è il primo passo per iniziare a cambiare, per muoversi in una direzione che ci assomiglia di più.

Accade sul professionale, ancora di più accade per la sfera personale.

Per anni sono stata obesa e per anni mi sono raccontata che “ormai era tardi” per rimettermi in sesto, in procinto di raggiungere i 40 anni. Non mi sono chiesta per lungo tempo da dove provenisse questa convinzione, ma la sentivo radicata in me e ho vissuto una buona parte del tempo da persona “senza una via di uscita”. Il giorno in cui mi sono fermata a riflettere sul perché fossi convinta che a 40 anni è troppo tardi per dimagrire è stato un giorno importante: forse lo avevo letto da qualche parte, forse la narrazione collettiva del calendario biologico di una donna mi era entrata sotto pelle al punto da farmi dimenticare che io posso scegliere come narrarmi e posso scegliere soprattutto come evolvere.

Oggi che di chili ne ho persi 40, so che cambiare il modo in cui mi narravo (una persona “inceppata” nell’obesità, una persona che ormai era in ritardo sulle proprie occasioni) è stato cruciale. Oggi so che chiedermi perché ero ingrassata tanto e fare pace con quella esperienza (considerandola, appunto, un’esperienza e non qualcosa di immutabile) è stata la molla che ha innescato il cambiamento.

IMPARIAMO A FARE STORYTELLING DI NOI STESSI

Vi sarà di certo capitato, almeno una volta nella vita, di sentire qualcuno affermare che una cosa dovesse essere per forza vera perché “lo ha detto la TV!”. Nel nostro immaginario, ciò che viene narrato pubblicamente e raggiunge una comunità di persone, ha una dignità di realtà maggiore che se ce lo raccontasse, in privato, il nostro migliore amico. E’ proprio naturale, succede a tutti: più uditori potenziali, maggior credito.

Nel 2015 è anacronistico pensare che qualcuno dia ancora retta alla tv (lo so, sono ottimista) ma di sicuro passiamo molto tempo online nel monitorare, gestire e connettere la nostra narrazione a quella degli altri. Dunque perché ciò che scrive qualcuno che stimiamo sul proprio profilo non dovrebbe, almeno un po’, coinvolgerci, farci sentire empatici, condizionarci? Perché – d’altra parte – ciò che scriviamo noi non dovrebbe fare altrettanto rispetto a chi ci legge?

Prendiamo la nostra responsabilità e trasformiamola in un valore per noi e per gli altri: utilizziamo le occasioni pubbliche come una palestra per esercitare la nostra capacità di narrare ciò che ci accade da una prospettiva diversa.Se ci sentiamo immersi nella crisi, la crisi arriverà a bussare alla nostra porta: se quella rabbia e quella frustrazione la trasformiamo in un’opportunità per cercare una via d’uscita a ciò che non ci piace, prima o poi vedremo la porta e sapremo come e quando stringere la maniglia per aprirla.

Se a 40 anni ci sentiamo “troppo vecchi” per dimagrire, fermiamoci e facciamoci una domanda, su tutte: troppo vecchi rispetto a chi? A cosa?

Un grande scrittore che stimo e che ho avuto il piacere di conoscere, Paolo Nori, una volta ha detto di essere soddisfatto se alla sera, quando va a dormire, si rende conto di avere pensato almeno una cosa originale nella giornata, che non sia il frutto del “pensiero di altri”. Mi ha fatto riflettere molto: siamo immersi nel pensiero degli altri ed è ormai impossibile distinguere ciò che ci arriva dall’esterno con ciò che nasce in noi. In questa impossibilità oggettiva dobbiamo imparare a sopravvivere: persone responsabili che ogni giorno, ad ogni clic, contribuiscono alla narrazione collettiva del mondo.

Spetta a noi scegliere: possiamo decidere di narrarci privatamente e pubblicamente come persone immobili che subiscono ciò che credono di non potere cambiare o come persone che affrontano le difficoltà, ne cercano le ragioni e scelgono di agire il cambiamento e lo raccontano, con l’orgoglio di sapere che stanno semplicemente vivendo, dato che la vita è concettualmente evoluzione, quindi cambiamento.

A MORTE I “FIGHI PATINATI

Il modo in cui ci narriamo diventa così la nostra piccola rivoluzione quotidiana: una rivoluzione tutto sommato “facile”, in tempi in cui il digitale ci offre l’opportunità di narrarci in progress, giorno per giorno.

E non serve a niente fare i “fighi patinati”: le narrazioni propositive valorizzano i successi ma raccontano anche gli inceppi e sanno che senza inceppi non c’è superamento e successo!

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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Scritto da chef

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